Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Non vi fosse la penna
a mostrare l'inganno,
fare da intermediario,
penserei che l'inchiostro fosse un sangue
attirato da bianche calamite,
quest'ossa, questi fogli che le chiedono
di ricoprirli perché sia la vita
risuscitata in loro, e la mia persa,
come un foglio, lo scheletro, ormai bianco
uno scolaro analfabeta ignaro
della lingua del sangue dell'inchiostro.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Tutto quello ch'è mio
    io lo porto con me
    per l'ultimo viaggio
    fosse anch'un buio come
    quello da cui venivo
    prima di stare qui,
    stare? Passare qui!
    E chiedo intorno chi mi vuol seguire
    Chi? Chi, non solo chi, ma anche cosa,
    ma soprattutto cosa!?
    E vedo i miei oggetti fare spazio
    ad altri oggetti di cui fui in possesso
    come se tra di loro non sapessero
    quali fossero veramente miei,
    ma solo che alcuni tra di loro
    lo fossero, lo fossero ormai stati.
    Perché restava un vuoto nel davanti,
    sulla mia soglia, prima di partire
    vidi che le mie mani non avevano
    nessun oggetto, mi sentii più povero;
    e soprattutto vile perché feci
    subito dopo il corpo il mio possesso
    e quindi mi sentii ricco di me.
    Ma il corpo cadde via dalle mie mani
    volle cadere, lui, lasciarsi andare
    nel rimanere a terra, decomporsi;
    e mi trovai lontano da chiunque,
    privo d'ogni risposta in ogni altro,
    la domanda fu quasi una risposta
    che ripetei per rendermene certo:
    "Chi viene via con me, chi porto via?"
    Forse soltanto l'anima,
    invece solo il nulla!
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      Scritta da: Andrea De Candia
      "Solo le luci nere sono anima,
      un'interiorità che è dentro un corpo!"
      Disse una voce che era il mio silenzio.
      E sempre col silenzio le risposi
      che c'è la Notte: "è anch'essa luce nera,
      però, ecco, è esterna." E con lo sguardo
      poco rassicurante come a dirmi
      che dovevo tacere, così feci,
      ché non avevo capito un bel nulla:
      "anche la Notte è stare dentro un corpo,
      che è sconosciuto, ma è come un amante
      che dorme e sa che l'altro veglia altrove,
      dove?" Laddove c'è la luce bionda.
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        Scritta da: Andrea De Candia

        Uccelli e pesci

        I
        Nuotare sotto la sua superficie
        con l’onde delle nuvole che vanno,
        - da sempre spuma - verso chissà dove,
        verso nessuna riva, verso Assenza,
        un non voler oltrepassare ciò
        che si dice vietato, un non volere
        dar adito a curiosità. Chi osa
        - un’eccezione in una moltitudine -
        trova la morte presso il Pescatore
        ch’ha gettato le sue canne di luce
        in ogni lago d’aria sottostante.

        II
        Il balzo un po’ più alto. Solamente
        questo distingue tutti noi da voi,
        pesci resi degli uomini al visibile
        manifestarsi, umani resi pesci
        dal nuotare al disotto di un oceano.
        Il divieto è lo stesso: non andare
        al di sopra di me: lo dice il Cielo,
        dicono, è come se dicesse Dio.

        III
        La morte è il solo rogo a cui si tende,
        la morte, dico morte, ma dovrei
        dire suicidio, uscire dalle acque
        d’un cielo sotterraneo, un incontrare
        a viso aperto, l’Inferno di luce
        che dia il Paradiso della grazia
        al pesce eletto che va via dal mondo.

        IV
        Questo è l’Inferno azzurro in cui ho vissuto,
        la luce v’arrivava come un occhio,
        lo sguardo che sapeva penetrare
        era debole, presto si spegneva,
        i raggi erano ciglia limitate,
        l’azzurro in una corsa verticale
        non accennava a smettere di essere
        sempre più un buio, andando negli abissi,
        come una bocca che ci divorava
        trascinandoci giù. Ma venne il giorno
        in cui capii di essere un eletto
        dalla morte che feci e che mi scelse
        il Dio che mi limito a chiamare
        Destino. Fu un Satana di Luce
        il pescatore che mi provocò
        con le sue esche, mi spinse ad uscire,
        catturato da una delle sue canne,
        fu un Inferno celeste che io volli
        raggiungere, tenere finalmente
        nel mio presente, vivo per un po’.
        Ma fu la Morte, questa morte fu
        un’eccezione che mi rese eletto.

        V
        Nel giorno era il Nostro Paradiso
        il buio ch’ormai aveva abbandonato
        l’azzurro della superficie bionda.
        Bionda come la luce che emanava
        nei suoi riflessi, un Satana dell’alto,
        la rendeva un calore soffocante:
        un contrappasso che era un’asfissia.

        VI
        Vidi un compagno andare,
        voler osare i limiti, sfidare
        i divieti concreti
        ch’erano superficie
        dove finiva l’azzurra sostanza
        che ci rendeva vivi. Inconsapevoli
        di essere degli angeli, fu quello
        l’unico pesce conscio e stufo d’esserlo
        e che scelse l’Inferno dell’esterno,
        come l’Ulisse le colonne d’Ercole,
        senza più ritornare. Vide luce
        riflettersi, ingannarlo. Non sapeva,
        non poteva saperlo in quel momento,
        mentre il divino Pescatore in alto
        era felice d’aver catturato
        la sua ultima preda: fu una morte
        l’ennesima a essere eccezione!
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          Scritta da: Andrea De Candia
          Come Cristo agli inizi
          d'una Resurrezione inconsapevole
          quel finalmente tendere
          all'abbandono dello star supino
          sul letto oscuro della propria bara
          ch'al giorno ingiovanito si fa bianco
          grazie alla luce che si compromette
          - Lei, scesa da un possente trono, bionda! -
          è la lacrima uscita a sollevarsi
          sul viso del mio mondo sconosciuto.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            I
            Io falegname d’acqua, le mie lacrime
            sono le croci che vorrei piantare
            al Golgota dei sogni, ché finisca
            questo Calvario, inutile vagare
            col passo dello sguardo che non poggia
            a nessun suolo terreo - e vi permanga! -,
            ma tocca appena solo l’altra palpebra,
            come la terra quando cadde Cristo
            sentì la trafittura delle spine
            di ciglia penetranti farsi estranee…
            Io vinco ché rimane un’utopia!

            II
            No, non avere ciglia, avere spine,
            sentirle solo quando nel contatto
            s’incontrano le palpebre, i Romani
            che poggiano sull’altro capo (Cristo!)
            la corona, e vi sgocciola del sangue,
            ma rimane martirio, anche se l’anima
            vuole apparire pura con le lacrime
            che porta nel suo tempo a suoli d’aria!
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              Scritta da: Andrea De Candia

              Luna

              Questo sorriso atroce senza labbra,
              queste affilate fauci, denti a sciabola
              dei quali non s'avverte distinzione,
              questo sorriso con un solo dente
              ch'ha poco del sorriso, anzi nulla.
              È un invito a colpire casualmente,
              la palpebra abbassata della notte
              e tutte le sue ciglia a ogni passo,
              perché si svegli e gridi nel silenzio
              l'occhio solare resosi ormai nudo.
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