Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Prendi il tuo cuore e posalo al tuo palmo,
strazio del non avergli dato un corpo
permanente nell'immortale vita,
rendilo dolce dono sacrificio,
il sangue necessario della luce
d'un biondo che va ormai oltre il candore
raggiunga, nutra, abbeveri ogni essere
che nello sguardo in cui la vita è anima
rimanga e si rafforzi alle sue labbra.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Il cielo spalancava la ferita,
    il suo cuore restava definito,
    ma i rivoli dei raggi zampillavano
    soffusamente ovunque. Mi macchiava
    l'anima dello sguardo liberatasi
    dal corpo delle palpebre, al momento
    di quella morte ch'era il mio risveglio,
    dopo la lunga vita del suo sonno.
    Mi sembrava chiamare con il grido
    della materia ch'era senza voce
    a che li richiudessi e la zittissi
    e ritrovasse in me la buia crosta
    che invocava – credette di morire.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Un vino come un sangue della luce
      ed essa come un corpo e come un pane.
      L'Ultima Cena avvenne al suo tramonto
      quando in ginocchio all'orto del suo mare
      pregò, l'oscura crosta della sera
      taceva gli urli delle sue ferite
      e il suo martirio, cominciato all'alba.
      Ed elevati i piedi dalla terra,
      il volto puro ormai si confondeva
      col suo sudario, senza essere dentro
      alcun sepolcro, ancora sulla croce
      d'un quartetto di raggi ch'alla vista
      sembravano spiccare sui restanti.
      Issatosi alla massima collina
      del Golgota celeste d'ogni ora,
      fece soffrire agli occhi peccatori
      il centro della sua crocefissione.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        Un raggio sembra vedere la carne
        come un mare d'Inferno
        e tende verso il basso il suo sé stesso.
        Io chiudo l'occhio, ma non voglio accoglierlo
        in questo spegnimento dell'azzurro
        che volge il sotterraneo cielo al nero.
        Sono un padre terreno e so provare misericordia d'ogni figlio alto,
        so stare espanso in una solitudine
        che si spalanca come un cielo vuoto,
        senza l'ultima stella del suo sogno.
        Il mio silenzio è l'unica parola
        e non è inframezzato da nient'altro.
        Ne cominciai il suo pronunciamento
        dai miei albori e man mano ch'avanzo
        nel tempo stabilito della vita
        di giorno in giorno come da un secondo
        a un altro nei minuti dei miei anni
        aumento questa consapevolezza.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          Il riflesso era un'eco che gocciava,
          sangue di luce dalla sua ferita.
          Nel Sole, il cuore ch'era sempre al centro
          - dovunque si trovasse, s'espandeva -
          esso aveva raggiunto l'obiettivo
          d'ogni suo desiderio: aveva reso
          più bianca la sua fiamma, alto l'Inferno,
          e riscaldava con la sua purezza
          il mare decaduto, decadente
          sempre più negli abissi di sé stesso.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            I
            Ti seppellisco con ben altre lacrime,
            quelle che gli occhi sulle dita versano
            o silenzio, bambino mai nato,
            uso lo stesso questa bara bianca.

            II
            Lutto del nero, fazzoletto bianco
            suolo fidato, cadano su me
            le tue parole-lacrime saprò
            custodirle scoperte.

            III
            Creo catene con la penna nera:
            imprigiono il silenzio ch’è innocente;
            creo le sbarre della sua cella
            ma il silenzio, nel suo corpo ch’è anima,
            saprà che fare per restare libero.

            IV
            E senza che ci fosse alcuna tazza,
            né bordi né pareti, solo il fondo
            riuscì a cadere e a formarsi un quadrato
            e a solidificarsi - sempre latte.
            Facevo colazione
            dopo il sonno, dormienti, nel silenzio,
            caddero come mosche le parole,
            e non volli salvarle e non lo seppi.

            V
            E nella colazione del silenzio
            bevi quel latte senza una parola,
            la mosca nera che sembrò cadere!

            VI
            Lacrime nere, le parole scese,
            il lutto del silenzio
            a porgere il suo fazzoletto bianco.

            VII
            E sulla tazza bianca del silenzio
            cadde una mosca, una parola nera.

            VIII
            E quando muore il corpo della mano
            che muoveva la penna, e la scrittura
            ha concluso la sua vita terrena,
            il mio piede saprà l’elevazione
            al cielo, un sole, l’anima, lo sguardo
            a leggere in un aldilà sereno
            le impronte del percorso sulla terra.

            IX
            Sta sanguinando tutta la sua cenere
            e le parole sono emorragia,
            sta già morendo l’osso del silenzio.

            X
            Il silenzio era un osso, un labbro chiuso
            ora emette il respiro della cenere:
            questo è il suo solo modo di parlare.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              L'origine, la festa, la natura
              non l'hai vissute eri nel tuo sonno,
              e nel mare celeste, nel suo centro,
              ardeva un campo, un'isola di luce,
              e i raggi erano spighe che pungevano
              i passi che facevi con le palpebre,
              e l'ora della sveglia fu il tramonto
              quando dall'infarinatura uscì
              il ricordo del biondo come un'ostia,
              e ognuno camminante sulla terra
              come a volere dire al suo stesso
              che era senza peccati, che era puro,
              apriva la sua bocca ad ospitarla
              in questa chiesa dove non c'è posto
              e si cammina, mancano le mura,
              è un no l'attesa della comunione
              che nascosto e invisibile nel nero
              protende verso l'alto "il sacerdote-
              Dio" che mangia per sé dei pezzettini
              ad ogni messa dei giorni notturni
              mantiene accesi i ceri delle stelle
              e lascia noi al buio del digiuno.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                E sempre incinti della nostra ombra
                (pur nella luce massima, violenta!)...
                partorirò la morte mi domando?
                E non potrò vederla, sarà orfana?
                Tutta la pancia della mia figura
                che non s'accresce in mesi di decenni...
                sto conservando dentro un bimbo morto?
                I piedi son cordoni ombelicali
                e succhi la sostanza già del nulla,
                l'aria, una ciotola di latte, vuota?
                E come stare sempre a bere il fondo?
                Ma anche se fossi nata e già saresti
                bambina, e (supponiamo) pure adulta,
                perché hai bisogno di tenermi affianco?
                Mi sento un cane che trascina un cieco!
                Come un aedo che trapassa il buio
                (come se fossi solo una pupilla)
                come se il corpo fosse un lungo inchiostro,
                scrivi oralmente o parli per iscritto
                ai fogli casuali delle strade
                il poema finito del destino!
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