Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Poesia d'amore

Nessuno sarà a casa
solo la sera. Il solo
giorno invernale nel vano trasparente
delle tende scostate.

Di palle di neve solo, umide, bianche
la rapida sfavillante traccia.
Soltanto tetti e neve e tranne
i tetti e la neve, nessuno.

E di nuovo ricamerà la brina,
e di nuovo mi prenderanno
la tristezza di un anno trascorso
e gli affanni di un altro inverno,

e di nuovo mi tormenteranno
per una colpa non ancora pagata,
e la finestra lungo la crociera
una fame di legno serrerà.

Ma per la tenda d'un tratto
scorrerà il brivido di un'irruzione .
Il silenzio coi passi misurando
tu entrerai, come il futuro.

Apparirai presso la porta,
vestita senza fronzoli, di qualcosa di bianco,
di qualcosa proprio di quei tessuti
di cui ricamano i fiocchi.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Alba

    Odoravano i fior di vitalba
    per via, le ginestre nel greto;
    aliavano prima dell'alba
    le rondini nell'uliveto.
    Aliavano mute con volo
    nero, agile, di pipistrello;
    e tuttora gemea l'assiolo,
    che già spincionava il fringuello.
    Tra i pinastri era l'alba che i rivi
    mirava discendere giù:
    guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
    virb... disse una rondine; e fu
    giorno: un giorno di pace e lavoro,
    che l'uomo mieteva il suo grano,
    e per tutto nel cielo sonoro
    saliva un cantare lontano.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La stella di Natale

      Era pieno inverno.
      Soffiava il vento della steppa.
      E aveva freddo il neonato nella grotta
      Sul pendio della collina.

      L'alito del bue lo riscaldava.
      Animali domestici
      stavano nella grotta,
      sulla culla vagava un tiepido vapore.

      Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
      e i grani di miglio,
      dalle rupi guardavano
      assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.

      Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
      e recinti e pietre tombali
      e stanghe di carri confitte nella neve,
      e sul cimitero il cielo tutto stellato.

      E lì accanto, mai vista sino allora,
      più modesta d'un lucignolo
      alla finestrella d'un capanno,
      traluceva una stella sulla strada di Betlemme.



      Per quella stessa via, per le stesse contrade
      degli angeli andavano, mescolati alla folla.
      L'incorporeità li rendeva invisibili,
      ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.

      Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
      Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
      E a loro, "chi siete? " domandò Maria.
      "Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
      siamo venuti a cantare lodi a voi due".
      "Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia".

      Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
      battevano i piedi mulattieri e allevatori.
      Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
      e accanto al tronco cavo dell'abbeverata
      mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.

      Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
      come granelli di cenere, le ultime stelle.
      E della innumerevole folla solo i Magi
      Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.

      Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
      come un raggio di luna dentro un albero cavo.
      Invece di calde pelli di pecora,
      le labbra d'un asino e le nari d'un bue.

      I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla
      Sussurravano, trovando a stento le parole.
      A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
      con una mano scostò un poco a sinistra
      dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
      e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
      alla Vergine guardava la stella di Natale.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Sospiro

        L'anima verso la tua fronte, o calma sorella,
        dove sogna un autunno sparso di macchie di porpora
        e verso il cielo errabondo delle tue iridi
        angeliche, sale, come in un malinconico
        giardino, fedele un bianco zampillo sospira
        verso l'Azzurro!
        - Verso l'Azzurro raddolcito d'Ottobre
        pallido e puro che specchia il suo languore infinito
        ai grandi bacini e lascia, sull'acqua morta
        dov'erra col vento la fulva agonia delle foglie
        scavando un gelido solco, trascinarsi
        il sole giallo con obliquo raggio.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Pietra di sole (frammenti)

          un salice di cristallo, un pioppo d'acqua,
          un alto getto che il vento inarca,
          un albero ben piantato ma danzante,
          un camminar di fiume che si curva,
          avanza, retrocede, fa un giro
          e sempre arriva:
          un camminar tranquillo
          di stella o primavera senza fretta,
          acqua che con le palpebre chiuse
          emette tutta notte profezie,
          unanime presenza in ondata,
          onda su onda fino a coprir tutto,
          verde sovranità senza tramonto
          come l'abbacinante effetto delle ali
          quando s'aprono nel mezzo del cielo, (... )
          vado per il tuo corpo come per il mondo,
          il tuo ventre è una spiaggia soleggiata,
          i tuoi seni due chiese dove il sangue
          celebra i suoi misteri paralleli,
          i miei sguardi ti coprono come edera,
          sei una città che il mare assedia,
          una muraglia che la luce divide
          in due metà color di pesca,
          un luogo di sale, roccia e uccelli
          sotto la legge del meriggio assorto,

