Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

1911

Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché oggi sei pallida?"
Perché d'agra tristezza
l'ho abbeverato fino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore...
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.
Soffocando, gridai: "È stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai".
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: "Non startene al vento".
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Le piccole cose

    Le piccole cose
    che amo di te
    quel tuo sorriso
    un po' lontano
    il gesto lento della mano
    con cui mi accarezzi i capelli
    e dici: vorrei
    averli anch'io così belli
    e io dico: caro
    sei un po' matto
    e a letto svegliarsi
    col tuo respiro vicino
    e sul comodino
    il giornale della sera
    la tua caffettiera
    che canta, in cucina
    l'odore di pipa
    che fumi la mattina
    il tuo profumo
    un po' balsé
    il tuo buffo gilet
    le piccole cose
    che amo di te

    Quel tuo sorriso
    strano
    il gesto continuo della mano
    con cui mi tocchi i capelli
    e ripeti: vorrei
    averli anch'io così belli
    e io dico: caro
    me l'hai già detto
    e a letto sveglia
    sentendo il tuo respiro
    un po' affannato
    e sul comodino
    il bicarbonato
    la tua caffettiera
    che sibila in cucina
    l'odore di pipa
    anche la mattina
    il tuo profumo
    un po' demodé
    le piccole cose
    che amo di te

    Quel tuo sorriso beota
    la mania idiota
    di tirarmi i capelli
    e dici: vorrei
    averli anch'io così belli
    e ti dico: cretino,
    comprati un parrucchino!
    E a letto stare sveglia
    e sentirti russare
    e sul comodino
    un tuo calzino
    e la tua caffettiera
    che é esplosa
    finalmente, in cucina!
    La pipa che impesta
    fin dalla mattina
    il tuo profumo
    di scimpanzé
    quell'orrendo gilet
    le piccole cose
    che amo di te.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Forse un mattino

      Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
      arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
      il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
      di me, con un terrore da ubriaco.

      Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
      alberi, case, colli per l'inganno consueto.
      Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
      tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Io sono innamorato di tutte le signore
        che mangiano le paste nelle confetterie.

        Signore e signorine -
        le dita senza guanto -
        scelgon la pasta. Quanto
        ritornano bambine!

        Perché nïun le veda,
        volgon le spalle, in fretta,
        sollevan la veletta,
        divorano la preda.

        C'è quella che s'informa
        pensosa della scelta;
        quella che toglie svelta,
        né cura tinta e forma.

        L'una, pur mentre inghiotte,
        già pensa al dopo, al poi;
        e domina i vassoi
        con le pupille ghiotte.

        Un'altra - il dolce crebbe -
        muove le disperate
        bianchissime al giulebbe
        dita confetturate!

        Un'altra, con bell'arte,
        sugge la punta estrema:
        invano! Ché la crema
        esce dall'altra parte!

        L'una, senz'abbadare
        a giovine che adocchi,
        divora in pace. Gli occhi
        altra solleva, e pare

        sugga, in supremo annunzio,
        non crema e cioccolatte,
        ma superliquefatte
        parole del D'Annunzio.

        Fra questi aromi acuti,
        strani, commisti troppo
        di cedro, di sciroppo,
        di creme, di velluti,

        di essenze parigine,
        di mammole, di chiome:
        oh! Le signore come
        ritornano bambine!

        Perché non m'è concesso -
        o legge inopportuna! -
        il farmivi da presso,
        baciarvi ad una ad una,

        o belle bocche intatte
        di giovani signore,
        baciarvi nel sapore
        di crema e cioccolatte?

        Io sono innamorato di tutte le signore
        che mangiano le paste nelle confetterie.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Desolazione del povero poeta sentimentale

          Perché tu mi dici: poeta?
          Io non sono un poeta.
          Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
          Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio.
          Perché tu mi dici: poeta?
          Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
          Le mie gioie furono semplici,
          sempilci così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
          Oggi io penso a morire.
          Io voglio morire, solamente perché sono stanco;
          solamente perché i grandi angioli
          su le vetrate delle cattedrali
          mi fanno tremare d'amore e di angoscia;
          solamente perché, io sono, oramai,
          rassegnato come uno specchio,
          come un povero specchio melanconico.
          Vedi che io non sono un poeta:
          sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
          Oh, non meravigliarti della mia tristezza!
          E non domandarmi;
          io non saprei dirti che parole così vane,
          Dio mio così vane,
          che mi verrebbe da piangere come se fossi per morire.
          Le mie lagrime avrebbero l'aria
          di sgranare un rosario di tristezza
          davanti alla mia anima sette volte dolente
          ma io non sarei un poeta;
          sarei semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
          cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
          Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
          E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
          poiché senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
          Questa notte ho dormito con le mani in croce.
          Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
          dimenticato da tutti gli umani,
          povera tenera preda del primo venuto;
          e desiderai di essere venduto,
          di essere battuto
          di essere costretto a digiunare
          per potermi mettere a piangere tutto tutto solo,
          disperatamente triste,
          in un angolo oscuro.
          Io amo la vita semolice delle cose.
          Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
          per ogni cosa che se ne andava!
          Ma tu non mi comprendi e sorridi.
          E pensi che io sia malato.
          Oh, io sono veramente malato!
          E muoio, un poco, ogni giorno.
          Vedi: come le cose.
          Non sono, dunque, un poeta:
          io so che per esser detto: poeta, conviene
          viver ben altra vita!
          Io non so, Dio mio, che morire.
          Amen.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La via del rifugio

