Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

1911

Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché oggi sei pallida?"
Perché d'agra tristezza
l'ho abbeverato fino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore...
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.
Soffocando, gridai: "È stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai".
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: "Non startene al vento".
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Le cose

    Le monete, il bastone, il portachiavi,
    la pronta serratura, i tardi appunti
    che non potranno leggere i miei scarsi
    giorni, le carte da giunco e gli scacchi,
    un libro e tra le pagine appassita
    la viola, monumento d'una sera
    di certo inobliabile e obliata,
    il rosso specchio a occidente in cui arde
    illusoria un'aurora. Quante cose,
    atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
    ci servono come taciti schiavi,
    senza sguardo, stranamente segrete!
    Dureranno piú in là del nostro oblio;
    non sapran mai che ce ne siamo andati.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      A quelli nati dopo di noi

      Veramente, vivo in tempi bui!
      La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia
      indica insensibilità. Colui che ride
      probabilmente non ha ancora ricevuto
      la terribile notizia.

      Che tempi sono questi in cui
      un discorso sugli alberi è quasi un reato
      perché comprende il tacere su così tanti crimini!
      Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
      forse non è più raggiungibile per i suoi amici
      che soffrono?

      È vero: mi guadagno ancora da vivere
      ma credetemi: è un puro caso. Niente
      di ciò che faccio mi da il diritto di saziarmi.
      Per caso sono stato risparmiato. (Quando cessa la mia fortuna sono perso)

      Mi dicono: mangia e bevi! Accontentati perché hai!
      Ma come posso mangiare e bere se
      ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
      il mio bicchiere di acqua manca a chi muore di sete?
      Eppure mangio e bevo.

      Mi piacerebbe anche essere saggio.
      Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire saggio:
      tenersi fuori dai guai del mondo e passare
      il breve periodo senza paura.

      Anche fare a meno della violenza
      ripagare il male con il bene
      non esaudire i propri desideri, ma dimenticare
      questo è ritenuto saggio.
      Tutto questo non mi riesce:
      veramente, vivo in tempi bui!

      Voi, che emergerete dalla marea
      nella quale noi siamo annegati
      ricordate
      quando parlate delle nostre debolezze
      anche i tempi bui
      ai quali voi siete scampati.

      Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
      attraverso le guerre delle classi, disperati
      quando c'era solo ingiustizia e nessuna rivolta.

      Eppure sappiamo:
      anche l'odio verso la bassezza
      distorce i tratti del viso.
      Anche l'ira per le ingiustizie
      rende la voce rauca. Ah, noi
      che volevamo preparare il terreno per la gentilezza
      noi non potevamo essere gentili.

      Ma voi, quando sarà venuto il momento
      in cui l'uomo è amico dell'uomo
      ricordate noi
      Con indulgenza.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Sonetto alla scienza

        Scienza, vera figlia ti mostri del Tempo annoso,
        tu che ogni cosa trasmuti col penetrante occhio!
        Ma dimmi, perché al poeta così dilani il cuore,
        avvoltoio dalle ali grevi e opache?
        Come potrebbe egli amarti? E giudicarti savia,
        se mai volesti che libero n'andasse errando
        a cercar tesori per i cieli gemmati?
        Pure, si librava con intrepide ali.
        Non hai tu sbalzato Diana dal suo carro?
        E scacciato l'Amadriade dal bosco,
        che in più felice stella trovò riparo?
        Non hai tu strappato la Naiade ai suoi flutti,
        l'Elfo ai verdi prati e me stesso infine
        al mio sogno estivo all'ombra del tamarindo?
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Al mare (o quasi)

          L'ultima cicala stride
          sulla scorza gialla dell'eucalipto
          i bambini raccolgono pinòli
          indispensabili per la galantina
          un cane alano urla dall'inferriata
          di una villa ormai disabitata
          le ville furono costruite dai padri
          ma i figli non le hanno volute
          ci sarebbe spazio per centomila terremotati
          di qui non si vede nemmeno la proda
          se può chiamarsi cosí quell'ottanta per cento
          ceduta in uso ai bagnini
          e sarebbe eccessivo pretendervi
          una pace alcionica
          il mare è d'altronde infestato
          mentre i rifiuti in totale
          formano ondulate collinette plastiche
          esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
          i deliziosi figli della ruggine
          gli scriccioli o reatini come spesso
          li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
          di magnolia l'etichetta di un pediatra
          ma qui i bambini volano in bicicletta
          e non hanno bisogno delle sue cure
          Chi vuole respirare a grandi zaffate
          la musa del nostro tempo la precarietà
          può passare di qui senza affrettarsi
          è il colpo secco quello che fa orrore
          non già l'evanescenza il dolce afflato del nulla
          Hic manebimus se vi piace non proprio
          ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
          alla morte ( e questa piace solo ai giovani)
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La morte di Tantalo

