Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)
Se si spegnesse quest'ultima lampada,
come una vasta aureola sui fogli,
corpi distesi ad implorar supini
di essere condotti alla salvezza:
sarebbe tutto sola oscurità.
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Se si spegnesse quest'ultima lampada,
come una vasta aureola sui fogli,
corpi distesi ad implorar supini
di essere condotti alla salvezza:
sarebbe tutto sola oscurità.
Dona il suo sangue, il sole, cuore immobile,
emorragia di più candida luce,
mi vede andare esanime nel sonno,
mi seppellisce in una terra oscura.
Sempre bambino, ritorno al celeste,
alla sua chiesa – espresse il desiderio
di dilatar le sue quattro pareti –
furono spinte fino alla scomparsa:
la religione è un'unica natura.
Il sole reca l'alone d'un'eco,
ch'è il biondo nello spazio del suo tempo,
un'ostia non dimentica del grano.
Io che mi muovo sono la sua mano,
quella che m'è impossibile vedere,
ed oltre Lei tutta la sua persona
in quella veste, il parroco che m'offre
l'ostia innalzata al centro dell'altare:
la comunione con le labbra chiuse
e le palpebre unite,
l'una a toccare l'altra,
come fossero giunte.
Solo il tramonto rivelò il suo lato
carnale, cielo che morì e fu nero
come una crosta dopo una ferita.
Eppure quel comando d'obbedienza
al mare, figlio sempre sottomesso,
non accennò neppure a terminare
quando fu spalancata la ferita
che dal colore parve spirituale,
pallore che donò l'abbronzatura,
essa fu trasfusione, diede nuova
linfa alla vita, al sonno. Come un cuore
ch'innalzato dovunque era al suo centro
la stessa pelle erano l'arterie,
le stesse dita a tendere agli sguardi,
volle arrivare a chi lo rifiutava.
Non ho dormito prima ch'era notte,
ho atteso te, mio sole, cuore e luce,
ché nell'acqua riversa del tuo cielo
riesci a far risorgere ogni incendio,
fiamma che esprime altro desiderio,
altra tensione da quella degli esseri.
Con i tuoi raggi, lingue scese al fondo
d'un mare d'aria fino a questi occhi,
vedi che ora il sonno è il mio volerti
qui, nel carbone nero in cui è sepolta
la mia pelle che sembra ormai il passato.
Poiché credo a quest'unico miracolo:
la notte che io penso di lasciare
nel suo sepolcro, nell'inesistenza,
si ripresenta, quotidiana morte,
cenere tutta. Un'unica scintilla
puoi scatenare, ch'io riveda ancora
quell'ultima mia stella ch'è il mio sogno.
Se tu mi chiami apostolo di luce,
spezza il tuo pane, offrimi un suo raggio,
che io l'accolga senza che la bocca
di uno dei miei occhi unisca ancora
le labbra delle palpebre:
rendimi sazio della cecità!
Un egoismo d'incondivisione,
ché non vuoi che nessuno
goda con te al tuo fianco del tuo essere
vittoria anche soltanto all'apparenza.
Il mio sguardo, il suo inchiostro non arriva
a toccare il tuo foglio, ed al suo scriversi
cade in sé stesso nel suo più profondo,
ricade ancora quando si rialza.
E non porti una goccia del tuo corpo
evanescente a illuminare l'antro
d'un timido riflesso che sia un sogno,
né bevo un sorso del tuo vino sobrio.
Luce, che hai solo il buio per nemico,
che sei pronta a combattere a distanza,
vergine sposa ch'hai scelto te stessa:
vedi avversario l'uomo che ti implora?
Sono la pelle che ti rassomiglia
nel colore ed è un caso se dispersa
fu in me dal primo giorno ch'io ricordi
l'anima buia che mi porto dietro.
Ti nutri presso ciò che ha scritto l'uomo,
a un bianco paradiso che nei suoi
migliori esempi reca con l'inchiostro
impronta nera, emblema di quell'ombra
oscura e più profonda del suo male.
E Dio fin lì è arrivato, lì è disceso!
Quanta fatica a conquistare tutto
quello che m'è possibile sapere,
quanta disparità tra uomo e uomo!
E quale cambio potrà avere un giorno
luogo nel cielo quando tutto ciò
che c'era qui lì avrà la sua scomparsa:
la Tua mano benigna terrà aperta
sul tavolo celeste che non spegne
il suo colore nell'eternità:
per me e chiunque se saremo salvi
avrai aperto una pagina che a caso
ci può sembrare adesso, ma che allora
sarà soltanto quella la mia, nostra
o vostra solo. E la si leggerà:
si farà una cultura della luce!
Quando l'ombra distende le sue ciglia
due palpebre invisibili s'incontrano,
il sole è chiuso in sonni senza sogni,
l'aria ha lo sguardo cieco dell'assenza.
E la notte soffriva nel mio corpo
ché chiusa era la bocca del suo petto:
era l'avere un sonno senza sogni
non era la bugia smascherata
da lampioni, fanali, uccelli, grida,
era la notte inilluminabile,
quella in cui il sangue correva a pestare
come se fosse un labbro la parola
del sorriso lunare dello scheletro.
Era la notte estrema radicale
il compimento della metanotte.