          vestita del colore dei miei desideri
          vai nuda come il mio pensiero,
          vado pei tuoi occhi come per l'acqua,
          le tigri bevono sogno nei tuoi occhi,
          il colibrí si brucia in quelle fiamme,
          vado per la tua fronte come per la luna,
          come la nube per il tuo pensiero,
          vado per il tuo ventre come pei tuoi sogni,
          la tua gonna di mais ondeggia e canta,

          la tua gonna di cristallo, la tua gonna d'acqua,
          le tue labbra, i capelli, i tuoi sguardi,
          tutta la notte piovi, tutto il giorno
          apri il mio petto con le tue dita d'acqua,
          chiudi i miei occhi con la tua bocca d'acqua,
          sulle mie ossa piovi, nel mio petto
          affonda radici d'acqua un albero liquido,

          vado per la tua strada come per un fuime,
          vado per il tuo corpo come per un bosco,
          come per un sentiero nel monte
          che in un brusco abisso finisce,
          vado pei tuoi pensieri assottigliati
          e all'uscita dalla tua bianca fronte
          la mia ombra abbattuta si strazia,
          raccolgo i miei frammenti uno a uno
          e proseguo senza corpo, cerco tentoni, (... )

          —la vita, quando fu davvero nostra?
          quando siamo davvero ciò che siamo?
          ben guardato non siamo, mai siamo
          da soli se non vertigine e vuoto,
          smorfie nello specchio, orrore e vomito,
          mai la vita è nostra, è degli altri,
          la vita non è di nessuno, tutti siamo
          la vita —pane di sole per gli altri,
          tutti gli altri che siam noi—,
          son altro quando sono, i miei atti
          son piú miei se sono anche di tutti

          perché io possa essere devo esser altro,
          uscire da me, cercarmi tra gli altri,
          gli altri che non sono s'io non esisto,
          gli altri che mi dan piena esistenza,
          non sono, non v'è io, siam sempre noi,
          la vita è un'altra, sempre là, piú lungi,
          fuori di te, di me, sempre orizzonte,
          vita che ci svive e ci fa estranei
          che ci inventa un volto e lo sciupa,
          fame d'essere, oh morte, pane di tutti.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Rinascita

            L'esangue primavera già tristemente esilia
            L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena,
            E in me, dove un oscuro sangue colma ogni vena,
            L'impotenza si stira ed a lungo sbadiglia.
            Crepuscoli s'imbiancano tiepidi nella mente
            Che come vecchia tomba serra un cerchio di ferro,
            Ed inseguendo un sogno vago e bello, io erro
            Pei campi ove la linfa esulta immensamente.
            Poi procombo snervato di silvestri sentori,
            E scavando al mio sogno una fossa col viso,
            Mordendo il suolo caldo dove, sbocciano i fiori,
            Attendo nell'abisso che il tedio s'alzi... Oh riso
            Intanto dell'Azzurro sulla siepe e sui voli
            Degli uccelli ridesti che cinguettano al sole!
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Woher sind wir geboren?

              Woher sind wir geboren?
              Aus Lieb.
              Wie wären wir verloren?
              Ohn Lieb.
              Was hilft uns überwinden?
              Die Lieb.
              Kann man auch Liebe finden?
              Durch Lieb.
              Was läßt nicht lange weinen?
              Die Lieb.
              Was soll uns stets vereinen?
              Die Lieb.

              Da dove siamo nati?

              Da dove siamo nati?
              Dall'amore.
              Come saremmo perduti?
              Senza amore.
              Cosa ci aiuta a superarci?
              L'amore.
              Si può trovare anche l'amore?
              Con amore.
              Cosa abbrevia il pianto?
              L'amore.
              Cosa deve unirci sempre?
              L'amore.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Kinsey Keene

                Ascoltate, Thomas Rhodes, presidente della banca;
                Coolbaugh Whedon, direttore dell'"Argo";
                Reverendo Peet, pastore della prima chiesa;
                A. D. Blood, più volte sindaco di Spoon River;
                e finalmente voi tutti, membri dell'Associazione del Buon Costume —
                ascoltate le parole di Cambronne morituro,
                ritto con gli eroici superstiti
                della guardia di Napoleone a Mont Saint-Jean
                sul campo di battaglia di Waterloo,
                quando Maitland, l'inglese, gridò loro:
                "Arrendetevi, prodi Francesi! " —
                là sul finir del giorno, quando la battaglia fu irrimediabilmente perduta,
                e orde d'uomini che non eran più l'esercito
                del grande Napoleone
                si agitavano sul campo come brandelli laceri
                di nuvole tonanti nella tempesta.
                Ebbene, ciò che Cambronne disse a Maitland
                prima che il fuoco inglese spianasse il ciglio della collina
                contro la luce morente del giorno,
                io dico a voi, e a tutti voi,
                e a te, universo.
                E v'incarico di scolpirlo.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  La campagna

                  O tu cantor di morbidi
                  Pratei, di dolci rivi,
                  Che i verdi poggi, e gli alberi
                  Soavemente avvivi
                  Con gli armonici versi
                  Da fresche tinte aspersi,

                  Odi un poeta giovane,
                  Che il genio che l'ispira
                  Devoto siegue, e libero
                  Percote ardita lira,
                  E cò suoi canti vola
                  Al suo gentil Bertòla.

