Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Padre Nostro che sei nei cieli
Restaci
E noi resteremo sulla terra
Che qualche volta è così attraente
Con i suoi misteri di New York
E i suoi misteri di Parigi
Che ben valgono i misteri della Trinità
Con il suo minuscolo canale dell'Ourcq
La sua grande Muraglia Cinese
Il suo fiume di Morlaix
Le sue caramelle alla Menta
Con il suo Oceano Pacifico
E le sue due vasche alle Tuileries
Con i suoi bravi bambini e i suoi mascalzoni
Con tutte le meraviglie del mondo
Che sono là
Con semplicità sulla terra

A tutti offerte
Sparse
Esse stesse meravigliate d'esser tali meraviglie
E che non osano confessarselo
Come una bella ragazza nuda che mostrarsi non osa
Con le spaventose sventure del mondo
Che sono legioni
Con i loro legionari
Con i loro carnefici
Con i padroni di questo mondo
I padroni con i loro pretoni gli spioni e marmittoni
Con le stagioni
Con le annate
Con le belle figliole e i vecchi coglioni
Con la paglia della miseria che imputridisce nell'acciaio dei cannoni.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La Guazza

    Laggiù, nella notte, tra scosse
    d'un lento sonaglio, uno scalpito
    è fermo. Non anco son rosse
    le cime dell'Alpi.
    Nel cielo d'un languido azzurro,
    le stelle si sbiancano appena:
    si sente un confuso sussurro
    nell'aria serena.
    Chi passa per tacite strade?
    Chi parla da tacite soglie?
    Nessuno. È la guazza che cade
    sopr'aride foglie.
    Si parte, ch'è ora, né giorno,
    sbarrando le vane pupille;
    si parte tra un murmure intorno
    di piccole stille.
    In mezzo alle tenebre sole,
    qualcuna riluce un minuto;
    riflette il tuo Sole, o mio Sole;
    poi cade: ha veduto.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      In pena

      In pena per un cielo infranto
      per la pioggia che ci bagnerà
      vado pensando alla gioia grande
      che se vorremo ci prenderà.

      Tra dovere ed inquietudine
      esita quasta vita rude.
      (È una molto grande pena
      confessarlo, ora)

      Qui ogni cosa odora d'erba.
      Su tutto il cielo, in cielo, il volo delle rondini
      ci distrae, ci fa pensare...
      Io penso una speranza quieta.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Talvolta la mia gioia

        Talvolta
        la mia gioia
        ti spaventa
        amore mio
        nasce dal nulla
        e si nutre di poco
        di larve invisibili
        che il vento trasporta
        di frammenti di paura
        che si fondono in tepore
        di briciole di serenità
        cadute
        dalla mensa dei poveri
        di un raggio di sole
        che risveglia lucciole
        addormentate
        in gocce di rugiada
        se mi ami
        amore mio
        perdona la mia gioia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Arsenio