            Noi sedemmo sull'orlo
            della fontana nella vigna d'oro.
            Sedemmo lacrimosi in silenzio.
            Le palpebre della mia dolce amica
            si gonfiavano dietro le lagrime
            come due vele
            dietro una leggera brezza marina.
            Il nostro dolore non era dolore d'amore
            né dolore di nostalgia
            né dolore carnale.
            Noi morivamo tutti i giorni
            cercando una causa divina
            il mio dolce bene ed io.

            Ma quel giorno già vanía
            e la causa della nostra morte
            non era stata rivenuta.

            E calò la sera su la vigna d'oro
            e tanto essa era oscura
            che alle nostre anime apparve
            una nevicata di stelle.

            Assaporammo tutta la notte
            i meravigliosi grappoli.
            Bevemmo l'acqua d'oro,
            e l'alba ci trovò seduti
            sull'orlo della fontana
            nella vigna non piú d'oro.

            O dolce mio amore,
            confessa al viandante
            che non abbiamo saputo morire
            negandoci il frutto saporoso
            e l'acqua d'oro, come la luna.

            E aggiungi che non morremo piú
            e che andremo per la vita
            errando per sempre.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La via del rifugio

              Trenta quaranta,
              tutto il Mondo canta
              canta lo gallo
              risponde la gallina...

              Socchiusi gli occhi, sto
              supino nel trifoglio,
              e vedo un quatrifoglio
              che non raccoglierò.

              Madama Colombina
              s'affaccia alla finestra
              con tre colombe in testa:
              passan tre fanti...

              Belle come la bella
              vostra mammina, come
              il vostro caro nome,
              bimbe di mia sorella!

              ... su tre cavalli bianchi:
              bianca la sella
              bianca la donzella
              bianco il palafreno...

              Ne fare il giro a tondo
              estraggono le sorti.
              (I bei capelli corti
              come caschetto biondo

              rifulgono nel sole. )
              Estraggono a chi tocca
              la sorte, in filastrocca
              segnado le parole.

              Socchiudo gli occhi, estranio
              ai casi della vita.
              Sento fra le mie dita
              la forma del mio cranio...

              Ma dunque esisto! O Strano!
              Vive tra il Tutto e il Niente
              questa cosa vivente
              detta guidogozzano!

              Resupino sull'erba
              (ho detto che non voglio
              raccorti, o quatrifoglio)
              non penso a che mi serba

              la Vita. Oh la carezza
              dell'erba! Non agogno
              cha la virtù del sogno:
              l'inconsapevolezza.

              Bimbe di mia sorella,
              e voi, senza sapere
              cantate al mio piacere
              la sua favola bella.

              Sognare! Oh quella dolce
              Madama Colombina
              protesa alla finestra
              con tre colombe in testa!

              Sognare. Oh quei tre fanti
              su tre cavalli bianchi:
              bianca la sella,
              bianca la donzella!

              Chi fu l'anima sazia
              che tolse da un affresco
              o da un missale il fresco
              sogno di tanta grazia?

              A quanti bimbi morti
              passò di bocca in bocca
              la bella filastrocca
              signora delle sorti?

              Da trecent'anni, forse,
              da quattrocento e più
              si canta questo canto
              al gioco del cucù.

              Socchiusi gli occhi, sto
              supino nel trifoglio,
              e vedo un quatrifoglio
              che non raccoglierò.

              L'aruspice mi segue
              con l'occhio d'una donna...
              Ancora si prosegue
              il canto che m'assonna.

              Colomba colombita
              Madama non resiste,
              discende giù seguita
              da venti cameriste,

              fior d'aglio e fior d'aliso,
              chi tocca e chi non tocca...
              La bella filastrocca
              si spezza d'improvviso.

              "Una farfalla! " "Dài!
              Dài! " - Scendon pel sentiere
              le tre bimbe leggere
              come paggetti gai.

              Una Vanessa Io
              nera come il carbone
              aleggia in larghe rote
              sul prato solatio,

              ed ebra par che vada.
              Poi - ecco - si risolve
              e ratta sulla polvere
              si posa della strada.

              Sandra, Simona, Pina
              silenziose a lato
              mettonsile in agguato
              lungh'essa la cortina.

