Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Vedrete quel che vedrete
Nuota una fanciulla nuda nel mare
Un uomo barbuto sull'acqua cammina
Dov'è la meraviglia delle meraviglie
Il miracolo annunciato prima?
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Nuota una fanciulla nuda nel mare
Un uomo barbuto sull'acqua cammina
Dov'è la meraviglia delle meraviglie
Il miracolo annunciato prima?
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.
O mamma, o mammina, hai stirato
la nuova camicia di lino?
Non c'era laggiù tra il bucato,
sul bossolo o sul biancospino.
Su gli occhi tu tieni le mani...
Perché? Non lo sai che domani...?
din don dan, din don dan.
Si parlano i bianchi villaggi
cantando in un lume di rosa:
dell'ombra dè monti selvaggi
si sente una romba festosa.
Tu tieni a gli orecchi le mani...
tu piangi; ed è festa domani...
din don dan, din don dan.
Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
quanti anni ora sono? Una sera...
il bimbo era freddo, di neve;
il bimbo era bianco, di cera:
allora sonò la campana
(perché non pareva lontana? )
din don dan, din don dan.
Sonavano a festa, come ora,
per l'angiolo; il nuovo angioletto
nel cielo volava a quell'ora;
ma tu lo volevi al tuo petto,
con noi, nella piccola zana:
gridavi; e lassù la campana...
din don dan, din don dan.
È un ampio armadio scolpito; l'antica scura
quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente;
l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura
come onda di vin vecchio, un profumo attraente.
È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato
di panni odorosi e gialli, di straccetti
di donne e fanciulli, di appassiti merletti,
di scialli di nonna col grifo pitturato;
- Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde,
i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori
secchi il cui profumo insieme si confonde.
- Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte!
Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori
se lente s'aprono le grandi nere porte.
Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l'occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il colore nemmen delle tue chiome.
Ma so che vivi nel silenzio; come
care ti sono le mie rime: questo
ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai c'incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l'amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai!
L'anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre piú addentro, sempre piú nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d'Appennino alla Romagna;
l'anguilla, torcia, frusta,
freccia d'Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l'anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l'arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito:
l'iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù dà colli e dà tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vò; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
Cosmopolites without a plea
Alight in every Land
The compliments of Paradise
From these within my Hand
Their dappled Journey - to themselves
A compensation fair -
Knock and it shall be opened
Is their Theology.
Quando l'Eterno passeggiò col guardo
Tutto il creato, diffondendo intorno
Riso di pace, e fiammeggiar si vide
Nè cieli il Sole, e rotear le stelle
Dietro la dolce-radïante Luna
Tra il fresco vel di solitaria notte,
E germogliò natura, e al grigio capo
Degli altissimi monti alberi eccelsi
Fèro corona, e orrisonando udissi
L'ampio padre Oceàn fremer da lungi;
Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni
Scese Giustizia, e i fulmini guizzando
Al fianco le strideano, i dispersi
Crini eran cinti d'abbaglianti lampi.
In alto assisa vide ergersi il fumo
D'innocuo sangue, che fraterna mano
Invida sparse, e dagli vacui abissi
A tracannarlo, e tingersi le guance
Morte ansante lanciossi: immerse allora
La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta
Piombò su l'orbe, che tacque e crollò.
Ma fra le colpe di natura infame
Brutta d'orrore la tremenda Dea
Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto
E le aggruppate chiome ad ogni scossa
Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi
S'udia l'inferno e la potenza eterna
Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve
Contaminata la Giustizia fera,
E al sozzo pondo dell'umane colpe
Le suo immense bilance cigolaro;
Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde
Inabissata nel tartareo centro.
L'Onnipossente dal più eccelso giro
Della sua gloria, d'onde tutto move,
Udì le strida del percosso mondo,
E al ciel lanciarsi la ministra eterna
Vide: accennò la fronte, e le soavi
Arpe angeliche tacquero; e la faccia
Prostraro i cherubini, e '1 firmamento
Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno,
Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere
Ondeggeranno quasi lievi paglie
L'audaci moli; le turrite cime,
D'un astro allo strisciar, cenere e fumo
Saranno a un tratto; tentennar vedrassi
Orrisonante la sferrata terra,
Che stritolata piomberà nel lembo
D'antiqua notte, fra le cui tenèbre
E Luna e Sol staran confusi e muti;
Negro e sanguigno bollirà furente
Lo spumante Oceàn, rigurgitando
Dall'imo ventre polve e fracid'ossa,
Che al rintronar di rantolosa tuba
Rivestiran lor salma, e quai giganti
Vedransi passeggiar su le ruine
Dè globi inabissati! E morte e nulla
Tutto sarà: precederammi il foco,
Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle,
Armate il braccio ed infiammato il volto,
Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo
Scenda sino a quel giorno, e di tremenda
Giustizia fermi l'instancabil brando.
Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille
Voci di gaudio, dell'Eterno al trono
Le ginocchia piegò; stese la palma
Il Re dei re su la chinata testa,
E l'unse del suo amor. Udissi allora
Spontaneamente volteggiar pè cieli
Inno sacro a Pietà: m'udite attenti
E terra e mar, e canterò; m'udite,
Chè questo è un inno che dal ciel discende.
Metà segreteria
soviet o comitato
ai cani sciolti, al volontariato
ai centri sociali, agli operai
a chi non molla mai
a chi fa opposizione
anche se non è inquadrato
dalle direttive prese,
dalle telecamere accese.