            Trenta quaranta,
            tutto il Mondo canta
            canta lo gallo
            risponde la gallina...

            Socchiusi gli occhi, sto
            supino nel trifoglio,
            e vedo un quatrifoglio
            che non raccoglierò.

            Madama Colombina
            s'affaccia alla finestra
            con tre colombe in testa:
            passan tre fanti...

            Belle come la bella
            vostra mammina, come
            il vostro caro nome,
            bimbe di mia sorella!

            ... su tre cavalli bianchi:
            bianca la sella
            bianca la donzella
            bianco il palafreno...

            Ne fare il giro a tondo
            estraggono le sorti.
            (I bei capelli corti
            come caschetto biondo

            rifulgono nel sole. )
            Estraggono a chi tocca
            la sorte, in filastrocca
            segnado le parole.

            Socchiudo gli occhi, estranio
            ai casi della vita.
            Sento fra le mie dita
            la forma del mio cranio...

            Ma dunque esisto! O Strano!
            Vive tra il Tutto e il Niente
            questa cosa vivente
            detta guidogozzano!

            Resupino sull'erba
            (ho detto che non voglio
            raccorti, o quatrifoglio)
            non penso a che mi serba

            la Vita. Oh la carezza
            dell'erba! Non agogno
            cha la virtù del sogno:
            l'inconsapevolezza.

            Bimbe di mia sorella,
            e voi, senza sapere
            cantate al mio piacere
            la sua favola bella.

            Sognare! Oh quella dolce
            Madama Colombina
            protesa alla finestra
            con tre colombe in testa!

            Sognare. Oh quei tre fanti
            su tre cavalli bianchi:
            bianca la sella,
            bianca la donzella!

            Chi fu l'anima sazia
            che tolse da un affresco
            o da un missale il fresco
            sogno di tanta grazia?

            A quanti bimbi morti
            passò di bocca in bocca
            la bella filastrocca
            signora delle sorti?

            Da trecent'anni, forse,
            da quattrocento e più
            si canta questo canto
            al gioco del cucù.

            Socchiusi gli occhi, sto
            supino nel trifoglio,
            e vedo un quatrifoglio
            che non raccoglierò.

            L'aruspice mi segue
            con l'occhio d'una donna...
            Ancora si prosegue
            il canto che m'assonna.

            Colomba colombita
            Madama non resiste,
            discende giù seguita
            da venti cameriste,

            fior d'aglio e fior d'aliso,
            chi tocca e chi non tocca...
            La bella filastrocca
            si spezza d'improvviso.

            "Una farfalla! " "Dài!
            Dài! " - Scendon pel sentiere
            le tre bimbe leggere
            come paggetti gai.

            Una Vanessa Io
            nera come il carbone
            aleggia in larghe rote
            sul prato solatio,

            ed ebra par che vada.
            Poi - ecco - si risolve
            e ratta sulla polvere
            si posa della strada.

            Sandra, Simona, Pina
            silenziose a lato
            mettonsile in agguato
            lungh'essa la cortina.

            Belle come la bella
            vostra mammina, come
            il vostro caro nome
            bimbe di mia sorella!

            Or la Vanessa aperta
            indugia e abbassa l'ali
            volgendo le sue frali
            piccole antenne all'erta.

            Ma prima la Simona
            avanza, ed il cappello
            toglie ed il braccio snello
            protende e la persona.

            Poi con pupille intente
            il colpo che non falla
            cala sulla farfalla
            rapidissimamente.

            "Presa! " Ecco lo squillo
            della vittoria. "Aiuto!
            È tutta di velluto:
            Oh datemi uno spillo! "

            "Che non ti sfugga, zitta! "
            S'adempie la condanna
            terribile; s'affanna
            la vittima trafitta.

            Bellissima. D'inchiostro
            l'ali, senza rintocchi,
            avvivate dagli occhi
            d'un favoloso mostro.

