Me ne vado per le strade strette oscure e misteriose vedo dietro le vetrate affacciarsi Gemme e Rose. Dalle scale misteriose c'è chi scende brancolando dietro i vetri rilucenti stan le ciane commentando. ... ... La stradina è solitaria non c'è un cane; qualche stella nella notte sopra i tetti: e la notte mi par bella. E cammino poveretto nella notte fantasiosa pur mi sento nella bocca la saliva disgustosa. Via dal tanfo via dal tanfo e per le strade e cammina e via cammina, già le case son più rade. Trovo l'erba: mi ci stendo a conciarmi come un cane: Da lontano un ubriaco canta amore alle persiane.
Poi le luci girando al vicin colle, dov'era il cespo che ' bel piè trafisse, fermossi alquanto a rimirarlo, e volle il suo fior salutar pria che partisse; e vedutolo ancor stillante e molle quivi porporeggiar, così gli disse: "Sàlviti il Ciel da tutti oltraggi e danni, fatal cagion dei miei felici affanni: Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura, rosa del sangue mio fatta vermiglia, pregio del mondo e fregio di natura, de la Terra e del Sol vergine figlia, d'ogni ninfa e pastor delizia e cura, onor de l'odorifera famiglia, tu tien d'ogni beltà le palme prime, sovra il vulgo dè fior Donna sublime. Quasi in bel trono Imperatrice altera siedi colà su la nativa sponda. Turba d'aure vezzosa e lusinghiera ti corteggia d'intorno e ti seconda; e di guardie pungenti armata schiera ti difende per tutto, e ti circonda. E tu fastosa del tuo regio vanto porti d'or la corona e d'ostro il manto. Porpora dè giardin, pompa dè prati, gemma di primavera, occhio d'aprile, dite le Grazie e gli Amoretti alati fan ghirlanda a la chioma, al sen monile. Tu, qualor torna a gli alimenti usati ape leggiadra o zeffiro gentile, dài lor da bere in tazza di rubini rugiadosi licori e cristallini. Non superbisca ambizioso il Sole di trionfar fra le minori stelle, che ancor tu fra i ligustri e le viole scopri le pompe tue superbe e belle. Tu sei con tue bellezze uniche e sole splendor di queste piagge, egli di quelle. Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo. E ben saran tra voi conformi voglie: dite fia '1 Sole, e tu del Sole amante, ei de l'insegne tue, de le tue spoglie l'aurora vestirà nel suo levante. Tu spiegherai nè crini e ne le foglie la sua livrea dorata e fiammeggiante, e per ritrarlo ed imitarlo appieno porterai sempre un picciol Sole in seno. "
Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettose e care Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l'insueto allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso dè Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo, Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli Natar giova trà nembi, e noi la vasta Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell'onda. Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i numi e l'empia Sorte non fenno. À tuoi superbi regni Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L'aprico margo, e dall'eterea porta Il mattutino albor; me non il canto Dè colorati augelli, e non dè faggi Il murmure saluta: e dove all'ombra Degl'inchinati salici dispiega Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico piè le flessuose linfe Disdegnando sottragge, E preme in fuga l'odorate spiagge. Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In che peccai bambina, allor che ignara Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di giovanezza, e disfiorato, al fuso Dell'indomita Parca si volvesse Il ferrigno mio stame? Incaute voci Spande il tuo labbro: i destinati eventi Move arcano consiglio. Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre, Alle amene sembianze eterno regno Diè nelle genti; e per virili imprese, Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto. Morremo. Il velo indegno a terra sparto Rifuggirà l'ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator dè casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano D'implacato desio furor mi strinse, Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Giorno di nostra età primo s'invola. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra Della gelida morte. Ecco di tante Sperate palme e dilettosi errori, Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno Han la tenaria Diva, E l'atra notte, e la silente riva.
Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino. L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce, le stelle scintillano, la civetta chiama, ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia nel nirvana beato della luce eterna! Và dal cuore buono che è mio marito, che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore: - digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui, hanno foggiato il mio destino — che attraverso la carne raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace. Non ci sono matrimoni in cielo, ma c'è l'amore.
Un'ape esser vorrei, donna bella e crudele, che sussurrando in voi suggesse il mèle; e, non potendo il cor, potesse almeno pungervi il bianco seno, e 'n sì dolce ferita vendicata lasciar la propria vita.
Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa: Tu dormi, che t'accolse agevol sonno Nelle tue chete stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai né pensi Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno Appare in vista, a salutar m'affaccio, E l'antica natura onnipossente, Che mi fece all'affanno. A te la speme Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. Questo dì fu solenne: or dà trastulli Prendi riposo; e forse ti rimembra In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Piacquero a te: non io, non già ch'io speri, Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo Quanto a viver mi resti, e qui per terra Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi In così verde etate! Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto Dell'artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov'è il suono Di què popoli antichi? Or dov'è il grido Dè nostri avi famosi, e il grande impero Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio Che n'andò per la terra e l'oceano? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e più di lor non si ragiona. Nella mia prima età, quando s'aspetta Bramosamente il dì festivo, or poscia Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia, Premea le piume; ed alla tarda notte Un canto che s'udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco, Già similmente mi stringeva il core.
Le mani delle donne che incontrammo una volta, e nel sogno, e ne la vita: oh quelle mani, Anima, quelle dita che stringemmo una volta, che sfiorammo con le labbra, e nel sogno, e ne la vita! Fredde talune, fredde come cose morte, di gelo (tutto era perduto): o tiepide, parean come un velluto che vivesse, parean come le rose: rose di qual giardino sconosciuto? Ci lasciaron talune una fragranza così tenace che per una intera notte avemmo nel cuore la primavera; e tanto auliva la soligna stanza che foresta d'april non più dolce era. Da altre, cui forse ardeva il fuoco estremo d'uno spirto (ove sei, piccola mano, intangibile ormai, che troppo piano strinsi? ), venne il rammarico supremo: - Tu che m'avesti amato, e non in vano! - Da altre venne il desìo, quel violento Fulmineo desio che ci percote come una sferza; e immaginammo ignote lussurie in un'alcova, un morir lento: - per quella bocca aver le vene vuote! - Altre (o le stesse) furono omicide: meravigliose nel tramar l'inganno. Tutti gli odor d'Arabia non potranno Addolcirle. - Bellissime e infide, quanti per voi baciare periranno! - Altre (o le stesse), mani alabastrine ma più possenti di qualunque spira, ci diedero un furor geloso, un'ira folle; e pensammo di mozzarle al fine. (Nel sogno sta la mutilata, e attira. Nel sogno immobilmente eretta vive l'atroce donna dalle mani mozze. E innanzi a lei rosseggiano due pozze di sangue, e le mani entro ancora vive sonvi, neppure d'una stilla sozze). Ma ben, pari a le mani di Maria, altre furono come le ostie sante. Brillò su l'anulare il diamante né gesti gravi della liturgia? E non mai tra i capelli d'un amante. Altre, quasi virili, che stringemmo forte e a lungo, da noi ogni paura fugarono, ogni passione oscura; e anelammo a la Gloria, e in noi vedemmo illuminarsi l'opera futura. Altre ancora ci diedero un profondo brivido, quello che non ha l'uguale. Noi sentimmo, così, che ne la frale palma chiuder potevano esse un mondo immenso, e tutto il Bene e tutto il Male: Anima, e tutto il Bene e tutto il Male.