Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Lavandare

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    L'anguilla

    L'anguilla, la sirena
    dei mari freddi che lascia il Baltico
    per giungere ai nostri mari,
    ai nostri estuari, ai fiumi
    che risale in profondo, sotto la piena avversa,
    di ramo in ramo e poi
    di capello in capello, assottigliati,
    sempre piú addentro, sempre piú nel cuore
    del macigno, filtrando
    tra gorielli di melma finché un giorno
    una luce scoccata dai castagni
    ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta,
    nei fossi che declinano
    dai balzi d'Appennino alla Romagna;
    l'anguilla, torcia, frusta,
    freccia d'Amore in terra
    che solo i nostri botri o i disseccati
    ruscelli pirenaici riconducono
    a paradisi di fecondazione;
    l'anima verde che cerca
    vita là dove solo
    morde l'arsura e la desolazione,
    la scintilla che dice
    tutto comincia quando tutto pare
    incarbonirsi, bronco seppellito:
    l'iride breve, gemella
    di quella che incastonano i tuoi cigli
    e fai brillare intatta in mezzo ai figli
    dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
    non crederla sorella?
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il sabato del villaggio

      La donzelletta vien dalla campagna,
      In sul calar del sole,
      Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
      Un mazzolin di rose e di viole,
      Onde, siccome suole,
      Ornare ella si appresta
      Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
      Siede con le vicine
      Su la scala a filar la vecchierella,
      Incontro là dove si perde il giorno;
      E novellando vien del suo buon tempo,
      Quando ai dì della festa ella si ornava,
      Ed ancor sana e snella
      Solea danzar la sera intra di quei
      Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
      Già tutta l'aria imbruna,
      Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
      Giù dà colli e dà tetti,
      Al biancheggiar della recente luna.
      Or la squilla dà segno
      Della festa che viene;
      Ed a quel suon diresti
      Che il cor si riconforta.
      I fanciulli gridando
      Su la piazzuola in frotta,
      E qua e là saltando,
      Fanno un lieto romore:
      E intanto riede alla sua parca mensa,
      Fischiando, il zappatore,
      E seco pensa al dì del suo riposo.
      Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
      E tutto l'altro tace,
      Odi il martel picchiare, odi la sega
      Del legnaiuol, che veglia
      Nella chiusa bottega alla lucerna,
      E s'affretta, e s'adopra
      Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
      Questo di sette è il più gradito giorno,
      Pien di speme e di gioia:
      Diman tristezza e noia
      Recheran l'ore, ed al travaglio usato
      Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
      Garzoncello scherzoso,
      Cotesta età fiorita
      È come un giorno d'allegrezza pieno,
      Giorno chiaro, sereno,
      Che precorre alla festa di tua vita.
      Godi, fanciullo mio; stato soave,
      Stagion lieta è cotesta.
      Altro dirti non vò; ma la tua festa
      Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La Credenza

        È un ampio armadio scolpito; l'antica scura
        quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente;
        l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura
        come onda di vin vecchio, un profumo attraente.

        È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato
        di panni odorosi e gialli, di straccetti
        di donne e fanciulli, di appassiti merletti,
        di scialli di nonna col grifo pitturato;

        - Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde,
        i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori
        secchi il cui profumo insieme si confonde.

        - Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte!
        Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori
        se lente s'aprono le grandi nere porte.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Colore di pioggia e di ferro

          Dicevi: morte, silenzio, solitudine;
          come amore, vita. Parole
          delle nostre provvisorie immagini.
          E il vento s'è levato leggero ogni mattina
          e il tempo colore di pioggia e di ferro
          è passato sulle pietre,
          sul nostro chiuso ronzio di maledetti.
          Ancora la verità è lontana.
          E dimmi, uomo spaccato sulla croce,
          e tu dalle mani grosse di sangue,
          come risponderò a quelli che domandano?
          Ora, ora: prima che altro silenzio
          entri negli occhi, prima che altro vento
          salga e altra ruggine fiorisca.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Canto primo

