Il poeta è un uccello che becca le parole sotto la neve del normale viene sul davanzale e scappa, impaurito se lo vuoi catturare Il poeta è femmina Il poeta è gagliardo ha qualcosa, nello sguardo che tu dici: è un poeta Spesso è analfabeta ma è meglio è piú immediato il poeta è un ammalato colitico, fegatoso, asmatico il poeta è antipatico, scontroso ombroso: guai chiamarlo poeta è una cometa che annuncia un mondo nuovo è assolutamente inutile è un fallito è un pappagallo di partito è organico, no, è fatto d'aria ha nella penna tutta intera la rabbia proletaria è sopra la politica è sopra il mondo il poeta è tisico e biondo il poeta è sempre suicida il poeta è un furbone il poeta è una sfida alle banalità del mondo il poeta è assolutamente del tutto normale il poeta è omosessuale il poeta è un santo il poeta è una spia poi un giorno va via in un isola lontana o anche a puttana e lascia un gran vuoto nella poesia la sua il poeta è il titolo di questa mia.
Me ne vado per le strade strette oscure e misteriose vedo dietro le vetrate affacciarsi Gemme e Rose. Dalle scale misteriose c'è chi scende brancolando dietro i vetri rilucenti stan le ciane commentando. ... ... La stradina è solitaria non c'è un cane; qualche stella nella notte sopra i tetti: e la notte mi par bella. E cammino poveretto nella notte fantasiosa pur mi sento nella bocca la saliva disgustosa. Via dal tanfo via dal tanfo e per le strade e cammina e via cammina, già le case son più rade. Trovo l'erba: mi ci stendo a conciarmi come un cane: Da lontano un ubriaco canta amore alle persiane.
Poi le luci girando al vicin colle, dov'era il cespo che ' bel piè trafisse, fermossi alquanto a rimirarlo, e volle il suo fior salutar pria che partisse; e vedutolo ancor stillante e molle quivi porporeggiar, così gli disse: "Sàlviti il Ciel da tutti oltraggi e danni, fatal cagion dei miei felici affanni: Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura, rosa del sangue mio fatta vermiglia, pregio del mondo e fregio di natura, de la Terra e del Sol vergine figlia, d'ogni ninfa e pastor delizia e cura, onor de l'odorifera famiglia, tu tien d'ogni beltà le palme prime, sovra il vulgo dè fior Donna sublime. Quasi in bel trono Imperatrice altera siedi colà su la nativa sponda. Turba d'aure vezzosa e lusinghiera ti corteggia d'intorno e ti seconda; e di guardie pungenti armata schiera ti difende per tutto, e ti circonda. E tu fastosa del tuo regio vanto porti d'or la corona e d'ostro il manto. Porpora dè giardin, pompa dè prati, gemma di primavera, occhio d'aprile, dite le Grazie e gli Amoretti alati fan ghirlanda a la chioma, al sen monile. Tu, qualor torna a gli alimenti usati ape leggiadra o zeffiro gentile, dài lor da bere in tazza di rubini rugiadosi licori e cristallini. Non superbisca ambizioso il Sole di trionfar fra le minori stelle, che ancor tu fra i ligustri e le viole scopri le pompe tue superbe e belle. Tu sei con tue bellezze uniche e sole splendor di queste piagge, egli di quelle. Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo. E ben saran tra voi conformi voglie: dite fia '1 Sole, e tu del Sole amante, ei de l'insegne tue, de le tue spoglie l'aurora vestirà nel suo levante. Tu spiegherai nè crini e ne le foglie la sua livrea dorata e fiammeggiante, e per ritrarlo ed imitarlo appieno porterai sempre un picciol Sole in seno. "
Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettose e care Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l'insueto allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso dè Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo, Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli Natar giova trà nembi, e noi la vasta Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell'onda. Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i numi e l'empia Sorte non fenno. À tuoi superbi regni Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L'aprico margo, e dall'eterea porta Il mattutino albor; me non il canto Dè colorati augelli, e non dè faggi Il murmure saluta: e dove all'ombra Degl'inchinati salici dispiega Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico piè le flessuose linfe Disdegnando sottragge, E preme in fuga l'odorate spiagge. Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In che peccai bambina, allor che ignara Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di giovanezza, e disfiorato, al fuso Dell'indomita Parca si volvesse Il ferrigno mio stame? Incaute voci Spande il tuo labbro: i destinati eventi Move arcano consiglio. Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre, Alle amene sembianze eterno regno Diè nelle genti; e per virili imprese, Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto. Morremo. Il velo indegno a terra sparto Rifuggirà l'ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator dè casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano D'implacato desio furor mi strinse, Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Giorno di nostra età primo s'invola. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra Della gelida morte. Ecco di tante Sperate palme e dilettosi errori, Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno Han la tenaria Diva, E l'atra notte, e la silente riva.
Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino. L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce, le stelle scintillano, la civetta chiama, ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia nel nirvana beato della luce eterna! Và dal cuore buono che è mio marito, che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore: - digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui, hanno foggiato il mio destino — che attraverso la carne raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace. Non ci sono matrimoni in cielo, ma c'è l'amore.
Non piangere per me quando mi saprai morto Non oltre il suono tetro della campana lugubre Che dà notizia al mondo che sono fuggito Dalla sua codardia per vivere coi vermi. Anzi, se leggerai queste righe, dimentica La mano che le ha scritte: io ti amo così tanto Che vorrei scomparire dalla tua mente Se il pensiero di me può portarti dolore. Oh se mai tu posassi gli occhi su questi versi quando forse sarò già sfatto nella terra, Ti prego non chiamare il mio nome Ma lascia che il tuo amore con la mia vita muoia. Così che il mondo accorto non veda mai che tu Soffri ancora e ne rida, quando non sarai più.
Le mani delle donne che incontrammo una volta, e nel sogno, e ne la vita: oh quelle mani, Anima, quelle dita che stringemmo una volta, che sfiorammo con le labbra, e nel sogno, e ne la vita! Fredde talune, fredde come cose morte, di gelo (tutto era perduto): o tiepide, parean come un velluto che vivesse, parean come le rose: rose di qual giardino sconosciuto? Ci lasciaron talune una fragranza così tenace che per una intera notte avemmo nel cuore la primavera; e tanto auliva la soligna stanza che foresta d'april non più dolce era. Da altre, cui forse ardeva il fuoco estremo d'uno spirto (ove sei, piccola mano, intangibile ormai, che troppo piano strinsi? ), venne il rammarico supremo: - Tu che m'avesti amato, e non in vano! - Da altre venne il desìo, quel violento Fulmineo desio che ci percote come una sferza; e immaginammo ignote lussurie in un'alcova, un morir lento: - per quella bocca aver le vene vuote! - Altre (o le stesse) furono omicide: meravigliose nel tramar l'inganno. Tutti gli odor d'Arabia non potranno Addolcirle. - Bellissime e infide, quanti per voi baciare periranno! - Altre (o le stesse), mani alabastrine ma più possenti di qualunque spira, ci diedero un furor geloso, un'ira folle; e pensammo di mozzarle al fine. (Nel sogno sta la mutilata, e attira. Nel sogno immobilmente eretta vive l'atroce donna dalle mani mozze. E innanzi a lei rosseggiano due pozze di sangue, e le mani entro ancora vive sonvi, neppure d'una stilla sozze). Ma ben, pari a le mani di Maria, altre furono come le ostie sante. Brillò su l'anulare il diamante né gesti gravi della liturgia? E non mai tra i capelli d'un amante. Altre, quasi virili, che stringemmo forte e a lungo, da noi ogni paura fugarono, ogni passione oscura; e anelammo a la Gloria, e in noi vedemmo illuminarsi l'opera futura. Altre ancora ci diedero un profondo brivido, quello che non ha l'uguale. Noi sentimmo, così, che ne la frale palma chiuder potevano esse un mondo immenso, e tutto il Bene e tutto il Male: Anima, e tutto il Bene e tutto il Male.