Che hanno le campane, che squillano vicine, che ronzano lontane? È un inno senza fine, or d'oro, ora d'argento, nell'ombre mattutine. Con un dondolìo lento implori, o voce d'oro, nel cielo sonnolento. Tra il cantico sonoro il tuo tintinno squilla, voce argentina - Adoro, adoro - Dilla, dilla, la nota d'oro - L'onda pende dal ciel, tranquilla. Ma voce più profonda sotto l'amor rimbomba, par che al desìo risponda: la voce della tomba.
Al campo, dove roggio nel filare qualche pampano brilla, e dalle fratte sembra la nebbia mattinal fumare, arano: a lente grida, uno le lente vacche spinge; altri semina; un ribatte le porche con sua marra paziente; ché il passero saputo in cor già gode, e il tutto spia dai rami irti del moro; e il pettirosso: nelle siepi s'ode il suo sottil tintinnio come d'oro.
Perché ti vedi giovinetta e bella, tanto che svegli ne la mente Amore, pres'hai orgoglio e durezza nel core. Orgogliosa sè fatta e per me dura, po' che d'ancider me, lasso, ti prove: credo che 'l facci per esser sicura se la vertù d'Amore a morte move. Ma perché preso più ch'altro mi trove, non hai respetto alcun del mì dolore. Possi tu spermentar lo suo valore.
Io porto tanto amore a una crocetta d'oro che s'apre sul mio cuore. È un tenue lavoro, non è un ricordo, no; come l'ebbi ignoro. Io l'amo poiché so che croce fu dolore, e assai ne spasimò un mio dolce Signore.
Il bimbo guarda fra le dieci dita la bella mela che vi tiene stretta; e indugia - tanto è lucida e perfetta - a dar coi denti quella gran ferita.
Ma dato il morso primo ecco s'affretta: e quel che morde par cosa scipita per l'occhio intento al morso che l'aspetta... E già la mela è per metà finita.
Il bimbo morde ancora - e ad ogni morso sempre è lo sguardo che precede il dente - fin che s'arresta al torso che già tocca.
"Non sentii quasi il gusto e giungo al torso! " Pensa il bambino... Le pupille intente ogni piacere tolsero alla bocca.
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, Dirò un giorno le vostre origini latenti: A nero busto irsuto delle mosche lucenti Che ronzano vicino a fetori crudeli,
Golfi bui; E, candori di vapori e di tende, Lance di ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle; I, sangue e sputi, porpore, riso di labbra belle Nella collera o nelle ebbrezze penitenti;
U, fremiti divini di verdi mari, cicli, Pace di bestie al pascolo, pace di quelle rughe Che imprime alchìmia all'ampia fronte dello studioso;
O, la superna Tromba piena di strani stridi, Silenzi visitati dagli Angeli e dai Mondi: - O, l'Omega, violetto raggio di quei Suoi Occhi!
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta che 'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s'immerge e 'l sangue avido beve; e la veste, che d'or vago trapunta le mammelle stringea tenera e leve, l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme; parole ch'a lei novo un spirto ditta, spirto di fé, di carità, di speme: virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella.
- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. - In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise. Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e in atto di morir lieto e vivace, dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso, come à gigli sarian miste viole, e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso sembra per la pietate il cielo e 'l sole; e la man nuda e fredda alzando verso il cavaliero in vece di parole gli dà pegno di pace. In questa forma passa la bella donna, e par che dorma.