E ti racconterò di foglie che navigano secondo il mare di pioggia che cade e, a stento, risale di nuvole colorate dal vento e ti racconterò di pozzanghere che sanno abbracciare di vie abbandonate che fanno rumore e sentirai il sapore del sale il gusto del grigio si aprirà un cielo da scoprire - insieme - e saprai del colore del cuore.
Ché tanto tutto va e tutto torna ché ci si ferma e poi si riparte, a volte, ché, altre volte, si rimane lì troppo se si è sensibili e troppo poco se si è insensibili ché si conta il tempo come se si dovesse controllare il tempo di cottura ché si cuoce appresso e si cuoce di meno da soli ché tutti non significa tutto ché tutto, spesso, è il resto, l’oltre, ché così è e ché così potrebbe anche non essere ché ci si divora e, poi, ci si ritrova e se non ci si ritrova. Beh! Chè essere potrebbe, davvero, essere e che, a volte, non basta perché la verità non sembra libertà che, però, la libertà è non tartassare di pensieri il pensiero facendo dell’esistenza uno scolapasta. Ché tutto va e tutto viene come se essere scontati sia ciò che di più facile possa avvenire per essere normali che, poi, essere normali non è una crostata alla marmellata ché il palato, a volte, non è tale e, altre volte, bisogna ricominciare. Ché tanto tutto va e tutto torna, forse.
Lasciami naufragare nell'azzurro del tuo mare. Lasciami navigare nel tuo cielo e colorare. Lasciami sprofondare affondare approdare perché tu sei uno strascico di fascino in una caduta di stelle a intensità ribelle.
Ti amo come foglia adagiata sulla mano come respiro sussurrato ti amo ansimando il tuo nome come vento d'estate ti amo mentre m'imbatto in te come mareggiate ti amo in un incedere di voglie dannate come il tuo corpo che è sempre più il mio vate ti amo nella dolcezza più volgare in un bacio appiccicato nell'infinito di un istante ti amo in ogni vocale e in ogni consonante.
Ti riconosco dagli occhi come fossero secchi d’acqua: a pulire il fango, a scoprire l’inganno, a denudare l’affanno. Danno. Le pupille dilatate, a volte contratte, forse distratte, d’iride superbo, di colore acerbo, il fittizio garbo. Si intravede un cantuccio, riflesso dal cristallino, luce buio, chiaro scuro, dolce amaro. E appare un quadro, tela, e sopraggiunge la sera, vera. Colla trasparente appiccica pensieri sin da ieri anche oggi per domani e uno spaventapasseri affoga mentre si va di moda. Artificiosamente in voga.
Non dirmi cos'è il vuoto non dirmi cosa c'è dietro lasciami l'ebbrezza carezza d'istanti ripetuti acchiappati abbracciati - maledetti benedetti - e sale il mio pudore si contano le ore mare fruscio di vento sole lento l'orizzonte stanco il cielo sembra un ammanco sfuma la luna si diradano le stelle e cantano le onde profonde di assenza l'essenza senza.
E poi si dice anche una bugia perché si cerca l'affabile amnesia in un vuoto che sorprende e strapazza in una caduta in un passo forse falso ché quando manca il sostegno traballa il sogno
eppure non c'è passo più solido che percorrere e ripercorrere
Lasciami bere l'ultimo quartino e non preoccuparti del bicchiere ché sarò io a sciacquarlo nelle vene. Torna la spiaggia e sento il mare tu che ti tuffi e io che ti seguo perché non so stare. E poi a piedi nudi a correre e camminare e il cuore che ci insegna a saltellare.
Abbracciati stritolati nella frequenza di un occhiolino con l'amore già sotto il tavolino.
A inseguir aquiloni a imparare le lune a cercare le ore.
Gli occhi come il cielo sul mare a risplendere d'infinito in un abbraccio d'essenza intensa come arcobaleno sul grigio a richiamar la vita in uno sguardo.