Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il gioco degli dei

Gli dei lanciano i dadi, ma non domandano se vogliamo partecipare al gioco.
Non vogliono sapere se hai lasciato un uomo, una casa, un lavoro, una carriera, un sogno.
Gli dei non badano al fatto che tu vuoi avere una vita in cui ogni cosa sia al proprio posto,
in cui ogni desiderio si possa esaudire con il lavoro e la pertinacia.
Gli dei non tengono conto dei nostri piani e delle nostre speranze.
In qualche luogo dell'universo, loro lanciano i dadi e, casualmente, vieni scelto tu.
Da quel momento in poi, vincere o perdere è solo questione di opportunità.
Gli dei lanciano i dadi e liberano l'amore dalla sua gabbia.
Questa forza può creare o distruggere, a seconda della direzione in cui soffiava il vento
nel momento in cui si è liberata dalla prigione. L'amore può condurci all'inferno o in paradiso,
comunque ci porta sempre in qualche luogo. É necessario accettarlo, perché esso
è ciò che alimenta la nostra esistenza.
Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti:
non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli.
É necessario ricercare l'amore la dove si trova, anche se ciò potrebbe significare ore,
giorni, settimane di delusione e di tristezza. Perché nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore,
anche l'amore muove per venirci incontro. E ci salva. E nell'amore non esistono regole.
Possiamo tentare di seguire dei manuali, di controllare il cuore, di avere una strategia di comportamento.
Ma sono tutte cose insignificanti. Decide il cuore.
E quando decide è ciò che conta.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Autobiografia (1962)

    Sono nato nel 1902
    non sono più tornato
    nella città natale
    non amo i ritorni indietro
    quando avevo tre anni
    abitavo Alep
    con mio nonno pascià
    a 19 anni studiavo a Mosca
    all'università comunista
    a 49 ero a Mosca di nuovo
    ospite del comitato centrale
    del partito comunista
    e dall'età di 14 anni
    faccio il poeta
    alcuni conoscon bene le varie specie
    delle piante altri quelle dei pesci
    io conosco le separazioni
    alcuni enumerano a memoria i nomi
    delle stelle io delle nostalgie
    ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso
    ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame
    e non c'è quasi pietanza
    che non abbia assaggiata
    quando avevo trent'anni hanno chiesto
    la mia impiccagione
    a 48 mi hanno proposto
    per la medaglia della Pace
    e me l'hanno data
    a 36 ho traversato in sei mesi
    i quattro metri quadrati
    di cemento
    della segregazione cellulare
    a 59 sono volato
    da Praga all'Avana
    in diciotto ore
    ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel '24
    e il mausoleo che visito sono i suoi libri
    han provato a strapparmi dal mio Partito
    e non ci son riusciti
    e non sono rimasto schiacciato
    sotto gl'idoli crollati
    nel 51 con un giovane compagno
    ho camminato verso la morte
    nel 52 col cuore spaccato ho atteso la morte
    per quattro mesi sdraiato sul dorso
    sono stato pazzamente geloso delle donne ch'ho amato
    non ho invidiato nemmeno Charlot
    ho ingannato le mie donne
    non ho sparlato degli amici
    dietro le loro spalle
    ho bevuto ma non sono stato un bevitore
    ho sempre guadagnato il mio pane
    col sudore della mia fronte
    che felicità
    mi sono vergognato per gli altri e ho mentito
    ho mentito per non far pena agli altri
    ma ho anche mentito
    senza nessun motivo
    ho viaggiato in treno in areoplano in macchina
    i più non possono farlo
    sono stato all'Opera
    i più non ci vanno non sanno
    nemmeno che cosa sia
    e dal '21 non sono entrato
    in certi luoghi frequentati dai più
    la moschea la sinagoga la chiesa
    il tempio i maghi le fattucchiere
    ma mi è capitato
    di far leggere la mia sorte
    nei fondi di caffè
    le mie poesie sono pubblicate
    in trenta o quaranta lingue
    ma nella mia Turchia
    nella mia lingua turca
    sono proibite
    il cancro non l'ho ancora avuto
    non è necessario che l'abbia
    non sarò primo ministro
    d'altronde non ne ho voglia
    anche non ho fatto la guerra
    non sono sceso nei ricoveri
    nel mezzo della notte
    non ho camminato per le vie
    sotto gli aerei in picchiata
    ma verso i sessant'anni mi sono innamorato
    in una parola compagni
    anche se oggi a Berlino sono sul punto
    di crepar di tristezza
    posso dire di aver vissuto
    da uomo
    e quanto vivrò ancora
    e quanto vedrò ancora
    chi sa.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Canzone

      Pesci nei placidi laghi
      sfoggiano scie di colori,
      cigni nell'aria invernale
      hanno un candore perfetto
      e incede il grande leone
      per il suo bosco innocente;
      leone, pesci e cigno
      in scena e già sono andati
      sull'onda irruente del Tempo.

      Noi, finché i giorni d'ombra son maturi,
      noi dobbiamo piangere e cantare
      del dovere il sopruso consapevole,
      il Diavolo nell'orgoglio,
      la bontà portata attentamente
      per espiazione o per nostra fortuna;
      noi i nostri amori li dobbiamo perdere,
      volgendo uno sguardo invidioso
      a ogni animale e uccello che si muove.

      Sospiri per folliecompiute e dette
      attorcono i nostri angusti giorni,
      ma devo benedire e celebrare
      che tu, mio cigno, avendo
      tutti i doni che Natura
      impulsiva ha dato al cigno,
      la maestà e l'orgoglio,
      vi aggiungessi ieri notte
      il tuo amore volontario.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Hai chiuso gli occhi

        Nasce una notte
        piena di finte buche,
        di suoni morti
        come di sugheri
        di reti calate nell'acqua.

