Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Temporale

È mezzodì. Rintomba.
Tacciono le cicale
nelle stridule seccie.
E chiaro un tuon rimbomba
dopo uno stanco, uguale,
rotolare di breccie.
Rondini ad ali aperte
fanno echeggiar la loggia
dè lor piccoli scoppi.
Già, dopo l'afa inerte,
fanno rumor di pioggia
le fogline dei pioppi.
Un tuon sgretola l'aria.
Sembra venuto sera.
Picchia ogni anta su l'anta.
Serrano. Solitaria
s'ode una capinera,
là, che canta... che canta...
E l'acqua cade, a grosse
goccie, poi giù a torrenti,
sopra i fumidi campi.
S'è sfatto il cielo: a scosse
v'entrano urlando i venti
e vi sbisciano i lampi.
Cresce in un gran sussulto
l'acqua, dopo ogni rotto
schianto ch'aspro diroccia;
mentre, col suo singulto
trepido, passa sotto
l'acquazzone una chioccia.
Appena tace il tuono,
che quando al fin già pare,
fa tremare ogni vetro,
tra il vento e l'acqua, buono,
s'ode quel croccolare
cò suoi pigolìi dietro.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Patria

    Sogno d'un dì d'estate.
    Quanto scampanellare
    tremulo di cicale!
    Stridule pel filare
    moveva il maestrale
    le foglie accartocciate.
    Scendea tra gli olmi il sole
    in fascie polverose;
    erano in ciel due sole
    nuvole, tenui, róse:
    due bianche spennellate
    in tutto il ciel turchino.
    Siepi di melograno,
    fratte di tamerice,
    il palpito lontano
    d'una trebbiatrice,
    l'angelus argentino...
    dov'ero? Le campane
    mi dissero dov'ero,
    piangendo, mentre un cane
    latrava al forestiero,
    che andava a capo chino.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il mendico

      Presso il rudere un pezzente
      cena tra le due fontane:
      pane alterna egli col pane,
      volti gli occhi all'occidente.
      Fa un incanto nella mente:
      carne è fatto, ecco, l'un pane.
      Tra il gracchiare delle rane
      sciala il mago sapiente.
      Sorge e beve alle due fonti:
      chiara beve acqua nell'una,
      ma nell'altra un dolce vino.
      Giace e guarda: sopra i monti
      sparge il lume della luna;
      getta l'arti al ciel turchino,
      baldacchino
      di mirabile lavoro,
      ch'ei trapunta a stelle d'oro.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Gloria del disteso mezzogiorno

        Gloria del disteso mezzogiorno
        quand'ombra non rendono gli alberi,
        e piú e piú si mostrano d'attorno
        per troppa luce, le parvenze, falbe.

        Il sole, in alto, - e un secco greto.
        Il mio giorno non è dunque passato:
        l'ora piú bella è di là dal muretto
        che rinchiude in un occaso scialbato.

        L'arsura, in giro; un martin pescatore
        volteggia s'una reliquia di vita.
        La buona pioggia è di là dallo squallore,
        ma in attendere è gioia piú compita.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          O poesia poesia poesia

          O poesia poesia poesia
          Sorgi, sorgi, sorgi
          Su dalla febbre elettrica del selciato notturno.
          Sfrenati dalle elastiche silhouttes equivoche
          Guizza nello scatto e nell'urlo improvviso
          Sopra l'anonima fucileria monotona
          Delle voci instancabili come i flutti
          Stride la troia perversa al quadrivio
          Poiché l'elegantone le rubò il cagnolino
          Saltella una cocotte cavalletta
          Da un marciapiede a un altro tutta verde
          E scortica le mie midolla il raschio ferrigno del tram
          Silenzio - un gesto fulmineo
          Ha generato una pioggia di stelle
          Da un fianco che piega e rovina sotto il colpo prestigioso
          In un mantello di sangue vellutato occhieggiante
          Silenzio ancora. Commenta secco
          E sordo un revolver che annuncia
          E chiude un altro destino.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Talor mentre cammino per le strade

            Talor, mentre cammino per le strade
            della città tumultuosa solo,
            mi dimentico il mio destino d'essere
            uomo tra gli altri, e, come smemorato,
            anzi tratto fuor di me stesso, guardo
            la gente con aperti estranei occhi.

            M'occupa allora un puerile, un vago
            senso di sofferenza ed ansietà
            come per mano che mi opprima il cuore.
            Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
            occhi di bimbi, facce consuete
            di nati a faticare e a riprodursi,
            facce volpine stupide beate,
            facce ambigue di preti, pitturate
            facce di meretrici, entro il cervello
            mi s'imprimono dolorosamente.
            E conosco l'inganno pel qual vivono,
            il dolore che mise quella piega
            sul loro labbro, le speranze sempre
            deluse,
            e l'inutilità della loro vita
            amara e il lor destino ultimo, il buio.

            Ché ciascuno di loro porta seco
            la condanna d'esistere: ma vanno
            dimentichi di ciò e di tutto, ognuno
            occupato dall'attimo che passa,
            distratto dal suo vizio prediletto.

            Provo un disagio simile a chi veda
            inseguire farfalle lungo l'orlo
            d'un precipizio, od una compagnia
            di strani condannati sorridenti.
            E se poco ciò dura, io veramente
            in quell'attimo dentro m'impauro
            a vedere che gli uomini son tanti.
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