Chiusero la strada lì nel bosco già una settantina d'anni fa, maltempo e piogge l'hanno cassata, ed ora non potresti mai dire che c'era un tempo una strada lì nel bosco prima ancora che piantassero gli alberi. Starà sotto la macchia e sotto l'erica, o sotto gli esili anemoni. Solo il custode riesce a vedere che dove cova la palombella e i tassi ruzzolano a loro agio c'era un tempo una strada lì nel bosco.
Pure, se nel bosco ti inoltri in una tarda sera d'estate, quando fa la brezza freschi i laghetti guizzanti di trote, dove la lontra fischia al compagno (non temono gli uomini nel bosco poiché ne vedono ben pochi), udrai lo scalpitio di un cavallo e il frusciar di una gonna sulla rugiada, un galoppo fermo e persistente attraverso quelle nebbiose solitudini: quasi che perfettamente conoscessero l'antica perduta strada lì nel bosco... Ma non c'è nessuna strada lì nel bosco!
Senza nessuna ragione qualcosa si rompe in me e mi chiude la gola Senza nessuna ragione sobbalzo ad un tratto lasciando a mezzo lo scritto senza nessuna ragione nella hall di un albergo sogno in piedi senza nessuna ragione l'albero sul marciapiede mi batte in fronte
senza nessuna ragione un lupo urla alla luna iroso infelice affamato senza nessuna ragione le stelle scendono a dondolarsi sull'altalena del giardino senza nessuna ragione vedo come sarò nella tomba senza nessuna ragione nebbia e sole nella mia testa senza nessuna ragione mi attacco al giorno che inizia come se non dovesse finire mai più e ogni volta sei tu che sali dalle acque.
O cipresso, che solo e nero stacchi dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto irto di cardi e stridulo di biacchi:
in te sovente, al tempo delle more, odono i bimbi un pispillìo secreto, come d'un nido che ti sogni in cuore.
L'ultima cova. Tu canti sommesso mentre s'allunga l'ombra taciturna nel tristo campo: quasi, ermo cipresso, ella ricerchi tra què bronchi un'urna.
Più brevi i giorni, e l'ombra ogni dì meno s'indugia e cerca, irrequieta, al sole; e il sole è freddo e pallido il sereno.
L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra: nell'ombra ove le stelle errano sole. E il rovo arrossa e con le spine ingombra
tutti i sentieri, e cadono già roggie le foglie intorno (indifferente oscilla l'ermo cipresso), e già le prime pioggie fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.
E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte il vento e t'urta e ti percuote a lungo: tu sorgi, e resti; simile alla Morte.
E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo, di nebbia nera tra la grigia nebbia.
E il tuo sogno? La terra ecco scompare: la neve, muta a guisa del pensiero, cade. Tra il bianco e tacito franare tu stai, gigante immobilmente nero.
Le sei del mattino. Ho aperto la porta del giorno ci sono entrato ho assaporato l'azzurro nuovo nelle finestre le rughe della mia fronte di ieri sono rimaste sullo specchio
sulla mia nuca una voce di donna tenera peluria di pesca e le notizie del mio paese alla radio
vorrei correre d'albero in albero nel frutteto delle ore
verrà il tramonto, mia rosa e al di là della notte mi aspetterà spero il sapore di un nuovo azzurro.
Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall'azzurro: più chiaro si ascolta il susurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità Lo sguardo fruga d'intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità
Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta il tedio dell'inverno sulle case, la luce si fa avara - amara l'anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità.