Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Magistralmente tedeschi
s'iscrivono i fucili
davanti ai corpi.

Uno vuole uscire allo scoperto
vestito soltanto di un panno di nuvole
il suo cuore non appartiene già più
a questo mondo.

Un solo colpo,
il dio dei fiori dormiva
febbricitante.

Nella tua tazza gocciola
l'ultimo vento di pioggia,
bevilo tutto

e riempi la tua
bocca di cielo.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Giacinti, custodi del fiore della mia ferita.
    Sotto l'asse dei germogli
    ho trovato un disco di morte
    in stato di grazia.
    Grida di uccelli allineati,
    un filo di perle in diagonale sul monte di parole.
    Ora cadono piume lunari:
    il canto non consumato, per te.
    Il tempo ha per ognuno un cuore
    che, traendo i suoi sogni dalla polvere delle stelle,
    si strapazza di danze fino a diventare un folle.
    Ci diamo un cenno
    raffiche di luce da una bocca all'altra,
    un tocco di vento di papavero sulle nostre palpebre.
    Alla fine, davanti al cancello
    nell'ora arsa dal fuoco,
    la parola inespugnata.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Vitamia, dimmi,
      che un segno pasquale ci toglie
      dalla bilancia del dolore
      e che, dando la mano al vento del sud,
      la parola si rivela.
      Vitamia, prendi
      la luce che fugge e salva
      la parola in fuga dalla fuga.
      Baciami via il verso dalle labbra,
      intessilo delicatamente con la stella naufragata.
      Azzurro-febbre risplendono le spalle della collina,
      la notte minaccia la parola che invecchia portata dal vento.
      Vitamia, ascolta,
      accanto al pozzo sotto il frassino
      cantano i serpenti
      un Dio li adorna di una luce a macchie,
      e io, vitamia, gli succhierò fuori
      il veleno dalla bocca.
      Guarda, la sera mette le ciglia alla viola mammola
      e coglie piante-di-tenebra dai nostri capelli.
      Le ombre si affrettano a raggiungere un luogo senza patria,
      gli spiriti, ingannati dalle nostre palpebre, diventano ciechi.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        Poco ha a che fare con gli esseri umani
        l'aridità della luna.
        Eppure è lì che fiorisce
        la verbena del cuore dalle rovine della luce,
        il giallo pozzo a carrucola dal fuoco lontano.
        Per giorni e giorni ho corso nella neve,
        non mi sono riscaldata
        e nessuno ha mantenuto la parola
        quando la mia si è infranta sul passo
        e sul rossore iracondo del cielo.
        Quando il silenzio ha mutato il mio piede in pietra.
        Neve, dunque, neve e carne
        in cui nessun canto soffia la vita,
        che porterebbe me all'aridità della luna
        oppure – anche questo -, che potrebbe essere redenta
        dai coltelli, come ultima consolazione.
        Ero leggera come un uccello
        con le penne d'oro, un segno nel vento serale
        e avvolta nello stupore del bambino.
        La mia bocca è passata oltre questo tempo felice,
        non vuole imparare a vedere, quando il giorno la interroga
        e cerca di afferrare un sorriso.
        Anche gli angeli, ora, sono diventati ciechi.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          Una sera,
          consacrata con troppa premura,
          i vitigni fuggono
          in una felicità lontana dal linguaggio.
          Davanti alla cascina le ore di pietra,
          ammucchiate e bianche
          per via della mano del sole,
          che le ha coperte.
          Ora è tempo, fratello,
          di custodire la stella naufragata,
          perché nessuno la derida
          con la bocca tozza.
          Un grido vuole prendere fiato,
          il grido sacrificale della selvaggina
          toglie il cielo alla valle.
          Buttami la luna,
          il pane dell'instancabile.
          Fammi rotolare la stella
          davanti al sogno risvegliato col canto.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            A mezzo volto, non velata,
            la carne di monaca
            in fuga da
            mani ermafrodite.
            L'altra, la pietra di luna
            o gemma di giglio di campo
            infuria nel mio cervello
            alla ricerca di una traccia
            di felicità breve
            o con le dita di cannella
            – semmai –
            la parola trasceglie
            attingendo da sogni nero-pece.
            Sono andata con piedi di luce.
            Impregnata di sonno
            a un lancio di stella appena
            sono andata con piedi di luce
            davanti alla tua porta
            sono diventata cenere.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              Niente,
              nessun luogo.
              C'è ancora rumore
              di sventura nella testa,
              e sulla mappa del cielo
              io non sono presente.

              Mai è stata primavera,
              sussurrano le voci di cenere,
              sulla bilancia del linguaggio
              sono una parola senza peso
              e trafiggo il tempo
              con occhi armati.

              Futuro?
              Non assolve
              me, nata sghemba.
              Vieni, dice,
              la morte è un ciglio
              sulla palpebra della luce.
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                Scritta da: Andrea De Candia

                Rapimento

                Io sento l'aria ora di un'altra sfera
                e mi scolorano nel buio i volti
                benignamente a me prima rivolti.
                E alberi amati e strade come a sera
                oscurano, che appena li ravviso:
                e ombra tu chiara - voce al mio tormento -
                in più profonde fiamme ora sei spenta
                per solcarmi d'un brivido improvviso
                dopo la guerra cieca in cui deliro.
                In circoli mi sciolgo in lume, in suono
                e senza brama al fervido respiro
                in lode pura grato m'abbandono.
                Un violento soffio ora m'assale
                nell'ebbrezza del rito ove uno stuolo
                di donne implora prosternato al suolo.
                E il vapore di nebbie lento esala
                a una contrada fulgida di sole,
                che cinge solo alpestri ultime gole.
                Candida e molle come latte trema
                la terra... su dirupi enormi io varco:
                di là rapito della nube estrema,
                nuoto in un mar di cristallina luce -
                una favilla io ormai del fuoco sacro,
                io sono un rombo della sacra voce.
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