        Le tue mani si fanno come un soffio
        d'inviolabili lontananze,
        inafferrabili come le idee.

        E l'equivoco della luna
        e il dondolio, dolcissimi,
        se vuoi posarmele sugli occhi,
        toccano l'anima.

        Sei la donna che passa
        come una foglia.

        E lasci agli alberi un fuoco d'autunno.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          A Silvia

          Silvia, rimembri ancora
          quel tempo della tua vita mortale,
          quando beltà splendea
          negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
          e tu, lieta e pensosa, il limitare
          di gioventù salivi?

          Sonavan le quiete
          stanze, e le vie dintorno,
          al tuo perpetuo canto,
          allor che all'opre femminili intenta
          sedevi, assai contenta
          di quel vago avvenir che in mente avevi.
          Era il maggio odoroso: e tu solevi
          così menare il giorno.

          Io gli studi leggiadri
          talor lasciando e le sudate carte,
          ove il tempo mio primo
          e di me si spendea la miglior parte,
          d'in su i veroni del paterno ostello
          porgea gli orecchi al suon della tua voce,
          ed alla man veloce
          che percorrea la faticosa tela.
          Mirava il ciel sereno,
          le vie dorate e gli orti,
          e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
          Lingua mortal non dice
          quel ch'io sentiva in seno.

          Che pensieri soavi,
          che speranze, che cori, o Silvia mia!
          Quale allor ci apparia
          la vita umana e il fato!
          Quando sovviemmi di cotanta speme,
          un affetto mi preme
          acerbo e sconsolato,
          e tornami a doler di mia sventura.
          O natura, o natura,
          perché non rendi poi
          quel che prometti allor? Perché di tanto
          inganni i figli tuoi?

          Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
          da chiuso morbo combattuta e vinta,
          perivi, o tenerella. E non vedevi
          il fior degli anni tuoi;
          non ti molceva il core
          la dolce lode or delle negre chiome,
          or degli sguardi innamorati e schivi;
          né teco le compagne ai dì festivi
          ragionavan d'amore.

          Anche peria tra poco
          la speranza mia dolce: agli anni miei
          anche negaro i fati
          la giovanezza. Ahi come,
          come passata sei,
          cara compagna dell'età mia nova,
          mia lacrimata speme!
          Questo è quel mondo? Questi
          i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
          onde cotanto ragionammo insieme?
          Questa la sorte dell'umane genti?
          All'apparir del vero
          tu, misera, cadesti: e con la mano
          la fredda morte ed una tomba ignuda
          mostravi di lontano.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Passero solitario

            D'in su la vetta della torre antica,
            Passero solitario, alla campagna
            Cantando vai finché non more il giorno;
            Ed erra l'armonia per questa valle.
            Primavera dintorno
            Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
            Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
            Odi greggi belar, muggire armenti;
            Gli altri augelli contenti, a gara insieme
            Per lo libero ciel fan mille giri,
            Pur festeggiando il lor tempo migliore:
            Tu pensoso in disparte il tutto miri;
            Non compagni, non voli,
            Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
            Canti, e così trapassi
            Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
            Oimè, quanto somiglia
            Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
            Della novella età dolce famiglia,
            E te german di giovinezza, amore,
            Sospiro acerbo dè provetti giorni,
            Non curo, io non so come; anzi da loro
            Quasi fuggo lontano;
            Quasi romito, e strano
            Al mio loco natio,
            Passo del viver mio la primavera.
            Questo giorno ch'omai cede alla sera,
            Festeggiar si costuma al nostro borgo.
            Odi per lo sereno un suon di squilla,
            Odi spesso un tonar di ferree canne,
            Che rimbomba lontan di villa in villa.
            Tutta vestita a festa
            La gioventù del loco
            Lascia le case, e per le vie si spande;
            E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
            Io solitario in questa
            Rimota parte alla campagna uscendo,
            Ogni diletto e gioco
            Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
            Steso nell'aria aprica
            Mi fere il Sol che tra lontani monti,
            Dopo il giorno sereno,
            Cadendo si dilegua, e par che dica
            Che la beata gioventù vien meno.
            Tu, solingo augellin, venuto a sera
            Del viver che daranno a te le stelle,
            Certo del tuo costume
            Non ti dorrai; che di natura è frutto
            Ogni vostra vaghezza.
            A me, se di vecchiezza
            La detestata soglia
            Evitar non impetro,
            Quando muti questi occhi all'altrui core,
            E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
            Del dì presente più noioso e tetro,
            Che parrà di tal voglia?
            Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
            Ahi pentirommi, e spesso,
            Ma sconsolato, volgerommi indietro.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Non è il tuo amore che domando

              Non è il tuo amore che domando.
              Si trova adesso in un luogo conveniente.
              Stanne pur certo, lettere gelose
              non scriverò alla tua fidanzata.
              Però accetta dei saggi consigli:
              dalle da leggere i mie versi,
              dalle da custodire i miei ritratti,
              sono così cortesi i fidanzati!
              E conta più per queste scioccherelle
              assaporare a fondo una vittoria
              che luminose parole di amicizia,
              e il ricordo dei primi, dolci giorni...
              Ma allorché con la diletta amica
              avrai vissuto spiccioli di gioia
              e all'anima già sazia d'improvviso
              tutto parrà un peso,
              non accostarti alla mia notte trionfale.
              Non ti conosco.
              E in cosa potrei esserti d'aiuto?
              Dalla felicità io non guarisco.
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