Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

L'uomo che impara

Prima costruii sulla sabbia,
poi costruii sulla roccia.
Quando la roccia crollò
non ho più costruito su nulla.
Poi ancora talvolta costruivo
su sabbia e roccia, come capitava, ma
avevo imparato.

Coloro ai quali affidavo la lettera
la buttavano via.
Ma chi non curavo
me la riportava.
Allora ho imparato.

Le mie disposizioni non furono rispettate.
Quando giunsi, m'avvidi
che erano sbagliate.
Era stato fatto
quel che era giusto.
Così ho imparato.

Le cicatrici dolgono
nel tempo di gelo.
Ma spesso dico: solo la fossa
non m'insegnerà più nulla.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    I due leader

    Cacciari: il fascismo è lontano
    Occhetto: il fascismo è vicino
    Cacciari: ma dove lo vedi?
    Occhetto: là, sul falsopiano
    Cacciari: ma è solo un puntino
    Occhetto: ma è enorme, sciocchino
    Cacciari: è una nuvola bassa
    Occhetto: è una squadraccia
    Scusate se interrompo la conversazione
    disse il capo del plotone d'esecuzione.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il mattino

      Ti svegli.
      Dove sei?
      A casa.
      Non hai potuto ancora abituarti:
      al tuo risveglio
      trovarti a casa.
      Ecco quel che ti lasciano
      tredici anni di carcere.

      Chi c'è nel letto, accanto a te?
      Non è la solitudine, è tua moglie.
      Dorme coi pugni chiusi, come un angelo.
      Le dona, essere incinta.
      Che ore sono?
      Le otto.
      Possiamo dunque star tranquilli
      fino a sera.
      È l'uso,
      la polizia non fa irruzione in pieno giorno.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Nella macchia

        Errai nell'oblio della valle
        tra ciuffi di stipe fiorite,
        tra quercie rigonfie di galle;

        errai nella macchia più sola,
        per dove tra foglie marcite
        spuntava l'azzurra viola;

        errai per i botri solinghi:
        la cincia vedeva dai pini:
        sbuffava i suoi piccoli ringhi
        argentini.

        Io siedo invisibile e solo
        tra monti e foreste: la sera
        non freme d'un grido, d'un volo.

        Io siedo invisibile e fosco;
        ma un cantico di capinera
        si leva dal tacito bosco.

        E il cantico all'ombre segrete
        per dove invisibile io siedo,
        con voce di flauto ripete,
        Io ti vedo!
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          An Acre of Grass

          Picture and book remain,
          An acre of green grass
          For air and exercise,
          Now strength of body goes;
          Midnight, an old house
          Where nothing stirs but a mouse.

          My temptation is quiet.
          Here at life 's end
          Neither loose imagination,
          Nor the mill of the mind
          Consuming its rag and bone,
          Can make the truth known.

          Grant me an old man's frenzy,
          Myself must I remake
          Till I am Timon and Lear
          Or that William Blake
          Who beat upon the wall
          Till Truth obeyed his call;

          A mind Michael Angelo knew
          That can pierce the clouds,
          Or inspired by frenzy
          Shake the dead in their shrouds;
          Forgotten else by mankind,
          An old man's eagle mind.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Il clown

            Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! Indietro, Babbeo:
            Fate posto, buffoni antiquati, dalla burla impeccabile,
            Fate largo! Solenne, altero e discreto,
            ecco venire il migliore di tutti, l'agile clown.

            Più snello d'Arlecchino e più impavido di Achille
            è lui di certo, nella sua bianca armatura di raso:
            etereo e chiaro come uno specchio senza argento.
            I suoi occhi non vivono nella sua maschera d'argilla.

            Brillano azzurri fra il belletto e gli unguenti
            mentre, eleganti il busto e il capo si bilanciano
            sull'arco paradossale delle gambe.

            Poi sorride. Intorno il volgo stupido e sporco
            la canaglia puzzolente e santa dei Giambi
            applaude al sinistro istrione che l'odia.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il Natale del 1833

              Sì che Tu sei terribile!
              Sì che in quei lini ascoso,
              In braccio a quella Vergine,
              Sovra quel sen pietoso,
              Come da sopra i turbini
              Regni, o Fanciul severo!
              E fato il tuo pensiero,
              È legge il tuo vagir.

              Vedi le nostre lagrime,
              Intendi i nostri gridi;
              Il voler nostro interroghi,
              E a tuo voler decidi.
              Mentre a stornar la folgore
              Trepido il prego ascende
              Sorda la folgor scende
              Dove tu vuoi ferir.

              Ma tu pur nasci a piangere,
              Ma da quel cor ferito
              Sorgerà pure un gemito,
              Un prego inesaudito:
              E questa tua fra gli uomini
              Unicamente amata,
              Nel guardo tuo beata,
              Ebra del tuo respir,

              Vezzi or ti fa; ti supplica
              Suo pargolo, suo Dio,
              Ti stringe al cor, che attonito
              Va ripetendo: è mio!
              Un dì con altro palpito,
              Un dì con altra fronte,
              Ti seguirà sul monte.
              E ti vedrà morir.

              Onnipotente….
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Sera di Gavinana

                Ecco la sera e spiove
                sul toscano Appennino.

                Con lo scender che fa le nubi a valle,
                prese a lembi qua e là
                come ragne fra gli alberi intricate,
                si colorano i monti di viola.
                Dolce vagare allora
                per chi s'affanna il giorno
                ed in se stesso, incredulo, si torce.
                Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
                un vociar lieto e folto in cui si sente
                il giorno che declina
                e il riposo imminente.
                Vi si mischia il pulsare, il batter secco
                ed alto del camion sullo stradone
                bianco che varca i monti.
                E tutto quanto a sera,
                grilli, campane, fonti,
                fa concerto e preghiera,
                trema nell'aria sgombra.
                Ma come più rifulge,
                nell'ora che non ha un'altra luce,
                il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
                Sui tuoi prati che salgono a gironi,
                questo liquido verde, che rispunta
                fra gl'inganni del sole ad ogni acquata,
                al vento trascolora, e mi rapisce,
                per l'inquieto cammino,
                sì che teneramente fa star muta
                l'anima vagabonda.
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