O abbiamo la speranza in noi, o non l'abbiamo; è una dimensione dell'anima, e non dipende da una particolare osservazione del mondo o da una stima della situazione. La speranza non è una predizione, ma un orientamento dello spirito e del cuore; trascende il mondo che viene immediatamente sperimentato, ed è ancorata da qualche parte al di là dei suoi orizzonti.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti arrivederci fratello mare mi porto un po' della tua ghiaia un po' del tuo sale azzurro un po' della tua infinità e un pochino della tua luce e della tua infelicità. Ci hai saputo dir molte cose sul tuo destino di mare eccoci con un po' più di speranza eccoci con un po' più di saggezza e ce ne andiamo come siamo venuti arrivederci fratello mare.
Guardo in ginocchio la terra guardo l'erba guardo l'insetto guardo l'istante fiorito e azzurro sei come la terra di primavera, amore, io ti guardo.
Sdraiato sul dorso vedo il cielo vedo i rami degli alberi vedo le cicogne che volano sei come il cielo di primavera, amore, io ti vedo.
Ho acceso un fuoco di notte in campagna tocco il fuoco tocco l'acqua tocco la stoffa e l'argento sei come un fuoco di bivacco all'addiaccio io ti tocco.
Sono tra gli uomini amo gli uomini Amo l'azione Amo il pensiero Amo la mia lotta Sei un essere umano nella mia lotta Ti amo.
O mamma, o mammina, hai stirato la nuova camicia di lino? Non c'era laggiù tra il bucato, sul bossolo o sul biancospino. Su gli occhi tu tieni le mani... Perché? Non lo sai che domani...? din don dan, din don dan. Si parlano i bianchi villaggi cantando in un lume di rosa: dell'ombra dè monti selvaggi si sente una romba festosa. Tu tieni a gli orecchi le mani... tu piangi; ed è festa domani... din don dan, din don dan. Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve... quanti anni ora sono? Una sera... il bimbo era freddo, di neve; il bimbo era bianco, di cera: allora sonò la campana (perché non pareva lontana? ) din don dan, din don dan. Sonavano a festa, come ora, per l'angiolo; il nuovo angioletto nel cielo volava a quell'ora; ma tu lo volevi al tuo petto, con noi, nella piccola zana: gridavi; e lassù la campana... din don dan, din don dan.
Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano le briciole di pane che io gettavo sul tuo balcone perché tu sentissi anche chiusa nel sonno le loro strida.
Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due e il nostro breakfast gela fra cataste per me di libri inutili e per te di reliquie che non so: calendari, astucci, fiale e creme.
Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato sui fondali di calce del mattino; ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco soffocato è il bagliore dell'accendino.
Ti reco questo figlio d'una notte idumea! Nera, spiumata, pallido sangue all'ala febea, Pel vetro che d'aromi fiammeggianti si dora, Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora, L'aurora si gettò sulla lampada angelica. Palme! E quando mostrò essa quella reliquia Al padre che nemico un sorriso tentò, L'azzurra solitudine inutile tremò. O tu che culli, con la bimba e l'innocenza Dei vostri piedi freddi, accogli quest'orrenda Nascita: ed evocando clavicembalo e viola, Premerai tu col vizzo dito il seno che cola La donna in sibillina bianchezza per la bocca Dall'azzurro affamata, dall'alta aria non tocca?
La donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell'erba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine Su la scala a filar la vecchierella, Incontro là dove si perde il giorno; E novellando vien del suo buon tempo, Quando ai dì della festa ella si ornava, Ed ancor sana e snella Solea danzar la sera intra di quei Ch'ebbe compagni dell'età più bella. Già tutta l'aria imbruna, Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre Giù dà colli e dà tetti, Al biancheggiar della recente luna. Or la squilla dà segno Della festa che viene; Ed a quel suon diresti Che il cor si riconforta. I fanciulli gridando Su la piazzuola in frotta, E qua e là saltando, Fanno un lieto romore: E intanto riede alla sua parca mensa, Fischiando, il zappatore, E seco pensa al dì del suo riposo. Poi quando intorno è spenta ogni altra face, E tutto l'altro tace, Odi il martel picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa bottega alla lucerna, E s'affretta, e s'adopra Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba. Questo di sette è il più gradito giorno, Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran l'ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno. Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita È come un giorno d'allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vò; ma la tua festa Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
O soave che balsamo soffondi alla quieta mezzanotte, e serri con attente e benevole le dita gli occhi nostri del buio compiaciuti, protetti dalla luce, avvolti d'ombra nel ricovero di un divino oblio. O dolcissimo sonno! Se ti piace chiudi a metà di questo, che è tuo, inno i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen prima che il tuo papavero al mio letto largisca in carità il suo dondolio. Poi salvami, altrimenti il giorno andato lucido apparirà sul mio guanciale di nuovo, producendo molte pene, salvami dall'alerte coscienza che viepiù insignorisce il suo vigore causa l'oscurità, scavando come una talpa. Volgi abile la chiave nella toppa oliata e dà il sigillo allo scrigno, che tace, del mio cuore.
Cosmopolites without a plea Alight in every Land The compliments of Paradise From these within my Hand Their dappled Journey - to themselves A compensation fair - Knock and it shall be opened Is their Theology.
Quando l'Eterno passeggiò col guardo Tutto il creato, diffondendo intorno Riso di pace, e fiammeggiar si vide Nè cieli il Sole, e rotear le stelle Dietro la dolce-radïante Luna Tra il fresco vel di solitaria notte, E germogliò natura, e al grigio capo Degli altissimi monti alberi eccelsi Fèro corona, e orrisonando udissi L'ampio padre Oceàn fremer da lungi; Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni Scese Giustizia, e i fulmini guizzando Al fianco le strideano, i dispersi Crini eran cinti d'abbaglianti lampi. In alto assisa vide ergersi il fumo D'innocuo sangue, che fraterna mano Invida sparse, e dagli vacui abissi A tracannarlo, e tingersi le guance Morte ansante lanciossi: immerse allora La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta Piombò su l'orbe, che tacque e crollò. Ma fra le colpe di natura infame Brutta d'orrore la tremenda Dea Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto E le aggruppate chiome ad ogni scossa Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi S'udia l'inferno e la potenza eterna Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve Contaminata la Giustizia fera, E al sozzo pondo dell'umane colpe Le suo immense bilance cigolaro; Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde Inabissata nel tartareo centro.
L'Onnipossente dal più eccelso giro Della sua gloria, d'onde tutto move, Udì le strida del percosso mondo, E al ciel lanciarsi la ministra eterna Vide: accennò la fronte, e le soavi Arpe angeliche tacquero; e la faccia Prostraro i cherubini, e '1 firmamento Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno, Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere Ondeggeranno quasi lievi paglie L'audaci moli; le turrite cime, D'un astro allo strisciar, cenere e fumo Saranno a un tratto; tentennar vedrassi Orrisonante la sferrata terra, Che stritolata piomberà nel lembo D'antiqua notte, fra le cui tenèbre E Luna e Sol staran confusi e muti; Negro e sanguigno bollirà furente Lo spumante Oceàn, rigurgitando Dall'imo ventre polve e fracid'ossa, Che al rintronar di rantolosa tuba Rivestiran lor salma, e quai giganti Vedransi passeggiar su le ruine Dè globi inabissati! E morte e nulla Tutto sarà: precederammi il foco, Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle, Armate il braccio ed infiammato il volto, Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo Scenda sino a quel giorno, e di tremenda Giustizia fermi l'instancabil brando. Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille Voci di gaudio, dell'Eterno al trono Le ginocchia piegò; stese la palma Il Re dei re su la chinata testa, E l'unse del suo amor. Udissi allora Spontaneamente volteggiar pè cieli Inno sacro a Pietà: m'udite attenti E terra e mar, e canterò; m'udite, Chè questo è un inno che dal ciel discende.