Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade
Ho tanta stanchezza sulle spalle
Lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata Qui non si sente altro che il caldo buono Sto con le quattro capriole di fumo del focolare.
Tu che t'insinuasti come una lama Nel mio cuore gemente; tu che forte Come un branco di demoni venisti A fare folle e ornata, del mio spirito Umiliato il tuo letto e il regno-infame A cui, come il forzato alla catena, Sono legato: come alla bottiglia L'ubriacone; come alla carogna I vermi; come al gioco l'ostinato Giocatore - che sia maledetta. Ho chiesto alla fulminea spada, allora, Di conquistare la mia libertà; Ed il veleno perfido ho pregato Di soccorrer me vile. Ahimè, la spada Ed il veleno, pieni di disprezzo, M'han detto: "Non sei degno che alla tua Schiavitù maledetta ti si tolga, Imbecille! - una volta liberato Dal suo dominio, per i nostri sforzi, tu faresti rivivere il cadaver del tuo vampiro, con i baci tuoi!"
Nulla è mai veramente perduto, o può essere perduto, nessuna nascita, forma, identità - nessun oggetto del mondo, né vita, né forza, né alcuna cosa visibile; l'apparenza non deve ingannare, né l'ambito mutato confonderti il cervello. Vasti sono il tempo e lo spazio - vasti i campi della Natura. Il corpo lento, invecchiato, freddo - le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo, la luce degli occhi divenuta tenue, tornerà puntualmente a risplendere; il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi; alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera, con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.
Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t'ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu, con la scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all'altro fratello: "Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: Le loro tombe affondano nella cenere, e gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Ricordati Barbara Pioveva senza tregua quel giorno su Brest E tu camminavi sorridente Raggiante rapita grondante Sotto la pioggia Ricordati Barbara Pioveva senza tregua su Brest E t'ho incontrata in rue de Siam Tu sorridevi E sorridevo anch'io Ricordati Barbara Tu che io non conoscevo Tu che non mi conoscevi Ricordati Ricordati comunque di quel giorno Non dimenticare Un uomo si riparava sotto un portico E ha gridato il tuo nome Barbara E tu sei corsa incontro a lui sotto la pioggia Grondante rapita raggiante Gettandoti tra le sue braccia Ricordati di questo Barbara E non volermene se ti do del tu Io do del tu a tutti quelli che amo Anche se non li ho visti che una sola volta Io do del tu a tutti quelli che si amano Anche se non li conosco Ricordati Barbara Non dimenticare Questa pioggia buona e felice Sul tuo viso felice Su questa città felice Questa pioggia sul mare Sull'arsenale Sul battello d'Ouessant Oh Barbara Che cazzata la guerra E cosa sei diventata adesso Sotto questa pioggia di ferro Di fuoco acciaio sangue E lui che ti stringeva fra le braccia Amorosamente E forse morto disperso o invece Vive ancora Oh Barbara Piove senza tregua su Brest Come pioveva prima Ma non è più così e tutto si è guastato È una pioggia di morte desolata e crudele Non è nemmeno più bufera Di ferro acciaio sangue Ma solamente nuvole Che schiattano come cani Come cani che spariscono Seguendo la corrente su Brest E scappano lontano da Brest Dove non c'è più niente.
Ti ho sognata mi sei apparsa sopra i rami passando vicino alla luna tra una nuvola e l'altra andavi, e io ti seguivo ti fermavi e io mi fermavo, mi fermavo, e tu ti fermavi, mi guardavi e io ti guardavo ti guardavo e tu mi guardavi poi tutto è finito.
Per un attimo fui nel mio villaggio, nella mia casa. Nulla era mutato. Stanco tornavo, come da un viaggio; stanco al mio padre, ai morti, ero tornato. Sentivo una gran gioia, una gran pena; una dolcezza ed un'angoscia muta. - Mamma? - È là che ti scalda un po' di cena. - Povera mamma! E lei, non l'ho veduta.
I pugni nelle tasche rotte, me ne andavo con il mio pastrano diventato ideale; sotto il cielo andavo, o Musa, a te solidale; oh! Là, là! Quanti splendidi amori sognavo!
La sola braca aveva un largo buco. - In corsa sgranavo rime, Puccetto sognante. E l'Orsa Maggiore era la mia locanda. - Lassù le stelle in cielo avevano un dolce fru fru;
le ascoltavo, seduto ai lati delle strade, nelle sere del buon settembre ove rugiade mi gocciavano in fronte un vino di vigore;
e, rimando in mezzo ai tenebrosi fantastici, come fossero lire, tiravo gli elastici delle mie scarpe ferite, un piede sul cuore!
Le fonti si confondono col fiume i fiumi con l'Oceano i venti del Cielo sempre in dolci moti si uniscono niente al mondo è celibe e tutto per divina legge in una forza si incontra e si confonde. Perché non io con te? Vedi che le montagne baciano l'alto del Cielo, e che le onde una per una si abbracciano. Nessun fiore-sorella vivrebbe più ritroso verso il fratello-fiore. E il chiarore del sole abbraccia la terra e i raggi della Luna baciano il mare. Per che cosa tutto questo lavoro tenero se tu non vuoi baciarmi?
E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull'erba dura di ghiaccio, al lamento d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.