Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il fiume

Fiume che là specchiasti un casolare
cò suoi rossi garofani, qua mura
d'erme castella, e tremula verzura;
eccoti giunto al fragoroso mare:
ed ecco i flutti verso te balzare
su dall'interminabile pianura,
in larghe file; e nella riva oscura
questa si frange, e quella in alto appare;
tituba e croscia. E là, donde tu lieto,
di sasso in sasso, al piè d'una betulla,
sgorghi sonoro tra le brevi sponde;
a un po' d'auretta scricchiola il canneto,
fruscia il castagno, e forse una fanciulla
sogna a quell'ombre, al mormorìo dell'onde.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il canto della tenebra

    La luce del crepuscolo si attenua:
    Inquieti spiriti sia dolce la tenebra
    Al cuore che non ama più!
    Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare,
    Sorgenti, sorgenti che sanno
    Sorgenti che sanno che spiriti stanno
    Che spiriti stanno a ascoltare
    Ascolta: la luce del crepuscolo attenua
    Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra:
    Ascolta: ti ha vinto la Sorte:
    Ma per i cuori leggeri un'altra vita è alle porte:
    Non c'è di dolcezza che possa uguagliare la Morte
    Più Più Più
    Intendi chi ancora ti culla:
    Intendi la dolce fanciulla
    Che dice all'orecchio: Più Più
    Ed ecco si leva e scompare
    Il vento: ecco torna dal mare
    Ed ecco sentiamo ansimare
    Il cuore che ci amò di più!
    Guardiamo: di già il paesaggio
    Degli alberi e l'acque è notturno
    Il fiume va via taciturno
    Pùm! Mamma quell'omo lassù! "
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Saluto

      Nulla, spuma, vergine verso
      A non designar che la coppa;
      Tal si tuffa lungi una frotta
      Di sirene, il dorso riverso.

      Noi navighiamo, o miei diversi
      Amici, io già sulla poppa
      Voi sulla prua ch'apre alla rotta
      Flutto di folgori e d'inverni;

      Un'ebbrezza bella m'ingiunge
      Senza temer beccheggio lungo
      Di levar alto questo salve

      Solitudine, scoglio, stella
      A non importa ciò che valse
      La cura bianca della vela.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Je suis comme je suis

        Je suis comme je suis
        Je suis faite comme ça
        Quand j'ai envie de rire
        Oui je ris aux éclats
        J'aime celui qui m'aime
        Est-ce ma faute à moi
        Si ce n'est pas le même
        Que j'aime chaque fois
        Je suis comme je suis
        Je suis faite comme ça
        Que voulez-vous de plus
        Que voulez-vous de moi

        Je suis faite pour plaire
        Et n'y puis rien changer
        Mes talons sont trop hauts
        Ma taille trop cambrée
        Mes seins beaucoup trop durs
        Et mes yeux trop cernés
        Et puis après
        Qu'est-ce que ça peut vous faire
        Je suis comme je suis
        Je plais à qui je plais
        Qu'st-ce que ça peut vous faire
        Ce qui m'est arrivé
        Oui j'ai aimé quelqu'un
        Oui quelqu'un m'a aimée
        Comme les enfants qui s'aiment
        Simplement savent aimer
        Aimer aimer...
        Pourquoi me questionner
        Je suis là pour vous plaire
        Et n'y puis rien changer.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il grillo dei campi e il grillo del focolare

          Mai la terrestre poesia non muore.
          Quando tutti gli uccelli al solleone
          vengono meno e stan nascosti in mezzo
          la frescura degli alberi, una voce
          corre di siepe in siepe intorno al prato
          su cui appena passò rasa la falce:
          è del grillo dei campi, il capintesta
          nel tripudio d'estate, mai godere
          non cessa, perché quando a giuochi è stanco
          posa con agio sotto una grata erba.
          Fine non ha la poesia terrestre.
          D'inverno, in una sera solitaria,
          quando il silenzio è opera del gelo,
          strepe fuor della stufa il suon del grillo
          del focolare che col caldo sempre
          viene crescendo, e a uno che smarrito
          a mezzo sta fra sonno e veglia, il canto
          par del grillo dei campi ai colli erbosi.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Taci, anima stanca di godere