            "Non vuol morire! " "Lesta!
            Ché soffre ed ho rimorso!
            Trapassale la testa!
            Ripungila sul dorso! "

            Non vuol morire! Oh strazio
            d'insetto! Oh mole immensa
            di dolore che addensa
            il Tempo nello Spazio!

            A che destino ignoto
            si soffre? Va dispersa
            la lacrima che versa
            l'Umanità nel vuoto?

            Colombina colombita
            Madama non resiste:
            discende giù seguita
            da venti cameriste...

            Sognare! Il sogno allenta
            la mente che prosegue:
            s'adagia nelle tregue
            l'anima sonnolenta,

            siccome quell'antico
            brahamino del Pattarsy
            che per racconsolarsi
            si fissa l'umbilico.

            Socchiudo gli occhi, estranio
            ai casi della vita;
            sento fra le mie dita
            la forma del mio cranio.

            Verrà da sé la cosa
            vera chiamata Morte:
            che giova ansimar forte
            per l'erta faticosa?

            Trenta quaranta
            tutto il Mondo canta
            canta lo gallo
            canta la gallina...

            La Vita? Un gioco affatto
            degno di vituperio,
            se si mantenga intatto
            un qualche desiderio.

            Un desiderio? Sto
            supino nel trifoglio
            e vedo un quatrifoglio
            che non raccoglierò.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La morte di Tantalo

              Noi sedemmo sull'orlo
              della fontana nella vigna d'oro.
              Sedemmo lacrimosi in silenzio.
              Le palpebre della mia dolce amica
              si gonfiavano dietro le lagrime
              come due vele
              dietro una leggera brezza marina.
              Il nostro dolore non era dolore d'amore
              né dolore di nostalgia
              né dolore carnale.
              Noi morivamo tutti i giorni
              cercando una causa divina
              il mio dolce bene ed io.

              Ma quel giorno già vanía
              e la causa della nostra morte
              non era stata rivenuta.

              E calò la sera su la vigna d'oro
              e tanto essa era oscura
              che alle nostre anime apparve
              una nevicata di stelle.

              Assaporammo tutta la notte
              i meravigliosi grappoli.
              Bevemmo l'acqua d'oro,
              e l'alba ci trovò seduti
              sull'orlo della fontana
              nella vigna non piú d'oro.

              O dolce mio amore,
              confessa al viandante
              che non abbiamo saputo morire
              negandoci il frutto saporoso
              e l'acqua d'oro, come la luna.

              E aggiungi che non morremo piú
              e che andremo per la vita
              errando per sempre.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Adolescente

                Su te, vergine adolescente,
                sta come un'ombra sacra.
                Nulla è più misterioso
                e adorabile e proprio
                della tua carne spogliata.
                Ma ti recludi nell'attenta veste
                e abiti lontano
                con la tua grazia
                dove non sai chi ti raggiungerà.
                Certo non io. Se ti veggo passare
                a tanta regale distanza,
                con la chioma sciolta
                e tutta la persona astata,
                la vertigine mi si porta via.
                Sei l'imporosa e liscia creatura
                cui preme nel suo respiro
                l'oscuro gaudio della carne che appena
                sopporta la sua pienezza.
                Nel sangue, che ha diffusioni
                di fiamma sulla tua faccia,
                il cosmo fa le sue risa
                come nell'occhio nero della rondine.
                La tua pupilla è bruciata
                dal sole che dentro vi sta.
                La tua bocca è serrata.
                Non sanno le mani tue bianche
                il sudore umiliante dei contatti.
                E penso come il tuo corpo
                difficoltoso e vago
                fa disperare l'amore
                nel cuor dell'uomo!

                Pure qualcuno ti disfiorerà,
                bocca di sorgiva.
                Qualcuno che non lo saprà,
                un pescatore di spugne,
                avrà questa perla rara.
                Gli sarà grazia e fortuna
                il non averti cercata
                e non sapere chi sei
                e non poterti godere
                con la sottile coscienza
                che offende il geloso Iddio.
                Oh sì, l'animale sarà
                abbastanza ignaro
                per non morire prima di toccarti.
                E tutto è così.
                Tu anche non sai chi sei.
                E prendere ti lascerai,
                ma per vedere come il gioco è fatto,
                per ridere un poco insieme.
                Come fiamma si perde nella luce,
                al tocco della realtà
                i misteri che tu prometti
                si disciolgono in nulla.
                Inconsumata passerà
                tanta gioia!
                Tu ti darai, tu ti perderai,
                per il capriccio che non indovina
                mai, col primo che ti piacerà.
                Ama il tempo lo scherzo
                che lo seconda,
                non il cauto volere che indugia.
                Così la fanciullezza
                fa ruzzolare il mondo
                e il saggio non è che un fanciullo
                che si duole di essere cresciuto.
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