Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

La petite promenade du poète

Me ne vado per le strade
strette oscure e misteriose
vedo dietro le vetrate
affacciarsi Gemme e Rose.
Dalle scale misteriose
c'è chi scende brancolando
dietro i vetri rilucenti
stan le ciane commentando.
...
...
La stradina è solitaria
non c'è un cane; qualche stella
nella notte sopra i tetti:
e la notte mi par bella.
E cammino poveretto
nella notte fantasiosa
pur mi sento nella bocca
la saliva disgustosa. Via dal tanfo
via dal tanfo e per le strade
e cammina e via cammina,
già le case son più rade.
Trovo l'erba: mi ci stendo
a conciarmi come un cane:
Da lontano un ubriaco
canta amore alle persiane.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Elogio della rosa (Adone)

    Poi le luci girando al vicin colle,
    dov'era il cespo che ' bel piè trafisse,
    fermossi alquanto a rimirarlo, e volle
    il suo fior salutar pria che partisse;
    e vedutolo ancor stillante e molle
    quivi porporeggiar, così gli disse:
    "Sàlviti il Ciel da tutti oltraggi e danni,
    fatal cagion dei miei felici affanni:
    Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura,
    rosa del sangue mio fatta vermiglia,
    pregio del mondo e fregio di natura,
    de la Terra e del Sol vergine figlia,
    d'ogni ninfa e pastor delizia e cura,
    onor de l'odorifera famiglia,
    tu tien d'ogni beltà le palme prime,
    sovra il vulgo dè fior Donna sublime.
    Quasi in bel trono Imperatrice altera
    siedi colà su la nativa sponda.
    Turba d'aure vezzosa e lusinghiera
    ti corteggia d'intorno e ti seconda;
    e di guardie pungenti armata schiera
    ti difende per tutto, e ti circonda.
    E tu fastosa del tuo regio vanto
    porti d'or la corona e d'ostro il manto.
    Porpora dè giardin, pompa dè prati,
    gemma di primavera, occhio d'aprile,
    dite le Grazie e gli Amoretti alati
    fan ghirlanda a la chioma, al sen monile.
    Tu, qualor torna a gli alimenti usati
    ape leggiadra o zeffiro gentile,
    dài lor da bere in tazza di rubini
    rugiadosi licori e cristallini.
    Non superbisca ambizioso il Sole
    di trionfar fra le minori stelle,
    che ancor tu fra i ligustri e le viole
    scopri le pompe tue superbe e belle.
    Tu sei con tue bellezze uniche e sole
    splendor di queste piagge, egli di quelle.
    Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo,
    tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo.
    E ben saran tra voi conformi voglie:
    dite fia '1 Sole, e tu del Sole amante,
    ei de l'insegne tue, de le tue spoglie
    l'aurora vestirà nel suo levante.
    Tu spiegherai nè crini e ne le foglie
    la sua livrea dorata e fiammeggiante,
    e per ritrarlo ed imitarlo appieno
    porterai sempre un picciol Sole in seno. "
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Le conchiglie

      Ogni incrostata conchiglia che sta
      In quella grotta in cui ci siamo amati
      Ha la sua propria particolarità.

      Una dell'anima nostra ha la porpora
      Che ha succhiato nel sangue ai nostri cuori
      Quando io brucio e tu a quel fuoco ardi;

      Un'altra imita te nei tuoi languori
      E nei pallori tuoi di quando, stanca,
      Ce l'hai con me perché ho gli occhi beffardi.

      Questa fa specchio a come in te s'avvolge
      La grazia del tuo orecchio, un'altra invece
      Alla tenera e corta nuca rosa;

      Ma una sola, fra tutte, mi sconvolge.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        L'ultimo canto di Saffo

        Placida notte, e verecondo raggio
        Della cadente luna; e tu che spunti
        Fra la tacita selva in su la rupe,
        Nunzio del giorno; oh dilettose e care
        Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
        Sembianze agli occhi miei; già non arride
        Spettacol molle ai disperati affetti.
        Noi l'insueto allor gaudio ravviva
        Quando per l'etra liquido si volve
        E per li campi trepidanti il flutto
        Polveroso dè Noti, e quando il carro,
        Grave carro di Giove a noi sul capo,
        Tonando, il tenebroso aere divide.
        Noi per le balze e le profonde valli
        Natar giova trà nembi, e noi la vasta
        Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto
        Fiume alla dubbia sponda
        Il suono e la vittrice ira dell'onda.
        Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
        Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
        Infinita beltà parte nessuna
        Alla misera Saffo i numi e l'empia
        Sorte non fenno. À tuoi superbi regni
        Vile, o natura, e grave ospite addetta,
        E dispregiata amante, alle vezzose
        Tue forme il core e le pupille invano
        Supplichevole intendo. A me non ride
        L'aprico margo, e dall'eterea porta
        Il mattutino albor; me non il canto
        Dè colorati augelli, e non dè faggi
        Il murmure saluta: e dove all'ombra
        Degl'inchinati salici dispiega
        Candido rivo il puro seno, al mio
        Lubrico piè le flessuose linfe
        Disdegnando sottragge,
        E preme in fuga l'odorate spiagge.
        Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
        Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
        Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
        In che peccai bambina, allor che ignara
        Di misfatto è la vita, onde poi scemo
        Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
        Dell'indomita Parca si volvesse
        Il ferrigno mio stame? Incaute voci
        Spande il tuo labbro: i destinati eventi
        Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
        Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
        Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
        Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme
        Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
        Alle amene sembianze eterno regno
        Diè nelle genti; e per virili imprese,
        Per dotta lira o canto,
        Virtù non luce in disadorno ammanto.
        Morremo. Il velo indegno a terra sparto
        Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
        E il crudo fallo emenderà del cieco
        Dispensator dè casi. E tu cui lungo
        Amore indarno, e lunga fede, e vano
        D'implacato desio furor mi strinse,
        Vivi felice, se felice in terra
        Visse nato mortal. Me non asperse
        Del soave licor del doglio avaro
        Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
        Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
        Giorno di nostra età primo s'invola.
        Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
        Della gelida morte. Ecco di tante
        Sperate palme e dilettosi errori,
        Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
        Han la tenaria Diva,
        E l'atra notte, e la silente riva.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Sarah Brown

          Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino.
          L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce,
          le stelle scintillano, la civetta chiama,
          ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia
          nel nirvana beato della luce eterna!
          Và dal cuore buono che è mio marito,
          che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore: -
          digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui, hanno foggiato il mio destino — che attraverso la carne raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.
          Non ci sono matrimoni in cielo,
          ma c'è l'amore.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La sera del dì di festa

            Dolce e chiara è la notte e senza vento,
            E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
            Posa la luna, e di lontan rivela
            Serena ogni montagna. O donna mia,
            Già tace ogni sentiero, e pei balconi
            Rara traluce la notturna lampa:
            Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
            Nelle tue chete stanze; e non ti morde
            Cura nessuna; e già non sai né pensi
            Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
            Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
            Appare in vista, a salutar m'affaccio,
            E l'antica natura onnipossente,
            Che mi fece all'affanno. A te la speme
            Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
            Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
            Questo dì fu solenne: or dà trastulli
            Prendi riposo; e forse ti rimembra
            In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
            Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
            Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
            Quanto a viver mi resti, e qui per terra
            Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
            In così verde etate! Ahi, per la via
            Odo non lunge il solitario canto
            Dell'artigian, che riede a tarda notte,
            Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
            E fieramente mi si stringe il core,
            A pensar come tutto al mondo passa,
            E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
            Il dì festivo, ed al festivo il giorno
            Volgar succede, e se ne porta il tempo
            Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
            Di què popoli antichi? Or dov'è il grido
            Dè nostri avi famosi, e il grande impero
            Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
            Che n'andò per la terra e l'oceano?
            Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
            Il mondo, e più di lor non si ragiona.
            Nella mia prima età, quando s'aspetta
            Bramosamente il dì festivo, or poscia
            Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
            Premea le piume; ed alla tarda notte
            Un canto che s'udia per li sentieri
            Lontanando morire a poco a poco,
            Già similmente mi stringeva il core.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Le mani

              Le mani delle donne che incontrammo
              una volta, e nel sogno, e ne la vita:
              oh quelle mani, Anima, quelle dita
              che stringemmo una volta, che sfiorammo
              con le labbra, e nel sogno, e ne la vita!
              Fredde talune, fredde come cose
              morte, di gelo (tutto era perduto):
              o tiepide, parean come un velluto
              che vivesse, parean come le rose:
              rose di qual giardino sconosciuto?
              Ci lasciaron talune una fragranza
              così tenace che per una intera
              notte avemmo nel cuore la primavera;
              e tanto auliva la soligna stanza
              che foresta d'april non più dolce era.
              Da altre, cui forse ardeva il fuoco estremo
              d'uno spirto (ove sei, piccola mano,
              intangibile ormai, che troppo piano
              strinsi? ), venne il rammarico supremo:
              - Tu che m'avesti amato, e non in vano! -
              Da altre venne il desìo, quel violento
              Fulmineo desio che ci percote
              come una sferza; e immaginammo ignote
              lussurie in un'alcova, un morir lento:
              - per quella bocca aver le vene vuote! -
              Altre (o le stesse) furono omicide:
              meravigliose nel tramar l'inganno.
              Tutti gli odor d'Arabia non potranno
              Addolcirle. - Bellissime e infide,
              quanti per voi baciare periranno! -
              Altre (o le stesse), mani alabastrine
              ma più possenti di qualunque spira,
              ci diedero un furor geloso, un'ira
              folle; e pensammo di mozzarle al fine.
              (Nel sogno sta la mutilata, e attira.
              Nel sogno immobilmente eretta vive
              l'atroce donna dalle mani mozze.
              E innanzi a lei rosseggiano due pozze
              di sangue, e le mani entro ancora vive
              sonvi, neppure d'una stilla sozze).
              Ma ben, pari a le mani di Maria,
              altre furono come le ostie sante.
              Brillò su l'anulare il diamante
              né gesti gravi della liturgia?
              E non mai tra i capelli d'un amante.
              Altre, quasi virili, che stringemmo
              forte e a lungo, da noi ogni paura
              fugarono, ogni passione oscura;
              e anelammo a la Gloria, e in noi vedemmo
              illuminarsi l'opera futura.
              Altre ancora ci diedero un profondo
              brivido, quello che non ha l'uguale.
              Noi sentimmo, così, che ne la frale
              palma chiuder potevano esse un mondo
              immenso, e tutto il Bene e tutto il Male:
              Anima, e tutto il Bene e tutto il Male.
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