Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Capitano! Mio Capitano!

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.

O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgo - per te è issata la bandiera - per te squillano le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.

Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili,
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
la nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Prima colazione

    Lui ha messo
    Il caffè nella tazza
    Lui ha messo
    Il latte nel caffè
    Lui ha messo
    Lo zucchero nel caffellatte
    Ha girato
    Il cucchiaino
    Ha bevuto il caffellatte
    Ha posato la tazza
    Senza parlarmi
    S'è acceso
    Una sigaretta
    Ha fatto
    Dei cerchi di fumo
    Ha messo la cenere
    Nel portacenere
    Senza parlarmi
    Senza guardarmi
    S'è alzato
    S'è messo
    Sulla testa il cappello
    S'è messo
    L'impermeabile
    Perché pioveva
    E se n'è andato
    Sotto la pioggia
    Senza parlare
    Senza guardarmi,
    E io mi son presa
    La testa fra le mani
    E ho pianto.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Foglie morte

      Veder cadere le foglie mi lacera dentro
      soprattutto le foglie dei viali
      soprattutto se sono ippocastani
      soprattutto se passano dei bimbi
      soprattutto se il cielo è sereno
      soprattutto se ho avuto, quel giorno, una buona notizia
      soprattutto se il cuore, quel giorno, non mi fa male
      soprattutto se credo, quel giorno, che quella che amo mi ami
      soprattutto se quel giorno mi sento d'accordo con gli uomini e con me stesso
      veder cadere le foglie mi lacera dentro
      soprattutto le foglie dei viali dei viali d'ippocastani.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        L'addio

        L'uomo dice alla donna
        t'amo
        e come:
        come se stringessi tra le palme
        il mio cuore, simile a scheggia di vetro
        che m'insanguina i diti
        quando lo spezzo
        follemente.

        L'uomo dice alla donna
        t'amo
        e come:
        con la profondità dei chilometri
        con l'immensità dei chilometri
        cento per cento
        mille per cento
        cento volte l'infinitamente cento.

        La donna dice all'uomo
        ho guardato

        con le mie labbra
        con la mia testa col mio cuore
        con amore con terrore, curvandomi
        sulle tue labbra
        sul tuo cuore
        sulla tua testa.
        E quello che dico adesso
        l'ho imparato da te
        come un mormorio nelle tenebre
        e oggi so
        che la terra
        come una madre
        dal viso di sole
        allatta la sua creatura più bella.
        Ma che fare?
        I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore
        non posso strapparne la testa
        devi partire
        guardando gli occhi del nuovo nato
        devi abbandonarmi.

        La donna ha taciuto
        si sono baciati
        un libro è caduto sul pavimento
        una finestra si è chiusa.

        È così che si sono lasciati.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Alla fine il segreto viene fuori

          Alla fine il segreto viene fuori,
          come deve succedere ogni volta,
          è matura la deliziosa storia
          da raccontare all'amico del cuore;
          davanti al tè fumante e nella piazza
          la lingua ottiene quello che voleva;
          le acque chete corrono profonde
          mio caro, non c'è fumo senza fuoco.

          Dietro il morto in fondo al serbatoio,
          dietro il fantasma sul prato da golf,
          dietro la dama che ama il ballo e dietro
          il signore che beve come un matto,
          sotto l'aspetto affaticato,
          l'attacco di emicrania e il sospiro
          c'è sempre un'altra storia,
          c'è più di quello che si mostra all'occhio.

          Per la voce argentina che d'un tratto
          canta lassù dal muro del convento,
          per l'odore che viene dai sanbuchi,
          per le stampe di caccia nell'ingresso,
          per le gare di croquet in estate,
          la tosse, il bacio, la stretta di mano,
          c'è sempre un segreto malizioso,
          un motivo privato in tutto questo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Il Cinque Maggio

