Ciò accadde allorché a sorridere Era solo chi è morto - lieto della pace. E, appendice inutile, si sbatteva Leningrado intorno alle sue carceri. E allorché, impazzite di tormento, Condannate ormai andavano le schiere E breve canzone di distacco I fischi cantavano delle locomotive. Stelle di morte incombevano su noi E innocente la Russia si torceva Sotto sanguinosi stivali E copertoni di neri cellulari.
A un passaggio a livello lontano dal mondo un giorno d'agosto assolato un capostazione annoiato vide a un finestrino di un accelerato una signora bruna e piú non lavorò passava le serate a guardare la luna e i treni si scontravano ma lui non li sentiva prima o poi l'amore arriva.
Né l'intima grazia della tua fronte luminosa come una festa né il favore del tuo corpo, tuttora arcano e tacito e fanciullesco, né l'alternarsi delle tue vicende in parole o in silenzi saranno offerta così misteriosa come rimirare il tuo sonno coinvolto nella veglia delle mie braccia. Di nuovo miracolosamente vergine per la virtù assolutoria del sonno, serena e splendente come fausto ricordo trascelto, mi offrirai quella sponda della tua vita che tu stessa non possiedi. Proiettato nella quiete, scorgerò quella riva estrema del tuo essere e ti vedrò forse per la prima volta quale Iddio deve ravvisarti, annullata la finzione del Tempo, senza l'amore, senza di me.
Felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama. Agli occhi sei barlume che vacilla al piede, teso ghiaccio che s'incrina; e dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Se giungi sulle anime invase di tristezza e le schiari, il tuo mattino è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. Ma nulla paga il pianto di un bambino a cui fugge il pallone tra le case.
Sotto un abietto salice non ti affliggere più, innamorato: segua al pensiero rapida azione. A che serve pensare? La tua incessante prostrazione mostra quanto sei freddo; alzati, su, e ripiega la tua mappa di desolazione.
I rintocchi che scorrono sui prati da quella fosca guglia suonan per queste ombre senza amore che all'amore non servono. Ciò che è vivo può amare: perché ancora piegarsi alla sconfitta con le braccia incrociate? Attacca e vincerai.
Stormi di anatre in volo sul tuo capo e sanno dove andare, freddi ruscelli in corsa ai tuoi piedi e vanno verso l'oceano. Cupa e opaca è la tua costernazione: cammina, dunque, vieni, non più così tarpato in preda alla tua soddisfazione.
La sera fumosa d'estate Dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra E mi lascia nel cuore un suggello ardente. Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? C'è Nella stanza un odor di putredine: c'è Nella stanza una piaga rossa languente. Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto: E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è, Nel cuore della sera c'è, Sempre una piaga rossa languente.
Nella sala da pranzo, bruna, profumata di frutta e di vernice, come chi non pensa raccolsi un piatto di non so quale portata belga, e sprofondai nella mia sedia immensa.
Mangiando, udivo il pendolo, - calmo e giulivo. La cucina s'aprì in mezzo a una sbuffata. - Entrò la serva, e chissà per quale motivo, lo scialle sfatto, con malizia pettinata,
ecco il ditino tremante pose e ripose sulla sua guancia, velluto di pesche-rose bianche, e con smorfie del suo labbro bambino
per mio agio, i piatti mi riordinò vicino - poi, - ma certo per prendersi un bacio, - così mi soffiò: "Ho una freddo alla guancia, senti qui... "
Tu verrai comunque perché dunque non ora? Ti attendo sono sfinita Ho spento il lume e aperto l'uscio a te, così semplice e prodigiosa. Prendi per questo l'aspetto che più ti aggrada irrompi come una palla avvelenata o insinuati furtiva come un freddo bandito o intossicami col delirio del tifo o con una storiella da te inventata e nota a tutti fino alla nausea che io veda la punta di un berretto turchino e il capopalazzo pallido di paura. Ora per me tutto è uguale turbina lo Enisej risplende la stella polare e annebbia un ultimo terrore l'azzurro bagliore di occhi addolorati.