Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Ballata delle madri

Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d'esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.

Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d'amore,
se non d'un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v'hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.

Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l'antico, vergognoso segreto
d'accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.

Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!

Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Passato

    I ricordi, queste ombre troppo lunghe
    del nostro breve corpo,
    questo strascico di morte
    che noi lasciamo vivendo
    i lugubri e durevoli ricordi,
    eccoli già apparire:
    melanconici e muti
    fantasmi agitati da un vento funebre.
    E tu non sei più che un ricordo.
    Sei trapassata nella mia memoria.
    Ora sì, posso dire che
    che m'appartieni
    e qualche cosa fra di noi è accaduto
    irrevocabilmente.
    Tutto finì, così rapito!
    Precipitoso e lieve
    il tempo ci raggiunse.
    Di fuggevoli istanti ordì una storia
    ben chiusa e triste.
    Dovevamo saperlo che l'amore
    brucia la vita e fa volare il tempo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Annoda i Lacci alla mia Vita, Signore,
      Poi, sarò pronta ad andare!
      Solo un'occhiata ai Cavalli -
      In fretta! Potrà bastare!
      Mettimi dal lato più sicuro -
      Così non cadrò -
      Visto che dobbiamo cavalcare verso il Giudizio -
      E una parte, è in discesa -
      Ma non mi curo dei precipizi -
      E non mi curo del Mare -
      Sorretta saldamente nell'Immortale Corsa -
      Dalla mia stessa Scelta, e da Te -
      Addio alla Vita che ho vissuto -
      E al Mondo che ho conosciuto -
      E Baciate le Colline, per me, basta una volta -
      Ora - sono pronta ad andare!
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Edge

        The woman is perfected.
        Her dead
        Body wears the smile of accomplishment,
        The illusion of a Greek necessity
        Flows in the scrolls of her toga,
        Her bare
        Feet seem to be saying:
        We have come so far, it is over.
        Each dead child coiled, a white serpent,
        One at each little
        Pitcher of milk, now empty.
        She has folded
        Them back into her body as petals
        Of a rose close when the garden
        Stiffens and odors bleed
        From the sweet, deep throats of the night flower.
        The moon has nothing to be sad about,
        Staring from her hood of bone.
        She is used to this sort of thing.
        Her blacks crackle and drag.
        Orlo
        -Sylvia Plath

        La donna è a perfezione.
        Il suo morto

        Corpo ha il sorriso del compimento,
        un'illusione di greca necessità

        scorre lungo i drappeggi della sua toga,
        i suoi nudi

        piedi sembran dire:
        abbiamo tanto camminato, è finita.

        Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno
        come un bianco serpente a una delle due piccole

        tazze del latte, ora vuote.
        Lei li ha riavvolti

        Dentro il suo corpo come petali
        di una rosa richiusa quando il giardino

        s'intorpidisce e sanguinano odori
        dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.

        Niente di cui rattristarsi ha la luna
        che guarda dal suo cappuccio d'osso.

        A certe cose è ormai abituata.
        Crepitano, si tendono le sue macchie nere.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Se tu dovessi venire in autunno
          mi leverei di torno l'estate
          con un gesto stizzito ed un sorrisetto,
          come fa la massaia con la mosca.

          Se entro un anno potessi rivederti,
          avvolgerei in gomitoli i mesi,
          per poi metterli in cassetti separati -
          per paura che i numeri si mescolino.

          Se mancassero ancora alcuni secoli,
          li conterei ad uno ad uno sulla mano -
          sottraendo, finché non mi cadessero
          le dita nella terra della Tasmania.

          Se fossi certa che, finita questa vita,
          io e te vivremo ancora -
          come una buccia la butterei lontano -
          e accetterei l'eternità all'istante.

          Ma ora, incerta della dimensione
          di questa che sta in mezzo,
          la soffro come l'ape-spiritello
          che non preannuncia quando pungerà.
          (dedicata a F. )
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            A Zacinto

            Né più mai toccherò le sacre sponde
            ove il mio corpo fanciulletto giacque,
            Zacinto mia, che te specchi nell'onde
            del greco mar da cui vergine nacque

            Venere, e fea quelle isole feconde
            col suo primo sorriso, onde non tacque
            le tue limpide nubi e le tue fronde
            l'inclito verso di colui che l'acque

            cantò fatali, ed il diverso esiglio
            per cui bello di fama e di sventura
            baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

            Tu non altro che il canto avrai del figlio,
            o materna mia terra; a noi prescrisse
            il fato illacrimata sepoltura.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              So quello che dirmi
              vorresti in quest'ora...
              Non dirlo!
              Guarda laggiù il fondo dello stagno
              che si fa cupo
              e come si rincorrono le nuvole
              specchianti sul velluto nero...
              Non dirlo!
              Questa è una mala notte.
              Lo so,
              in quest'ora infuria
              nel profondo del tuo petto
              tutto ciò che ti preme.
              Non chiedere!
              Sulla tua bocca indugia
              ancora la parola che ci fa infelici...
              Non dirla!
              Questa è una mala notte.
              Me lo dirai domani.
              Non lo sappiamo,
              chissà forse
              domani tutto sarà miracolosamente facile
              ciò che oggi nessun cuore può sopportare,
              ciò che oggi mi rende tanto infelice.
              Non chiedere!
              Questa è una mala notte.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                No, non dire mai che il mio cuore è stato falso (Sonetto 109)

                No, non dire mai che il mio cuore è stato falso
                Anche se l'assenza sembrò ridurre la mia fiamma;
                come non è facil ch'io mi stacchi da me stesso,
                così è della mia anima che vive nel tuo petto:
                quello è il rifugio mio d'amore; se ho vagato
                come chi viaggia, io di nuovo lì ritorno
                fedelmente puntuale, non mutato dagli eventi,
                tanto ch'io stesso porto acqua alle mie colpe.
                Non credere mai, pur se in me regnassero
                tutte le debolezze che insidiano la carne,
                ch'io mi possa macchiare in modo tanto assurdo
                da perdere per niente la somma dei tuoi pregi:
                perché niente io chiamo questo immenso universo
                tranne te, mia rosa; in esso tu sei il mio tutto.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Quanto ancor più bella sembra la bellezza (Sonetto 54)

                  Quanto ancor più bella sembra la bellezza,
                  per quel ricco ornamento che virtù le dona!
                  Bella ci appar la rosa, ma più bella la pensiamo
                  per la soave essenza che vive dentro a lei.
                  Anche le selvatiche hanno tinte molto intense
                  simili al colore delle rose profumate,
                  hanno le stesse spine e giocano con lo stesso brio
                  quando la brezza d'estate ne schiude gli ascosi boccioli:
                  ma poiché il loro pregio è solo l'apparenza,
                  abbandonate vivono, sfioriscono neglette e
                  solitarie muoiono. Non così per le fragranti rose:
                  la loro dolce morte divien soavissimo profumo:
                  e così è; per te, fiore stupendo e ambito,
                  come appassirai, i miei versi stilleran la tua virtù.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    La stella

                    Perdettero la stella un giorno.
                    Come si a perdere
                    La stella? Per averla troppo a lungo fissata…
                    I due re bianchi,
                    ch'eran due sapienti di Caldea,
                    tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.

                    Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
                    Ma la stella era svanita come svanisce un'idea,
                    e quegli uomini, la cui anima
                    aveva sete d'essere guidata,
                    piansero innalzando le tende di cotone.

                    Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
                    si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra.
                    Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":

                    E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa,
                    nello specchio di cielo
                    in cui bevevano i cammelli
                    egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
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