Per un attimo fui nel mio villaggio, nella mia casa. Nulla era mutato. Stanco tornavo, come da un viaggio; stanco al mio padre, ai morti, ero tornato. Sentivo una gran gioia, una gran pena; una dolcezza ed un'angoscia muta. - Mamma? - È là che ti scalda un po' di cena. - Povera mamma! E lei, non l'ho veduta.
Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d'otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie. Tu che ti senti ai fianchi l'uragano, tu dai retta alla sua piccola mano. Tu ch'hai nel cuore la marina brulla, tu dai retta alla sua voce fanciulla". La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta: "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; lo so, lo so, che tu l'amavi forte! Con lui c'eri tu sola e la sua morte. O nata in selve tra l'ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento; sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso: adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l'agonia... " La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto. "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; oh! Due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire. Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, con negli orecchi l'eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi: lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole". Stava attenta la lunga testa fiera. Mia madre l'abbracciò su la criniera "O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna! A me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona... Ma parlar non sai! Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una cosa! Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise: esso t'è qui nelle pupille fise. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t'insegni, come". Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada. La paglia non battean con l'unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote. Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome... Sonò alto un nitrito.
I pugni nelle tasche rotte, me ne andavo con il mio pastrano diventato ideale; sotto il cielo andavo, o Musa, a te solidale; oh! Là, là! Quanti splendidi amori sognavo!
La sola braca aveva un largo buco. - In corsa sgranavo rime, Puccetto sognante. E l'Orsa Maggiore era la mia locanda. - Lassù le stelle in cielo avevano un dolce fru fru;
le ascoltavo, seduto ai lati delle strade, nelle sere del buon settembre ove rugiade mi gocciavano in fronte un vino di vigore;
e, rimando in mezzo ai tenebrosi fantastici, come fossero lire, tiravo gli elastici delle mie scarpe ferite, un piede sul cuore!
Lo avrai camerata Kesserling il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi non con i sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non con la terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità non con la neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non con la primavera di queste valli che ti vide fuggire ma soltanto con il silenzio dei torturati più duro d'ogni macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai morti e vivi con lo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza.
Le piccole cose che amo di te quel tuo sorriso un po' lontano il gesto lento della mano con cui mi accarezzi i capelli e dici: vorrei averli anch'io così belli e io dico: caro sei un po' matto e a letto svegliarsi col tuo respiro vicino e sul comodino il giornale della sera la tua caffettiera che canta, in cucina l'odore di pipa che fumi la mattina il tuo profumo un po' balsé il tuo buffo gilet le piccole cose che amo di te
Quel tuo sorriso strano il gesto continuo della mano con cui mi tocchi i capelli e ripeti: vorrei averli anch'io così belli e io dico: caro me l'hai già detto e a letto sveglia sentendo il tuo respiro un po' affannato e sul comodino il bicarbonato la tua caffettiera che sibila in cucina l'odore di pipa anche la mattina il tuo profumo un po' demodé le piccole cose che amo di te
Quel tuo sorriso beota la mania idiota di tirarmi i capelli e dici: vorrei averli anch'io così belli e ti dico: cretino, comprati un parrucchino! E a letto stare sveglia e sentirti russare e sul comodino un tuo calzino e la tua caffettiera che é esplosa finalmente, in cucina! La pipa che impesta fin dalla mattina il tuo profumo di scimpanzé quell'orrendo gilet le piccole cose che amo di te.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore da ubriaco.
Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi, case, colli per l'inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta? Le mie tristezze sono povere tristezze comuni. Le mie gioie furono semplici, sempilci così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei. Oggi io penso a morire. Io voglio morire, solamente perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle cattedrali mi fanno tremare d'amore e di angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire. Oh, non meravigliarti della mia tristezza! E non domandarmi; io non saprei dirti che parole così vane, Dio mio così vane, che mi verrebbe da piangere come se fossi per morire. Le mie lagrime avrebbero l'aria di sgranare un rosario di tristezza davanti alla mia anima sette volte dolente ma io non sarei un poeta; sarei semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme. Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. E i sacerdoti del silenzio sono i romori, poiché senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio. Questa notte ho dormito con le mani in croce. Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo dimenticato da tutti gli umani, povera tenera preda del primo venuto; e desiderai di essere venduto, di essere battuto di essere costretto a digiunare per potermi mettere a piangere tutto tutto solo, disperatamente triste, in un angolo oscuro. Io amo la vita semolice delle cose. Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne andava! Ma tu non mi comprendi e sorridi. E pensi che io sia malato. Oh, io sono veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per esser detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire. Amen.