            Ei fu. Siccome immobile,
            dato il mortal sospiro,
            stette la spoglia immemore
            orba di tanto spiro,
            così percossa, attonita
            la terra al nunzio sta,
            muta pensando all'ultima
            ora dell'uom fatale;
            né sa quando una simile
            orma di piè mortale
            la sua cruenta polvere
            a calpestar verrà.
            Lui folgorante in solio
            vide il mio genio e tacque;
            quando, con vece assidua,
            cadde, risorse e giacque,
            di mille voci al sònito
            mista la sua non ha:
            vergin di servo encomio
            e di codardo oltraggio,
            sorge or commosso al sùbito
            sparir di tanto raggio;
            e scioglie all'urna un cantico
            che forse non morrà.
            Dall'Alpi alle Piramidi,
            dal Manzanarre al Reno,
            di quel securo il fulmine
            tenea dietro al baleno;
            scoppiò da Scilla al Tanai,
            dall'uno all'altro mar.
            Fu vera gloria? Ai posteri
            l'ardua sentenza: nui
            chiniam la fronte al Massimo
            Fattor, che volle in lui
            del creator suo spirito
            più vasta orma stampar.
            La procellosa e trepida
            gioia d'un gran disegno,
            l'ansia d'un cor che indocile
            serve, pensando al regno;
            e il giunge, e tiene un premio
            ch'era follia sperar;
            tutto ei provò: la gloria
            maggior dopo il periglio,
            la fuga e la vittoria,
            la reggia e il tristo esiglio;
            due volte nella polvere,
            due volte sull'altar.
            Ei si nomò: due secoli,
            l'un contro l'altro armato,
            sommessi a lui si volsero,
            come aspettando il fato;
            ei fè silenzio, ed arbitro
            s'assise in mezzo a lor.
            E sparve, e i dì nell'ozio
            chiuse in sì breve sponda,
            segno d'immensa invidia
            e di pietà profonda,
            d'inestinguibil odio
            e d'indomato amor.
            Come sul capo al naufrago
            l'onda s'avvolve e pesa,
            l'onda su cui del misero,
            alta pur dianzi e tesa,
            scorrea la vista a scernere
            prode remote invan;
            tal su quell'alma il cumulo
            delle memorie scese.
            Oh quante volte ai posteri
            narrar se stesso imprese,
            e sull'eterne pagine
            cadde la stanca man!
            Oh quante volte, al tacito
            morir d'un giorno inerte,
            chinati i rai fulminei,
            le braccia al sen conserte,
            stette, e dei dì che furono
            l'assalse il sovvenir!
            E ripensò le mobili
            tende, e i percossi valli,
            e il lampo dè manipoli,
            e l'onda dei cavalli,
            e il concitato imperio
            e il celere ubbidir.
            Ahi! Forse a tanto strazio
            cadde lo spirto anelo,
            e disperò; ma valida
            venne una man dal cielo,
            e in più spirabil aere
            pietosa il trasportò;
            e l'avviò, pei floridi
            sentier della speranza,
            ai campi eterni, al premio
            che i desideri avanza,
            dov'è silenzio e tenebre
            la gloria che passò.
            Bella Immortal! Benefica
            Fede ai trionfi avvezza!
            Scrivi ancor questo, allegrati;
            ché più superba altezza
            al disonor del Gòlgota
            giammai non si chinò.
            Tu dalle stanche ceneri
            sperdi ogni ria parola:
            il Dio che atterra e suscita,
            che affanna e che consola,
            sulla deserta coltrice
            accanto a lui posò.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il Natale

              Qual masso che dal vertice
              Di lunga erta montana,
              Abbandonato all'impeto
              Di rumorosa frana,
              Per lo scheggiato calle
              Precipitando a valle,
              Batte sul fondo e sta;
              Là dove cadde, immobile
              Giace in sua lenta mole;
              Né, per mutar di secoli,
              Fia che riveda il sole
              Della sua cima antica,
              Se una virtude amica
              In alto nol trarrà:
              Tal si giaceva il misero
              Figliol del fallo primo,
              Dal dì che un'ineffabile
              Ira promessa all'imo
              D'ogni malor gravollo,
              Donde il superbo collo
              Più non potea levar.
              Qual mai tra i nati all'odio
              Quale era mai persona
              Che al Santo inaccessibile
              Potesse dir: perdona?
              Far novo patto eterno?
              Al vincitore inferno
              La preda sua strappar?
              Ecco ci è nato un Pargolo,
              Ci fu largito un Figlio:
              Le avverse forze tremano
              Al mover del suo ciglio:
              All'uom la mano Ei porge,
              Che si ravviva, e sorge
              Oltre l'antico onor.
              Dalle magioni eteree
              Sgorga una fonte, e scende
              E nel borron dè triboli
              Vivida si distende:
              Stillano mele i tronchi;
              Dove copriano i bronchi,
              Ivi germoglia il fior.
              O Figlio, o Tu cui genera
              L'Eterno, eterno seco;
              Qual ti può dir dè secoli:
              Tu cominciasti meco?
              Tu sei: del vasto empiro
              Non ti comprende il giro:
              La tua parola il fè.
              E Tu degnasti assumere
              Questa creata argilla?
              Qual merto suo, qual grazia
              A tanto onor sortilla?
              Se in suo consiglio ascoso
              Vince il perdon, pietoso
              Immensamente Egli è.
              Oggi Egli è nato: ad Efrata,
              Vaticinato ostello,
              Ascese un'alma Vergine,
              La gloria d'Israello,
              Grave di tal portato:
              Da cui promise è nato,
              Donde era atteso uscì.
              La mira Madre in poveri.
              Panni il Figliol compose,
              E nell'umil presepio
              Soavemente il pose;
              E l'adorò: beata!
              Innanzi al Dio prostrata
              Che il puro sen le aprì.
              L'Angel del cielo, agli uomini
              Nunzio di tanta sorte,
              Non dè potenti volgesi
              Alle vegliate porte;
              Ma tra i pastor devoti,
              Al duro mondo ignoti,
              Subito in luce appar.
              E intorno a lui per l'ampia
              Notte calati a stuolo,
              Mille celesti strinsero
              Il fiammeggiante volo;
              E accesi in dolce zelo,
              Come si canta in cielo,
              A Dio gloria cantar.
              L'allegro inno seguirono,
              Tornando al firmamento:
              Tra le varcate nuvole
              Allontanossi, e lento
              Il suon sacrato ascese,
              Fin che più nulla intese
              La compagnia fedel.
              Senza indugiar, cercarono
              L'albergo poveretto
              Què fortunati, e videro,
              Siccome a lor fu detto,
              Videro in panni avvolto,
              In un presepe accolto,
              Vagire il Re del Ciel.
              Dormi, o Fanciul; non piangere;
              Dormi, o Fanciul celeste:
              Sovra il tuo capo stridere
              Non osin le tempeste,
              Use sull'empia terra,
              Come cavalli in guerra,
              Correr davanti a Te.
              Dormi, o Celeste: i popoli
              Chi nato sia non sanno;
              Ma il dì verrà che nobile
              Retaggio tuo saranno;
              Che in quell'umil riposo,
              Che nella polve ascoso,
              Conosceranno il Re.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Per non dimenticare...