              Belle come la bella
              vostra mammina, come
              il vostro caro nome
              bimbe di mia sorella!

              Or la Vanessa aperta
              indugia e abbassa l'ali
              volgendo le sue frali
              piccole antenne all'erta.

              Ma prima la Simona
              avanza, ed il cappello
              toglie ed il braccio snello
              protende e la persona.

              Poi con pupille intente
              il colpo che non falla
              cala sulla farfalla
              rapidissimamente.

              "Presa! " Ecco lo squillo
              della vittoria. "Aiuto!
              È tutta di velluto:
              Oh datemi uno spillo! "

              "Che non ti sfugga, zitta! "
              S'adempie la condanna
              terribile; s'affanna
              la vittima trafitta.

              Bellissima. D'inchiostro
              l'ali, senza rintocchi,
              avvivate dagli occhi
              d'un favoloso mostro.

              "Non vuol morire! " "Lesta!
              Ché soffre ed ho rimorso!
              Trapassale la testa!
              Ripungila sul dorso! "

              Non vuol morire! Oh strazio
              d'insetto! Oh mole immensa
              di dolore che addensa
              il Tempo nello Spazio!

              A che destino ignoto
              si soffre? Va dispersa
              la lacrima che versa
              l'Umanità nel vuoto?

              Colombina colombita
              Madama non resiste:
              discende giù seguita
              da venti cameriste...

              Sognare! Il sogno allenta
              la mente che prosegue:
              s'adagia nelle tregue
              l'anima sonnolenta,

              siccome quell'antico
              brahamino del Pattarsy
              che per racconsolarsi
              si fissa l'umbilico.

              Socchiudo gli occhi, estranio
              ai casi della vita;
              sento fra le mie dita
              la forma del mio cranio.

              Verrà da sé la cosa
              vera chiamata Morte:
              che giova ansimar forte
              per l'erta faticosa?

              Trenta quaranta
              tutto il Mondo canta
              canta lo gallo
              canta la gallina...

              La Vita? Un gioco affatto
              degno di vituperio,
              se si mantenga intatto
              un qualche desiderio.

              Un desiderio? Sto
              supino nel trifoglio
              e vedo un quatrifoglio
              che non raccoglierò.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Adolescente

                Su te, vergine adolescente,
                sta come un'ombra sacra.
                Nulla è più misterioso
                e adorabile e proprio
                della tua carne spogliata.
                Ma ti recludi nell'attenta veste
                e abiti lontano
                con la tua grazia
                dove non sai chi ti raggiungerà.
                Certo non io. Se ti veggo passare
                a tanta regale distanza,
                con la chioma sciolta
                e tutta la persona astata,
                la vertigine mi si porta via.
                Sei l'imporosa e liscia creatura
                cui preme nel suo respiro
                l'oscuro gaudio della carne che appena
                sopporta la sua pienezza.
                Nel sangue, che ha diffusioni
                di fiamma sulla tua faccia,
                il cosmo fa le sue risa
                come nell'occhio nero della rondine.
                La tua pupilla è bruciata
                dal sole che dentro vi sta.
                La tua bocca è serrata.
                Non sanno le mani tue bianche
                il sudore umiliante dei contatti.
                E penso come il tuo corpo
                difficoltoso e vago
                fa disperare l'amore
                nel cuor dell'uomo!

                Pure qualcuno ti disfiorerà,
                bocca di sorgiva.
                Qualcuno che non lo saprà,
                un pescatore di spugne,
                avrà questa perla rara.
                Gli sarà grazia e fortuna
                il non averti cercata
                e non sapere chi sei
                e non poterti godere
                con la sottile coscienza
                che offende il geloso Iddio.
                Oh sì, l'animale sarà
                abbastanza ignaro
                per non morire prima di toccarti.
                E tutto è così.
                Tu anche non sai chi sei.
                E prendere ti lascerai,
                ma per vedere come il gioco è fatto,
                per ridere un poco insieme.
                Come fiamma si perde nella luce,
                al tocco della realtà
                i misteri che tu prometti
                si disciolgono in nulla.
                Inconsumata passerà
                tanta gioia!
                Tu ti darai, tu ti perderai,
                per il capriccio che non indovina
                mai, col primo che ti piacerà.
                Ama il tempo lo scherzo
                che lo seconda,
                non il cauto volere che indugia.
                Così la fanciullezza
                fa ruzzolare il mondo
                e il saggio non è che un fanciullo
                che si duole di essere cresciuto.
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