O mamma, o mammina, hai stirato la nuova camicia di lino? Non c'era laggiù tra il bucato, sul bossolo o sul biancospino. Su gli occhi tu tieni le mani... Perché? Non lo sai che domani...? din don dan, din don dan. Si parlano i bianchi villaggi cantando in un lume di rosa: dell'ombra dè monti selvaggi si sente una romba festosa. Tu tieni a gli orecchi le mani... tu piangi; ed è festa domani... din don dan, din don dan. Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve... quanti anni ora sono? Una sera... il bimbo era freddo, di neve; il bimbo era bianco, di cera: allora sonò la campana (perché non pareva lontana? ) din don dan, din don dan. Sonavano a festa, come ora, per l'angiolo; il nuovo angioletto nel cielo volava a quell'ora; ma tu lo volevi al tuo petto, con noi, nella piccola zana: gridavi; e lassù la campana... din don dan, din don dan.
L'anguilla, la sirena dei mari freddi che lascia il Baltico per giungere ai nostri mari, ai nostri estuari, ai fiumi che risale in profondo, sotto la piena avversa, di ramo in ramo e poi di capello in capello, assottigliati, sempre piú addentro, sempre piú nel cuore del macigno, filtrando tra gorielli di melma finché un giorno una luce scoccata dai castagni ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta, nei fossi che declinano dai balzi d'Appennino alla Romagna; l'anguilla, torcia, frusta, freccia d'Amore in terra che solo i nostri botri o i disseccati ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di fecondazione; l'anima verde che cerca vita là dove solo morde l'arsura e la desolazione, la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito: l'iride breve, gemella di quella che incastonano i tuoi cigli e fai brillare intatta in mezzo ai figli dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu non crederla sorella?
La donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell'erba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine Su la scala a filar la vecchierella, Incontro là dove si perde il giorno; E novellando vien del suo buon tempo, Quando ai dì della festa ella si ornava, Ed ancor sana e snella Solea danzar la sera intra di quei Ch'ebbe compagni dell'età più bella. Già tutta l'aria imbruna, Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre Giù dà colli e dà tetti, Al biancheggiar della recente luna. Or la squilla dà segno Della festa che viene; Ed a quel suon diresti Che il cor si riconforta. I fanciulli gridando Su la piazzuola in frotta, E qua e là saltando, Fanno un lieto romore: E intanto riede alla sua parca mensa, Fischiando, il zappatore, E seco pensa al dì del suo riposo. Poi quando intorno è spenta ogni altra face, E tutto l'altro tace, Odi il martel picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa bottega alla lucerna, E s'affretta, e s'adopra Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba. Questo di sette è il più gradito giorno, Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran l'ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno. Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita È come un giorno d'allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vò; ma la tua festa Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
È un ampio armadio scolpito; l'antica scura quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente; l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura come onda di vin vecchio, un profumo attraente.
È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato di panni odorosi e gialli, di straccetti di donne e fanciulli, di appassiti merletti, di scialli di nonna col grifo pitturato;
- Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde, i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori secchi il cui profumo insieme si confonde.
- Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte! Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori se lente s'aprono le grandi nere porte.
Quando l'Eterno passeggiò col guardo Tutto il creato, diffondendo intorno Riso di pace, e fiammeggiar si vide Nè cieli il Sole, e rotear le stelle Dietro la dolce-radïante Luna Tra il fresco vel di solitaria notte, E germogliò natura, e al grigio capo Degli altissimi monti alberi eccelsi Fèro corona, e orrisonando udissi L'ampio padre Oceàn fremer da lungi; Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni Scese Giustizia, e i fulmini guizzando Al fianco le strideano, i dispersi Crini eran cinti d'abbaglianti lampi. In alto assisa vide ergersi il fumo D'innocuo sangue, che fraterna mano Invida sparse, e dagli vacui abissi A tracannarlo, e tingersi le guance Morte ansante lanciossi: immerse allora La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta Piombò su l'orbe, che tacque e crollò. Ma fra le colpe di natura infame Brutta d'orrore la tremenda Dea Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto E le aggruppate chiome ad ogni scossa Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi S'udia l'inferno e la potenza eterna Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve Contaminata la Giustizia fera, E al sozzo pondo dell'umane colpe Le suo immense bilance cigolaro; Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde Inabissata nel tartareo centro.
L'Onnipossente dal più eccelso giro Della sua gloria, d'onde tutto move, Udì le strida del percosso mondo, E al ciel lanciarsi la ministra eterna Vide: accennò la fronte, e le soavi Arpe angeliche tacquero; e la faccia Prostraro i cherubini, e '1 firmamento Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno, Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere Ondeggeranno quasi lievi paglie L'audaci moli; le turrite cime, D'un astro allo strisciar, cenere e fumo Saranno a un tratto; tentennar vedrassi Orrisonante la sferrata terra, Che stritolata piomberà nel lembo D'antiqua notte, fra le cui tenèbre E Luna e Sol staran confusi e muti; Negro e sanguigno bollirà furente Lo spumante Oceàn, rigurgitando Dall'imo ventre polve e fracid'ossa, Che al rintronar di rantolosa tuba Rivestiran lor salma, e quai giganti Vedransi passeggiar su le ruine Dè globi inabissati! E morte e nulla Tutto sarà: precederammi il foco, Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle, Armate il braccio ed infiammato il volto, Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo Scenda sino a quel giorno, e di tremenda Giustizia fermi l'instancabil brando. Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille Voci di gaudio, dell'Eterno al trono Le ginocchia piegò; stese la palma Il Re dei re su la chinata testa, E l'unse del suo amor. Udissi allora Spontaneamente volteggiar pè cieli Inno sacro a Pietà: m'udite attenti E terra e mar, e canterò; m'udite, Chè questo è un inno che dal ciel discende.
Cosmopolites without a plea Alight in every Land The compliments of Paradise From these within my Hand Their dappled Journey - to themselves A compensation fair - Knock and it shall be opened Is their Theology.
Metà segreteria soviet o comitato ai cani sciolti, al volontariato ai centri sociali, agli operai a chi non molla mai a chi fa opposizione anche se non è inquadrato dalle direttive prese, dalle telecamere accese.
Ti guardo e il sole cresce Presto ricoprirà la nostra giornata Svegliati cuore e colori in mente Per dissipare le pene della notte
Ti guardo tutto è spoglio Fuori le barche hanno poca acqua Bisogna dire tutto con poche parole Il mare è freddo senza amore
È l'inizio del mondo Le onde culleranno il cielo E tu vieni cullata dalle tue lenzuola Tiri il sonno verso di te Svegliati che io segua le tue tracce Ho un corpo per attenderti per seguirti Dalle porte dell'alba alle porte dell'ombra Un corpo per passare la mia vita ad amarti
Nel cerchio di un pensiero a volte mi riposo sognando e lí sta il tuo peccato perché mi entri nel corpo e il corpo si appassiona gridando di un'estasi che non è sua altri giovani amanti diciamo che sono presenti nei tuoi baci nelle mie disattenzioni infatti su di me hanno camminato le ombre dei morti di coloro che sono inceneriti in un letto e non hanno mai avuto niente.