                  Fra campestri delizie
                  Tranquillo e lieto io vivo.
                  E col pensier fantastico
                  Tra me canto e descrivo
                  Sì vaghi paeselli,
                  Che ognor sembran novelli.

                  Pingo; ma resto attonito
                  Allor che su i tuoi fogli
                  Veggo fiorire, e sorgere
                  Pianto e marini scogli,
                  Che sembrano invitarmi
                  A sacrar loro i carmi.

                  Da me s'invola subito
                  Il mio picciol soggiorno,
                  E sol veggo Posilipo
                  E il mar che vanta intorno
                  Di Mergellina il lido
                  Ameno più che Gnido.

                  Estatici contemplano
                  Tuoi campi i cupid'occhi:
                  O come allor nell'anima
                  Sento beati tocchi,
                  Che mi dicono ognora:
                  Sì dolce vate onora.

                  Salve, dunque, del tenero
                  Gesnèr felice alunno!
                  Il lor poeta adorino
                  D'aprile e dell'autunno
                  Le Grazie e i lindi Amori
                  Coronati di fiori.

                  Il lor poeta adorino
                  Le serpeggianti linfe,
                  E dai monti scherzevoli
                  Scendan le gaje Ninfe,
                  E alternin baci in fronte
                  Al tòsco Anacreonte.

                  Ed io tesso tra cantici
                  Ghirlandetta odorosa
                  Non d'orgogliosi lauri,
                  Ma sol d'umida rosa,
                  E il capo ombreggio al molle
                  Abitator del colle.

                  E in cor brillante io dico:
                  Questa dona Natura
                  Al suo più ingenuo amico,
                  Ch'ella d'altro non cura:
                  Da lui schietto-dipinta
                  Di fior va anch'ella cinta.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    A Dante

                    Alto rombano i secoli
                    Su rapidissim'ali,
                    E dall'aere giù vibrano
                    Dritti infiammati strali
                    Che additano agl'ingegni
                    D'eterna gloria i segni:

                    Ma qual nebbia! Qual livido
                    Umor spargon dai vanni
                    Che in fetida caligine
                    Attomban nomi ed anni,
                    E rodono quel serto
                    Che ombreggia un tenue merto!

                    O mio Poeta, o altissimo
                    Signor del sommo canto,
                    Che con sublime cetera
                    Per la casa del pianto
                    Girasti, e fra la gente,
                    Che o gioisce, o si pente,

                    Tu vivi eterno. - Gloria
                    Di suo fulgor ti cinse,
                    Tuonò sua voce; un fulmine
                    Fu per chi ti dipinse
                    Testor stentato, oscuro
                    Di carmi e stile impuro.

                    Pèra! La lingua sucida
                    Costui nutra nel sangue,
                    E per delfici lauri
                    Gli accerchi invece un angue,
                    Sanie stillante infesta,
                    L'abbominevol testa.

                    Dicesti: ed ecco stridono
                    In suon ringhiante e forte
                    Gli aspri tartarei cardini:
                    Della cappa di morte
                    Infino à più vestute
                    Ecco l'Ombre perdute.

                    Io già le ascolto: echeggiano
                    Per l'aer senza stelle
                    Batter di man, bestemmie,
                    Orribili favelle,
                    Voci alte e fioche, accenti
                    D'ire in dolor furenti.

                    O Padre! O Vate! Un giovane
                    Cui l'estro ai cieli innalza,
                    Che pel genio che l'agita
                    Fervidamente sbalza
                    A inerudita cetra
                    Canti spargendo all'etra,

                    A te si prostra: un'anima
                    Che in sè ognor si ravvolge,
                    Che in ermi boschi tacita
                    Fugge dall'atre bolge
                    Di cittadino tetto,
                    Gl'irraggia l'intelletto.

                    Di sapienza nettare
                    Fra mie voglie delibo,
                    E, meditante, ai spiriti
                    Porgo l'augusto cibo
                    Che questa etade impura,
                    Famelica, non cura.

                    Muta di luce eterea
                    Alle peccata in grembo
                    Fra cupo orror s'avvoltola
                    L'Umanità: il suo lembo
                    Spruzzi di sangue stilla,
                    Ed ella va in favilla.

                    Ma ira di giustizia
                    Lui che può ciò che vuole
                    Ruggisce in cielo, e scaglia
                    Di spavento parole;
                    Vennero i giorni alfine
                    Di piaghe e di ruine.

                    Vennero si; ma sorgere,
                    Giganteggiando, i nostri
                    Carmi vedransi, e liberi
                    Calpestare què mostri
                    Che tumidi d'orgoglio
                    Siedono ingiusti in soglio.
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