                E tutti
                ci ricorderemo dove eravamo in quel
                momento. Seduti in macchina a
                cercar parcheggio, con la testa
                tra i surgelati a cercar la
                paella, davanti al computer a
                cercare la frase giusta. Poi uno
                squillo di telefonino, e
                l'amico, il parente, il collega
                che ti staccano una storia
                inverosimile di aerei e
                grattacieli, ma và via, dai,
                lasciami perdere che oggi è già
                una giornata difficile, ma lui
                non ride e dice: ti giuro che è
                vero. Ricorderemo l'istante
                passato a cercare in quella voce
                una qualunque sfumatura di
                ironia, senza trovarla. Ti giuro
                che è vero. E non dimenticheremo
                la prima persona a cui abbiamo
                telefonato, subito dopo, e
                nemmeno quel pensiero -
                immediato, sciocco ma
                incredibilmente reale - "Dov'è
                mio figlio? ", i miei figli, la
                mamma, la fidanzata, domanda
                inutile, perfino comica, lo
                capisci subito dopo, ma intanto
                è scattata - la Storia siamo
                noi, è solo un verso di una
                canzone di De Gregori, ma adesso
                ho capito cosa voleva dire -
                risvegliarsi con la Storia
                addosso. Che vertigine.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Laws

                  Then a lawyer said, "But what of our Laws, master? "
                  And he answered:
                  You delight in laying down laws,
                  Yet you delight more in breaking them.
                  Like children playing by the ocean who build sand-towers
                  with constancy and then destroy them with
                  laughter.
                  But while you build your sand-towers the ocean brings
                  more sand to the shore,
                  And when you destroy them, the ocean laughs with
                  you.
                  Verily the ocean laughs always with the innocent.
                  But what of those to whom life is not an ocean, and
                  man-made laws are not sand-towers,
                  But to whom life is a rock, and the law a chisel with
                  which they would carve it in their own likeness?
                  What of the cripple who hates dancers?
                  What of the ox who loves his yoke and deems the elk
                  and deer of the forest stray and vagrant things?
                  What of the old serpent who cannot shed his skin, and
                  calls all others naked and shameless?
                  And of him who comes early to the wedding-feast, and
                  when over-fed and tired goes his way saying that all
                  feasts are violation and all feasters law-breakers?
                  What shall I say of these save that they too stand in the
                  sunlight, but with their backs to the sun?
                  They see only their shadows, and their shadows are
                  their laws.
                  And what is the sun to them but a caster of shadows?
                  And what is it to acknowledge the laws but to stoop
                  down and trace their shadows upon the earth?
                  But you who walk facing the sun, what images drawn
                  on the earth can hold you?
                  You who travel with the wind, what weathervane shall
                  direct your course?
                  What man's law shall bind you if you break your yoke
                  but upon no man's prison door?
                  What laws shall you fear if you dance but stumble
                  against no man's iron chains?
                  And who is he that shall bring you to judgment if you
                  tear off your garment yet leave it in no man's path?
                  People of Orphalese, you can muffle the drum, and you
                  can loosen the strings of the lyre, but who shall
                  command the skylark not to sing ?
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