            Taci, anima stanca di godere
            e di soffrire(all'uno e all'altro vai
            rassegnata)
            Nessuna voce tua odo se ascolto:
            non di rimpianto per la miserabile
            giovinezza, non d'ira o di speranza,
            e neppure di tedio.
            Giaci come
            il corpo, ammutolita, tutta piena
            d'una rassegnazione disperata.
            Non ci stupiremmo,
            non è vero, mia anima, se il cuore
            si fermasse, sospeso se ci fosse
            il fiato...
            Invece camminiamo,
            camminiamo io e te come sonnambuli.
            E gli alberi son alberi, le case
            sono case, le donne
            che passano son donne, e tutto è quello
            che è, soltanto quel che è.
            La vicenda di gioia e di dolore
            non ci tocca. Perduto ha la voce
            la sirena del mondo, e il mondo è un grande
            deserto.
            Nel deserto
            io guardo con asciutti occhi me stesso.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il canto popolare

              Improvviso il mille novecento
              cinquanta due passa sull'Italia:
              solo il popolo ne ha un sentimento
              vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
              la modernità, benché sempre il più
              moderno sia esso, il popolo, spanto
              in borghi, in rioni, con gioventù
              sempre nuove - nuove al vecchio canto -
              a ripetere ingenuo quello che fu.

              Scotta il primo sole dolce dell'anno
              sopra i portici delle cittadine
              di provincia, sui paesi che sanno
              ancora di nevi, sulle appenniniche
              greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
              i nuovi colori delle tele, i nuovi
              vestiti come in limpidi roghi
              dicono quanto oggi si rinnovi
              il mondo, che diverse gioie sfoghi...

              Ah, noi che viviamo in una sola
              generazione ogni generazione
              vissuta qui, in queste terre ora
              umiliate, non abbiamo nozione
              vera di chi è partecipe alla storia
              solo per orale, magica esperienza;
              e vive puro, non oltre la memoria
              della generazione in cui presenza
              della vita è la sua vita perentoria.

              Nella vita che è vita perché assunta
              nella nostra ragione e costruita
              per il nostro passaggio - e ora giunta
              a essere altra, oltre il nostro accanito
              difenderla - aspetta - cantando supino,
              accampato nei nostri quartieri
              a lui sconosciuti, e pronto fino
              dalle più fresche e inanimate ère -
              il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

              E se ci rivolgiamo a quel passato
              ch'è nostro privilegio, altre fiumane
              di popolo ecco cantare: recuperato
              è il nostro moto fin dalle cristiane
              origini, ma resta indietro, immobile,
              quel canto. Si ripete uguale.
              Nelle sere non più torce ma globi
              di luce, e la periferia non pare
              altra, non altri i ragazzi nuovi...

              Tra gli orti cupi, al pigro solicello
              Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
              d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
              di Toscana, con strilli di rondinini:
              Hor atorno fratt Helya! La santa
              violenza sui rozzi cuori il clero
              calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
              feroce nel feudo provinciale l'Impero
              da Iddio imposto: e il popolo canta.

              Un grande concerto di scalpelli
              sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
              sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
              suona, giganteggiando il travertino
              nel nuovo spazio in cui s'affranca
              l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
              jersera... ripete con l'anima spanta
              nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
              resta nel popolo. E il popolo canta.

              Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
              e trepidi nel vento napoleonico,
              all'Inno dell'Albero della Libertà,
              tremano i nuovi colori delle nazioni.
              Ma, cane affamato, difende il bracciante
              i suoi padroni, ne canta la ferocia,
              Guagliune 'e mala vita! In branchi
              feroci. La libertà non ha voce
              per il popolo cane. E il popolo canta.

              Ragazzo del popolo che canti,
              qui a Rebibbia sulla misera riva
              dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
              è vero, cantando, l'antica, la festiva
              leggerezza dei semplici. Ma quale
              dura certezza tu sollevi insieme
              d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
              tuguri e grattacieli, allegro seme
              in cuore al triste mondo popolare.

              Nella tua incoscienza è la coscienza
              che in te la storia vuole, questa storia
              il cui Uomo non ha più che la violenza
              delle memorie, non la libera memoria...
              E ormai, forse, altra scelta non ha
              che dare alla sua ansia di giustizia
              la forza della tua felicità,
              e alla luce di un tempo che inizia
              la luce di chi è ciò che non sa.
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