Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Prima che bruci Parigi

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra
senza incavi né gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l'Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il mio secolo non mi fa paura

    Il mio secolo non mi fa paura,
    il mio secolo pieno di miserie e di crudeltà
    il mio secolo coraggioso e eroico.
    Non dirò mai che sono vissuto troppo presto
    o troppo tardi.
    Sono fiero di essere qui, con voi.
    Amo il mio secolo che muore e rinasce
    un secolo i cui ultimi giorni saranno belli:
    il mio secolo splenderà un giorno
    come i tuoi occhi.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Ho sentito che non volete imparare niente

      Ho sentito che non volete imparare niente.
      Deduco: siete milionari.
      Il vostro futuro è assicurato - esso è
      Davanti a voi in piena luce. I vostri genitori
      Hanno fatto sì che i vostri piedi
      Non urtino nessuna pietra. Allora non devi
      Imparare niente. Così come sei
      Puoi rimanere.

      E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà, dato che i tempi,
      Come ho sentito, sono insicuri
      Hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
      Ciò che devi fare affinché stiate bene.
      Essi hanno letto i libri di quelli
      Che sanno le verità
      Che hanno validità in tutti i tempi
      E le ricette che aiutano sempre.

      Dato che ci sono così tanti che pensano per te
      Non devi muovere un dito.
      Però, se non fosse così
      Allora dovresti studiare.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Xenia I

        Avevamo studiato per l'aldilà
        un fischio, un segno di riconoscimento.
        Mi provo a modularlo nella speranza
        che tutti siamo già morti senza saperlo.
        Non ho mai capito se io fossi
        il tuo cane fedele e incimurrito
        o tu lo fossi per me.
        Per gli altri no, eri un insetto miope
        smarrito nel blabla
        dell'alta società. Erano ingenui
        quei furbi e non sapevano
        di essere loro il tuo zimbello:
        di esser visti anche al buio e smascherati
        da un tuo senso infallibile, dal tuo
        radar di pipistrello.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Notturno teppista

          Firenze nel fondo era gorgo di luci di fremiti sordi:
          Con ali di fuoco i lunghi rumori fuggenti
          Del tram spaziavano: il fiume mostruoso
          Torpido riluceva come un serpente a squame.
          Su un circolo incerto le inquiete facce beffarde
          Dei ladri, ed io tra i doppi lunghi cipressi uguali a fiaccole spente
          Più aspro ai cipressi le siepi
          Più aspro del fremer dei bussi,
          Che dal mio cuore il mio amore,
          Che dal mio cuore, l'amore un ruffiano che intonò e cantò:
          Amo le vecchie troie
          Gonfie lievitate di sperma
          Che cadono come rospi a quattro zampe sovra la coltrice rossa
          E aspettano e sbuffano ed ansimano
          Flaccide come mantici.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La Storia

            La storia non si snoda
            come una catena
            di anelli ininterrotta.
            In ogni caso
            molti anelli non tengono.
            La storia non contiene
            il prima e il dopo,
            nulla che in lei borbotti
            a lento fuoco.
            La storia non è prodotta
            da chi la pensa e neppure
            da chi l'ignora. La storia
            non si fa strada, si ostina,
            detesta il poco a poco, non procede
            né recede, si sposta di binario
            e la sua direzione
            non è nell'orario.
            La storia non giustifica
            e non deplora,
            la storia non è intrinseca
            perché è fuori.
            La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
            La storia non è magistra
            di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
            a farla più vera e più giusta.
            La storia non è poi
            la devastante ruspa che si dice.
            Lascia sottopassaggi, cripte, buche
            e nascondigli. C'è chi sopravvive.
            La storia è anche benevola: distrugge
            quanto più può: se esagerasse, certo
            sarebbe meglio, ma la storia è a corto
            di notizie, non compie tutte le sue vendette.
            La storia gratta il fondo
            come una rete a strascico
            con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
            Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
            d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
            Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
            Gli altri, nel sacco, si credono
            più liberi di lui.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Deh, Violetta, che in ombra d'Amore

              Deh, Violetta, che in ombra d'Amore
              negli occhi miei sì subito apparisti,
              aggi pietà del cor che tu feristi,
              che spera in te e disiando more.
              Tu, Violetta, in forma più che umana,
              foco mettesti dentro in la mia mente
              col tuo piacer ch'io vidi;
              poi con atto di spirito cocente
              creasti speme, che in parte mi sana
              la dove tu mi ridi.
              Deh, non guardare perché a lei mi fidi,
              ma drizza li occhi al gran disio che m'arde,
              ché mille donne già per esser tarde
              sentiron pena de l'altrui dolore.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                MI alzo con le palpebre infuocate

                MI alzo con le palpebre infuocate.
                La fanciullezza smorta nella barba
                cresciuta nel sonno, nella carne smagrita,
                si fissa con la luce fusa nei miei occhi riarsi.
                Finisco così nel buio incendio
                di una giovinezza frastornata dall'eternità;
                così mi brucio, è inutile
                - pensando - essere altrimenti,
                imporre limiti al disordine: mi trascina
                sempre più frusto, con un viso secco
                nella sua infanzia, verso un quieto e folle
                ordine, il peso del mio giorno perso
                in mute ore di gaiezza, in muti
                istanti di terrore...
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Auschwitz

                  Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
                  amore, lungo la pianura nordica,
                  in un campo di morte: fredda, funebre,
                  la pioggia sulla ruggine dei pali
                  e i grovigli di ferro dei recinti:
                  e non albero o uccelli nell'aria grigia
                  o su dal nostro pensiero, ma inerzia
                  e dolore che la memoria lascia
                  al suo silenzio senza ironia o ira.
                  Da quell'inferno aperto da una scritta
                  bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
                  uscì continuo il fumo
                  di migliaia di donne spinte fuori
                  all'alba dai canili contro il muro
                  del tiro a segno o soffocate urlando
                  misericordia all'acqua con la bocca
                  di scheletro sotto le doccie a gas.
                  Le troverai tu, soldato, nella tua
                  storia in forme di fiumi, d'animali,
                  o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
                  medaglia di silenzio?
                  Restano lunghe trecce chiuse in urne
                  di vetro ancora strette da amuleti
                  e ombre infinite di piccole scarpe
                  e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
                  d'un tempo di saggezza, di sapienza
                  dell'uomo che si fa misura d'armi,
                  sono i miti, le nostre metamorfosi.

                  Sulle distese dove amore e pianto
                  marcirono e pietà, sotto la pioggia,
                  laggiù, batteva un no dentro di noi,
                  un no alla morte, morta ad Auschwitz,
                  per non ripetere, da quella buca
                  di cenere, la morte.
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