            Quando l'Eterno passeggiò col guardo
            Tutto il creato, diffondendo intorno
            Riso di pace, e fiammeggiar si vide
            Nè cieli il Sole, e rotear le stelle
            Dietro la dolce-radïante Luna
            Tra il fresco vel di solitaria notte,
            E germogliò natura, e al grigio capo
            Degli altissimi monti alberi eccelsi
            Fèro corona, e orrisonando udissi
            L'ampio padre Oceàn fremer da lungi;
            Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni
            Scese Giustizia, e i fulmini guizzando
            Al fianco le strideano, i dispersi
            Crini eran cinti d'abbaglianti lampi.
            In alto assisa vide ergersi il fumo
            D'innocuo sangue, che fraterna mano
            Invida sparse, e dagli vacui abissi
            A tracannarlo, e tingersi le guance
            Morte ansante lanciossi: immerse allora
            La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta
            Piombò su l'orbe, che tacque e crollò.
            Ma fra le colpe di natura infame
            Brutta d'orrore la tremenda Dea
            Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto
            E le aggruppate chiome ad ogni scossa
            Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi
            S'udia l'inferno e la potenza eterna
            Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve
            Contaminata la Giustizia fera,
            E al sozzo pondo dell'umane colpe
            Le suo immense bilance cigolaro;
            Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde
            Inabissata nel tartareo centro.

            L'Onnipossente dal più eccelso giro
            Della sua gloria, d'onde tutto move,
            Udì le strida del percosso mondo,
            E al ciel lanciarsi la ministra eterna
            Vide: accennò la fronte, e le soavi
            Arpe angeliche tacquero; e la faccia
            Prostraro i cherubini, e '1 firmamento
            Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno,
            Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere
            Ondeggeranno quasi lievi paglie
            L'audaci moli; le turrite cime,
            D'un astro allo strisciar, cenere e fumo
            Saranno a un tratto; tentennar vedrassi
            Orrisonante la sferrata terra,
            Che stritolata piomberà nel lembo
            D'antiqua notte, fra le cui tenèbre
            E Luna e Sol staran confusi e muti;
            Negro e sanguigno bollirà furente
            Lo spumante Oceàn, rigurgitando
            Dall'imo ventre polve e fracid'ossa,
            Che al rintronar di rantolosa tuba
            Rivestiran lor salma, e quai giganti
            Vedransi passeggiar su le ruine
            Dè globi inabissati! E morte e nulla
            Tutto sarà: precederammi il foco,
            Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle,
            Armate il braccio ed infiammato il volto,
            Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo
            Scenda sino a quel giorno, e di tremenda
            Giustizia fermi l'instancabil brando.
            Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille
            Voci di gaudio, dell'Eterno al trono
            Le ginocchia piegò; stese la palma
            Il Re dei re su la chinata testa,
            E l'unse del suo amor. Udissi allora
            Spontaneamente volteggiar pè cieli
            Inno sacro a Pietà: m'udite attenti
            E terra e mar, e canterò; m'udite,
            Chè questo è un inno che dal ciel discende.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
              non dico che fosse come la mia ombra
              mi stava accanto anche nel buio
              non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi
              quando si dorme si perdono le mani e i piedi
              io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno

              durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
              non dico che fosse fame o sete o desiderio
              del fresco nell'afa o del caldo nel gelo
              era qualcosa che non può giungere a sazietà
              non era gioia o tristezza non era legata
              alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi
              era in me e fuori di me.

              Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
              e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Ad un'ignota

                Tutto ignoro di te: nome, cognome,
                l'occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
                e sapere non voglio, e non ho chiesto
                il colore nemmen delle tue chiome.

                Ma so che vivi nel silenzio; come
                care ti sono le mie rime: questo
                ti fa sorella nel mio sogno mesto,
                o amica senza volto e senza nome.

                Fuori del sogno fatto di rimpianto
                forse non mai, non mai c'incontreremo,
                forse non ti vedrò, non mi vedrai.

                Ma più di quella che ci siede accanto
                cara è l'amica che non mai vedremo;
                supremo è il bene che non giunge mai!
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Never seek to tell thy love

                  Never seek to tell thy love
                  Love that never told can be;
                  For the gentle wind does move
                  Silently, invisibly.

                  I told my love, I told my love,
                  I told her all my heart;
                  Trembling, cold, in ghastly fears-
                  Ah, she doth depart.

                  Soon as she was gone from me
                  A traveller came by;
                  Silently, invisibly-
                  O, was no deny.
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