Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie personali)
Sputati da ciglia,
sgusciano via dalle palpebre,
sgusciano via,
sgusciano
occhi
da occhi.
Lacrime.
Composta mercoledì 7 ottobre 2015
Sputati da ciglia,
sgusciano via dalle palpebre,
sgusciano via,
sgusciano
occhi
da occhi.
Lacrime.
A questo mio suolo di volto
chissà se anche solo una volta
io vedrò srotolarsi, scontrarsi
le schegge di lacrime sparse,
il vetro di un'anima rotta
nel pianto, come il pane bianco
spezzato preciso a fettine,
in briciole pure di polpa,
in mani di tanta tristezza.
Il pianto non è una pioggia;
soltanto leggera acquerugiola.
Aria-pittrice del pianto,
presto, prelevami gocce
dall'acquerello dell'occhio.
Dov'è orizzonte
il cielo ha bisogno
di stare seduto.
Le nuvole pezzi di pane
con la polpa nel sugo del tramonto,
ma non ci sarà la scarpetta:
non toccherò una mollica neanche
e il sugo, dal piatto del cielo,
scivolerà nella busta del mare.
Laggiù dove l'acqua
si gonfia di schiuma,
- inghiotte il suo bianco -
l'onda nasconde un rasoio
che strappa carezzevole
i peli inestinguibili
dalla barba della sabbia.
Il mare nel suo letto
mantiene le sue pieghe sul lenzuolo:
l'onda non riesce davvero a trovare
il fianco preferito,
insonne sconsolata,
si gira e si rigira
a destra e a sinistra,
un'azzurra persona
in posizione prona.
La linea distorta del dolore
che ritenta la geometria del cosmo
divinamente accesa
e sempre ti insegue sulla traccia di luce
e poi si oscura in questa epilettica
ansia di giungere alla fine.
E qui tra le quattro mura nulla
se non la mano pittrice del tempo
embrione di eternità
sul capo la luce primigenia
e il cuore, fuggiasco incatenato
che balza dalla sua vocazione:
essere una ferita.
Il tuo secolo,
un salice piangente
chinato sull'incomprensibile.