C'è nel contatto umano un limite fatale, non lo varca né amore né passione, pur se in muto spavento si fondono le labbra e il cuore si dilacera d'amore.
Perfino l'amicizia vi è impotente, e anni d'alta, fiammeggiante gioia, quando libera è l'anima ed estranea allo struggersi lento del piacere.
Chi cerca di raggiungerlo è folle, se lo tocca soffre una sorda pena... ora hai compreso perché il mio cuore non batte sotto la tua mano.
E i bicchieri erano vuoti e la bottiglia in pezzi E il letto spalancato e la porta sprangata E tutte le stelle di vetro della bellezza e della gioia risplendevano nella polvere della camera spazzata male Ed io ubriaco morto ero un fuoco di gioia e tu ubriaca viva nuda nelle mie braccia.
Parole? Sì, di aria e nell'aria perdute. Tu lascia che mi perda tra parole, lasciami essere aria su labbra, un soffio vagabondo senza sagoma, breve aroma che l'aria fa svenire.
Più svelto, macchinista, e fammi in fretta la Springfield Line sotto il sole splendente. Via come un razzo, non fermarti mai finché non freni in Grand Central, New York. Perché ad aspettarmi c'è laggiù, in mezzo a quel salone, colui che fra tutti amo di più. Se non è lì quando arrivo in città starò sul marciapiede e piangerò. Perché è lui che voglio rimirare, l'acme di perfezione e di bontà. Se mi serra la mano e mi dice "ti amo", ed è per me un fenomeno sublime. I boschi sono tutti verdi e lustri ai lati del binario ; anche gli alberi hanno i loro amori, pur diversi dal mio. Ma il povero banchiere vecchio e obeso, in carrozza di lusso, non ha nessuno che lo ami eccetto il suo avana. Se fossi io il Capo dela Chiesa o dello Stato, m'inciprierei il naso e ordinerei a tutti di aspettare. Perché l'amore conta ed è potente ben più di un prete o di un politicante.
Elena, la tua bellezza è per me come quei navigli nicei d'un tempo che, mollemente, sull'odorato mare riportavano il pellegrino stanco d'errare alla sua sponda natia.
Da tempo avezzo a disperati mari, la tua chioma di giacinto, il tuo classico volto, la tua grazia di Naiade riportano me anche in patria, a quella gloria che fu la Grecia, a quella maestà che fu Roma.
Là, nel rilucente vano della finestra, come statua eretta io ti vedo, con in mano la tua lampada d'agata! Ah, Psyche, qui venuta dalle regioni che son Terra Santa.
Or son molti e molti anni che in un regno in riva al mare viveva una fanciulla che col nome chiamerete di Annabel Lee: e viveva questa fanciulla con non altro pensiero che d'amarmi e d'essere amata da me. Io ero un bimbo e lei una bimba, in questo regno in riva al mare; ma ci amavamo d'un amore ch'era più che amore- io e la mia Annabel Lee – d'un amore che gli alati serafini in cielo invidiavano a lei ed a me. E fu per questo che –oh, molto tempo fa- in questo regno in riva al mare un vento soffiò da una nube, raggelando la mia bella Annabel Lee; così che vennero i suoi nobili parenti e la portarono da me lontano per rinchiuderla in un sepolcro in questo regno in riva al mare. Gli angeli, non così felici in cielo come noi, a lei e a me portarono invidia – oh sì! E fu per questo ( e tutti ben lo sanno in questo regno in riva al mare) che quel vento irruppe una notte dalla nube raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee. Ma molto era più forte il nostro amore che l'amor d'altri di noi più grandi- che l'amor d'altri di noi più savi- e né gli angeli lassù nel cielo né i demoni dentro il profondo mare mai potran separare la mia anima dall'anima della bella Annabel Lee: - giacché mai raggia la luna che non mi porti sogni della bella Annabel Lee; e mai stella si leva ch'io non senta i fulgenti occhi della bella Annabel Lee: - e così, nelle notti, al fianco io giaccio del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa, nel suo sepolcro lì in riva al mare, nella sua tomba in riva al risonante mare.
Non sono né un artista né un poeta. Ho trascorso i miei giorni scrivendo e dipingendo, ma non sono in sintonia con i miei giorni e le mie notti. Sono una nube, una nube che si confonde con gli oggetti, ma ad essi mai si unisce. Sono una nube, e nella nube è la mia solitudine, la mia fame e la mia sete. La calamità è che la nube, la mia realtà, anela di udire qualcunaltro che dica: <<Non sei solo in questo mondo ma siamo due, insieme, e io so chi sei tu>>.
La luna rossa, il vento, il tuo colore di donna del Nord, la distesa di neve... Il mio cuore è ormai su queste praterie, in queste acque annuvolate dalle nebbie. Ho dimenticato il mare, la grave conchiglia soffiata dai pastori siciliani, le cantilene dei carri lungo le strade dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie, ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru nell'aria dei verdi altipiani per le terre e i fiumi della Lombardia. Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria. Più nessuno mi porterà nel Sud. Oh, il Sud è stanco di trascinare morti in riva alle paludi di malaria, è stanco di solitudine, stanco di catene, è stanco nella sua bocca delle bestemmie di tutte le razze che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi, che hanno bevuto il sangue del suo cuore. Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti, costringono i cavalli sotto coltri di stelle, mangiano fiori d'acacia lungo le piste nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse. Più nessuno mi porterà nel Sud. E questa sera carica d'inverno è ancora nostra, e qui ripeto a te il mio assurdo contrappunto di dolcezze e di furori, un lamento d'amore senza amore.