Strinsi le mani sotto il velo oscuro... "Perché oggi sei pallida?" Perché d'agra tristezza l'ho abbeverato fino ad ubriacarlo. Come dimenticare? Uscì vacillando, sulla bocca una smorfia di dolore... Corsi senza sfiorare la ringhiera, corsi dietro di lui fino al portone. Soffocando, gridai: "È stato tutto uno scherzo. Muoio se te ne vai". Lui sorrise calmo, crudele e mi disse: "Non startene al vento".
Le piccole cose che amo di te quel tuo sorriso un po' lontano il gesto lento della mano con cui mi accarezzi i capelli e dici: vorrei averli anch'io così belli e io dico: caro sei un po' matto e a letto svegliarsi col tuo respiro vicino e sul comodino il giornale della sera la tua caffettiera che canta, in cucina l'odore di pipa che fumi la mattina il tuo profumo un po' balsé il tuo buffo gilet le piccole cose che amo di te
Quel tuo sorriso strano il gesto continuo della mano con cui mi tocchi i capelli e ripeti: vorrei averli anch'io così belli e io dico: caro me l'hai già detto e a letto sveglia sentendo il tuo respiro un po' affannato e sul comodino il bicarbonato la tua caffettiera che sibila in cucina l'odore di pipa anche la mattina il tuo profumo un po' demodé le piccole cose che amo di te
Quel tuo sorriso beota la mania idiota di tirarmi i capelli e dici: vorrei averli anch'io così belli e ti dico: cretino, comprati un parrucchino! E a letto stare sveglia e sentirti russare e sul comodino un tuo calzino e la tua caffettiera che é esplosa finalmente, in cucina! La pipa che impesta fin dalla mattina il tuo profumo di scimpanzé quell'orrendo gilet le piccole cose che amo di te.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore da ubriaco.
Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi, case, colli per l'inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
L'amore non è pretendere, ma dare è dimenticarsi, ma non dimenticare è vivere fuori di sé, pur rimanendo in sé è riservarsi le spine e offrire le rose L'amore chiede tutto e ha il diritto di farlo.
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta? Le mie tristezze sono povere tristezze comuni. Le mie gioie furono semplici, sempilci così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei. Oggi io penso a morire. Io voglio morire, solamente perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle cattedrali mi fanno tremare d'amore e di angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire. Oh, non meravigliarti della mia tristezza! E non domandarmi; io non saprei dirti che parole così vane, Dio mio così vane, che mi verrebbe da piangere come se fossi per morire. Le mie lagrime avrebbero l'aria di sgranare un rosario di tristezza davanti alla mia anima sette volte dolente ma io non sarei un poeta; sarei semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme. Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. E i sacerdoti del silenzio sono i romori, poiché senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio. Questa notte ho dormito con le mani in croce. Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo dimenticato da tutti gli umani, povera tenera preda del primo venuto; e desiderai di essere venduto, di essere battuto di essere costretto a digiunare per potermi mettere a piangere tutto tutto solo, disperatamente triste, in un angolo oscuro. Io amo la vita semolice delle cose. Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne andava! Ma tu non mi comprendi e sorridi. E pensi che io sia malato. Oh, io sono veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per esser detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire. Amen.
Noi sedemmo sull'orlo della fontana nella vigna d'oro. Sedemmo lacrimosi in silenzio. Le palpebre della mia dolce amica si gonfiavano dietro le lagrime come due vele dietro una leggera brezza marina. Il nostro dolore non era dolore d'amore né dolore di nostalgia né dolore carnale. Noi morivamo tutti i giorni cercando una causa divina il mio dolce bene ed io.
Ma quel giorno già vanía e la causa della nostra morte non era stata rivenuta.
E calò la sera su la vigna d'oro e tanto essa era oscura che alle nostre anime apparve una nevicata di stelle.
Assaporammo tutta la notte i meravigliosi grappoli. Bevemmo l'acqua d'oro, e l'alba ci trovò seduti sull'orlo della fontana nella vigna non piú d'oro.
O dolce mio amore, confessa al viandante che non abbiamo saputo morire negandoci il frutto saporoso e l'acqua d'oro, come la luna.
E aggiungi che non morremo piú e che andremo per la vita errando per sempre.
Su te, vergine adolescente, sta come un'ombra sacra. Nulla è più misterioso e adorabile e proprio della tua carne spogliata. Ma ti recludi nell'attenta veste e abiti lontano con la tua grazia dove non sai chi ti raggiungerà. Certo non io. Se ti veggo passare a tanta regale distanza, con la chioma sciolta e tutta la persona astata, la vertigine mi si porta via. Sei l'imporosa e liscia creatura cui preme nel suo respiro l'oscuro gaudio della carne che appena sopporta la sua pienezza. Nel sangue, che ha diffusioni di fiamma sulla tua faccia, il cosmo fa le sue risa come nell'occhio nero della rondine. La tua pupilla è bruciata dal sole che dentro vi sta. La tua bocca è serrata. Non sanno le mani tue bianche il sudore umiliante dei contatti. E penso come il tuo corpo difficoltoso e vago fa disperare l'amore nel cuor dell'uomo!
Pure qualcuno ti disfiorerà, bocca di sorgiva. Qualcuno che non lo saprà, un pescatore di spugne, avrà questa perla rara. Gli sarà grazia e fortuna il non averti cercata e non sapere chi sei e non poterti godere con la sottile coscienza che offende il geloso Iddio. Oh sì, l'animale sarà abbastanza ignaro per non morire prima di toccarti. E tutto è così. Tu anche non sai chi sei. E prendere ti lascerai, ma per vedere come il gioco è fatto, per ridere un poco insieme. Come fiamma si perde nella luce, al tocco della realtà i misteri che tu prometti si disciolgono in nulla. Inconsumata passerà tanta gioia! Tu ti darai, tu ti perderai, per il capriccio che non indovina mai, col primo che ti piacerà. Ama il tempo lo scherzo che lo seconda, non il cauto volere che indugia. Così la fanciullezza fa ruzzolare il mondo e il saggio non è che un fanciullo che si duole di essere cresciuto.