Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Canzone del carceriere

Dove vai bel carceriere
Con quella chiave macchiata di sangue
Vado a liberare la mia amata
Se sono ancora in tempo
L'avevo chiusa dentro
Teneramente crudelmente
Nella cella del mio desiderio
Nel più profondo del mio tormento
Nelle menzogne dell'avvenire
Nelle sciocchezze del giuramento
Voglio liberarla
Voglio che sia libera
E anche di dimenticarmi
E anche di lasciarmi
E anche di tornare
E di amarmi ancora
O di amare un altro
Se un giorno le va a genio
E se resto solo
E lei sarà andata via
Io serberò soltanto
Serberò tuttavia
Nel cavo delle mani
Fino alle ultime mie ore
La dolcezza dei suoi seni plasmati dall'amore.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Poesia d'amore

    Nessuno sarà a casa
    solo la sera. Il solo
    giorno invernale nel vano trasparente
    delle tende scostate.

    Di palle di neve solo, umide, bianche
    la rapida sfavillante traccia.
    Soltanto tetti e neve e tranne
    i tetti e la neve, nessuno.

    E di nuovo ricamerà la brina,
    e di nuovo mi prenderanno
    la tristezza di un anno trascorso
    e gli affanni di un altro inverno,

    e di nuovo mi tormenteranno
    per una colpa non ancora pagata,
    e la finestra lungo la crociera
    una fame di legno serrerà.

    Ma per la tenda d'un tratto
    scorrerà il brivido di un'irruzione .
    Il silenzio coi passi misurando
    tu entrerai, come il futuro.

    Apparirai presso la porta,
    vestita senza fronzoli, di qualcosa di bianco,
    di qualcosa proprio di quei tessuti
    di cui ricamano i fiocchi.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Dichiarazione

      Essere donna è un gran passo,
      fare impazzire, eroismo.

      E io dinnanzi al miracolo di mani,
      schiena, spalle e di un collo di donna
      con devozione di servo
      la vita tutta riverisco.

      Ma per quanto la notte m'incateni
      con un anello d'angoscia,
      più forte è al mondo l'aspirazione ad evadere
      e la passione attira alle rotture.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La differenza

        Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
        gracidante alla riva del canale?
        Pare felice! Al vespero invernale
        protende il collo, giubilando roca.

        Salta starnazza si rituffa gioca:
        né certo sogna d'essere mortale
        né certo sogna il prossimo Natale
        né l'armi corruscanti della cuoca.

        -O pàpera, mia candida sorella,
        tu insegni che la Morte non esiste:
        solo si muore da che s'è pensato.

        Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
        Ché l'esser cucinato non è triste,
        triste è il pensare d'esser cucinato.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La Befana

          Discesi dal lettino
          son là presso il camino,
          grandi occhi estasiati,
          i bimbi affaccendati

          a metter la scarpetta
          che invita la Vecchietta
          a portar chicche e doni
          per tutti i bimbi buoni.

          Ognun, chiudendo gli occhi,
          sogna dolci e balocchi;
          e Dori, il più piccino,
          accosta il suo visino

          alla grande vetrata,
          per veder la sfilata
          dei Magi, su nel cielo,
          nella notte di gelo.

          Quelli passano intanto
          nel lor gemmato manto,
          e li guida una stella
          nel cielo, la più bella.

          Che visione incantata
          nella notte stellata!
          E la vedono i bimbi,
          come vedono i nimbi

          degli angeli festanti
          nè lor candidi ammanti.
          Bambini! Gioia e vita
          son la vision sentita

          nel loro piccolo cuore
          ignaro del dolore.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Hymnus ad nocturnum

            Ho la calma di un morto:
            guardo il letto che attende
            le mie membra e lo specchio
            che mi riflette assorto.

            Non so vincere il gelo
            dell'angoscia, piangendo,
            come un tempo, nel cuore
            della terra e del cielo.

            Non so fingermi calme
            o indifferenze o altre
            giovanili prodezze,
            serti di mirto o palme.

            O immoto Dio che odio
            fa che emani ancora
            vita dalla mia vita
            non m'importa più il modo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Alla morte

              Morire sì,
              non essere aggrediti dalla morte.
              Morire persuasi
              che un siffatto viaggio sia il migliore.
              E in quell'ultimo istante essere allegri
              come quando si contano i minuti
              dell'orologio della stazione
              e ognuno vale un secolo.
              Poi che la morte è la sposa fedele
              che subentra all'amante traditrice,
              non vogliamo riceverla da intrusa,
              né fuggire con lei.
              Troppo volte partimmo
              senza commiato!
              Sul punto di varcare
              in un attimo il tempo,
              quando pur la memoria
              di noi s'involerà,
              lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
              concedici ancora un indugio.
              L'immane passo non sia
              precipitoso.
              Al pensier della morte repentina
              il sangue mi si gela.
              Morte non mi ghermire
              ma da lontano annunciati
              e da amica mi prendi
              come l'estrema delle mie abitudini.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Autunno veneziano

                L'alito freddo e umido m'assale
                di Venezia autunnale.
                Adesso che l'estate,
                sudaticcia e sciroccosa,
                d'incanto se n'è andata,
                una rigida luna settembrina
                risplende, piena di funesti presagi,
                sulla città d'acque e di pietre
                che rivela il suo volto di medusa
                contagiosa e malefica.
                Morto è il silenzio dei canali fetidi,
                sotto la luna acquosa,
                in ciascuno dei quali
                par che dorma il cadavere d'Ofelia:
                tombe sparse di fiori
                marci e d'altre immondizie vegetali,
                dove passa sciacquando
                il fantasma del gondoliere.
                O notti veneziane,
                senza canto di galli,
                senza voci di fontane,
                tetre notti lagunari
                cui nessun tenero bisbiglio anima,
                case torve, gelose,
                a picco sui canali,
                dormenti senza respiro,
                io v'ho sul cuore adesso più che mai.
                Qui non i venti impetuosi e funebri
                del settembre montanino,
                non odor di vendemmia, non lavacri
                di piogge lacrimose,
                non fragore di foglie che cadono.
                Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
                su un davanzale
                è tutto l'autunno veneziano.

                Così a Venezia le stagioni delirano.

                Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
                non son che luci smarrite,
                luci che sognano la buona terra
                odorosa e fruttifera.
                Solo il naufragio invernale conviene
                a questa città che non vive,
                che non fiorisce,
                se non quale una nave in fondo al mare.
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