Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

A N. V. N.

C'è nel contatto umano un limite fatale,
non lo varca né amore né passione,
pur se in muto spavento si fondono le labbra
e il cuore si dilacera d'amore.

Perfino l'amicizia vi è impotente,
e anni d'alta, fiammeggiante gioia,
quando libera è l'anima ed estranea
allo struggersi lento del piacere.

Chi cerca di raggiungerlo è folle,
se lo tocca soffre una sorda pena...
ora hai compreso perché il mio cuore
non batte sotto la tua mano.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!

    Certo sei stanca
    come potrò lavarti i piedi
    non ho acqua di rose né catino d'argento

    certo avrai sete
    non ho una bevanda fresca da offrirti

    certo avrai fame
    e io non posso apparecchiare
    una tavola con lino candido

    la mia stanza è povera e prigioniera
    come il nostro paese.

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!

    Hai posato il piede nella mia cella
    e il cemento è divenuto prato

    hai riso
    e rose hanno fiorito le sbarre

    hai pianto
    e perle son rotolate sulle mie palme

    ricca come il mio cuore
    cara come la libertà
    è adesso questa prigione.

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      A una in Paradiso

      Eri per me quel tutto, amore,
      per cui si struggeva la mia anima -
      una verde isola nel mare, amore,
      una fonte limpida, un'ara
      di magici frutti e fiori adornata:
      e tutti erano miei quei fiori.

      Ah, sogno splendido e breve!
      Stellata speranza, appena apparsa
      e subito sopraffatta!
      Una voce del Futuro mi grida
      "Avanti, avanti! " - ma è sul Passato
      (oscuro gugite! ) che la mia anima aleggia
      tacita, immobile, sgomenta!
      Perché mai più, oh, mai più per me
      risplenderà quella luce di Vita!
      Mai più - mai più - mai più -
      (è quel che il mare ripete
      alle sabbie del lido) - mai più
      rifiorirà un albero percosso dal fulmine,
      nè potrà più elevarsi un'aquila ferita.

      Vivo, trasognato, giorni estatici,
      e tutte le mie notturne visioni
      mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
      a là dove tu stessa ti porti e risplendi,
      oh, in quali eteree danze,
      lungo rivi che scorrono perenni.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        A Elena (1835)

        Elena, la tua bellezza è per me
        come quei navigli nicei d'un tempo
        che, mollemente, sull'odorato mare
        riportavano il pellegrino stanco d'errare
        alla sua sponda natia.

        Da tempo avezzo a disperati mari,
        la tua chioma di giacinto, il tuo classico volto,
        la tua grazia di Naiade riportano me anche in patria,
        a quella gloria che fu la Grecia,
        a quella maestà che fu Roma.

        Là, nel rilucente vano della finestra,
        come statua eretta io ti vedo,
        con in mano la tua lampada d'agata!
        Ah, Psyche, qui venuta dalle regioni
        che son Terra Santa.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Né mistero né dolore

          Né mistero né dolore
          né volontà sapiente del destino:
          sempre quell'incontrarci ci lasciava
          l'impressione di una lotta.

          Ed io, indovinato dal mattino
          l'attimo del tuo arrivo,
          percepivo nei palmi socchiusi
          il morso leggero di un tremito.

          Con dita arse sgualcivo
          la variopinta tovaglia del tavolo...
          Capivo fin da allora
          quanto è angusta questa terra.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Or son molti e molti anni
            che in un regno in riva al mare
            viveva una fanciulla che col nome
            chiamerete di Annabel Lee:
            e viveva questa fanciulla con non altro pensiero
            che d'amarmi e d'essere amata da me.
            Io ero un bimbo e lei una bimba,
            in questo regno in riva al mare;
            ma ci amavamo d'un amore ch'era più che amore-
            io e la mia Annabel Lee –
            d'un amore che gli alati serafini in cielo
            invidiavano a lei ed a me.
            E fu per questo che –oh, molto tempo fa-
            in questo regno in riva al mare
            un vento soffiò da una nube, raggelando
            la mia bella Annabel Lee;
            così che vennero i suoi nobili parenti
            e la portarono da me lontano
            per rinchiuderla in un sepolcro
            in questo regno in riva al mare.
            Gli angeli, non così felici in cielo come noi,
            a lei e a me portarono invidia –
            oh sì! E fu per questo ( e tutti ben lo sanno
            in questo regno in riva al mare)
            che quel vento irruppe una notte dalla nube
            raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.
            Ma molto era più forte il nostro amore
            che l'amor d'altri di noi più grandi-
            che l'amor d'altri di noi più savi-
            e né gli angeli lassù nel cielo
            né i demoni dentro il profondo mare
            mai potran separare la mia anima dall'anima
            della bella Annabel Lee: -
            giacché mai raggia la luna che non mi porti sogni
            della bella Annabel Lee;
            e mai stella si leva ch'io non senta i fulgenti occhi
            della bella Annabel Lee: -
            e così, nelle notti, al fianco io giaccio
            del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa,
            nel suo sepolcro lì in riva al mare,
            nella sua tomba in riva al risonante mare.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Non sono né un artista né un poeta.
              Ho trascorso i miei giorni scrivendo e dipingendo,
              ma non sono in sintonia
              con i miei giorni e le mie notti.
              Sono una nube,
              una nube che si confonde con gli oggetti,
              ma ad essi mai si unisce.
              Sono una nube,
              e nella nube è la mia solitudine,
              la mia fame e la mia sete.
              La calamità è che la nube, la mia realtà,
              anela di udire qualcunaltro che dica:
              <<Non sei solo in questo mondo
              ma siamo due, insieme,
              e io so chi sei tu>>.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Lamento per il sud

                La luna rossa, il vento, il tuo colore
                di donna del Nord, la distesa di neve...
                Il mio cuore è ormai su queste praterie,
                in queste acque annuvolate dalle nebbie.
                Ho dimenticato il mare, la grave
                conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
                le cantilene dei carri lungo le strade
                dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
                ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
                nell'aria dei verdi altipiani
                per le terre e i fiumi della Lombardia.
                Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria.
                Più nessuno mi porterà nel Sud.
                Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
                in riva alle paludi di malaria,
                è stanco di solitudine, stanco di catene,
                è stanco nella sua bocca
                delle bestemmie di tutte le razze
                che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi,
                che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
                Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
                costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
                mangiano fiori d'acacia lungo le piste
                nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
                Più nessuno mi porterà nel Sud.
                E questa sera carica d'inverno
                è ancora nostra, e qui ripeto a te
                il mio assurdo contrappunto
                di dolcezze e di furori,
                un lamento d'amore senza amore.
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