          I turbini sollevano la polvere
          sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
          deserti, ove i cavalli incappucciati
          annusano la terra, fermi innanzi
          ai vetri luccicanti degli alberghi.
          Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
          in questo giorno
          or piovorno ora acceso, in cui par scatti
          a sconvolgerne l'ore
          uguali, strette in trama, un ritornello
          di castagnette.
          È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
          Discendi all'orizzonte che sovrasta
          una tromba di piombo, alta sui gorghi,
          più d'essi vagabonda: salso nembo
          vorticante, soffiato dal ribelle
          elemento alle nubi; fa che il passo
          su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
          il viluppo dell'alghe: quell'istante
          è forse, molto atteso, che ti scampi
          dal finire il tuo viaggio, anello d'una
          catena, immoto andare, oh troppo noto
          delirio, Arsenio, d'immobilità...
          Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
          dei violini, spento quando rotola
          il tuono con un fremer di lamiera
          percossa; la tempesta è dolce quando
          sgorga bianca la stella di Canicola
          nel cielo azzurro e lunge par la sera
          ch'è prossima: se il fulmine la incide
          dirama come un albero prezioso
          entro la luce che s'arrosa: e il timpano
          degli tzigani è il rombo silenzioso
          Discendi in mezzo al buio che precipita
          e muta il mezzogiorno in una notte
          di globi accesi, dondolanti a riva, -
          e fuori, dove un'ombra sola tiene
          mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
          l'acetilene -
          finché goccia trepido
          il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
          tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
          le tende molli, un fruscio immenso rade
          la terra, giù s'afflosciano stridendo
          le lanterne di carta sulle strade.
          Così sperso tra i vimini e le stuoie
          grondanti, giunco tu che le radici
          con sé trascina, viscide, non mai
          svelte, tremi di vita e ti protendi
          a un vuoto risonante di lamenti
          soffocati, la tesa ti ringhiotte
          dell'onda antica che ti volge; e ancora
          tutto che ti riprende, strada portico
          mura specchi ti figge in una sola
          ghiacciata moltitudine di morti,
          e se un gesto ti sfiora, una parola
          ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
          nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
          vita strozzata per te sorta, e il vento
          la porta con la cenere degli astri.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Ninnananna

            Posa il capo assopito, amore mio,
            umano sul mio braccio senza fede;
            tempo e febbri avvampino e cancelliano
            ogni bellezza individuale, via
            dai bambini pensosi, e poi la tomba
            attesta che effimero è il bambino:
            ma finch'è spunti il giorno mi rimanga
            tra le braccia la viva creatura,
            mortale sì, colpevole, eppure
            per me il bello nella sua interezza.

            Anima e corpo non hanno confini:
            agli amanti che giacciono sul suo
            tollerante declivio incantato
            in preda al deliquio ricorrente,
            solenne la visione manda Venere
            di soprannaturale armonia,
            di universale amore e speranza;
            mentre un'astratta intuizione accende,
            in mezzo ai ghiacciai e fra le rupi,
            dell'eremita l'estasi carnale.

            Passano sicurezze e fedeltà
            allo scoccare della mezzanotte
            come le vibrazioni di campana,
            e forsennati alla moda lanciano
            il loro pedantesco, uggioso grido:
            il costo fino all'ultimo centesimo
            - sta scritto in tutte le temute carte -
            andrà pagato, ma da questa notte
            non un solo bisbiglio, nè un pensiero,
            non un bacio o uno sguardo sia perduto.

            Bellezza muore, e mezzanotte, ed estasi:
            che i venti dell'alba, mentre lievi
            spirano intorno al tuo capo sognante,
            mostrino un giorno di accoglienza tale
            che occhio e cuore pulsino e gioiscano,
            paghi di un mondo, il nostro, che è mortale;
            meriggi di arsura ti ritrovino
            nutrito dei poteri involontari,
            notti di oltraggio ti lascino andare
            sorvegliato da ogni umano amore.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Guido, ì vorrei che tu e Lapo ed io

              Guido, ì vorrei che tu e Lapo ed io
              fossimo presi per incantamento,
              e messi in un vasel ch'ad ogni vento
              per mare andasse al voler vostro e mio.
              Sì che fortuna od altro tempo rio
              non ci potesse dare impedimento,
              anzi, vivendo sempre in un talento,
              di stare insieme crescesse 'l disio.
              E monna Vanna e monna Lagia poi
              con quella ch'è sul numer de le trenta
              con noi ponesse il buono incantatore:
              e quivi ragionar sempre d'amore,
              e ciascuna di lor fosse contenta,
              sì come ì credo che saremmo noi.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Natale

                La pecorina di gesso,
                sulla collina in cartone,
                chiede umilmente permesso
                ai Magi in adorazione.

                Splende come acquamarina
                il lago, freddo e un po' tetro,
                chiuso fra la borraccina,
                verde illusione di vetro.

                Lungi nel tempo, e vicino,
                nel sogno (pianto e mistero)
                c'è accanto a Gesù Bambino,
                un bue giallo, un ciuco nero.
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