Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

Questo utente ha inserito contributi anche in Frasi & Aforismi, in Indovinelli, in Frasi di Film, in Umorismo, in Racconti, in Leggi di Murphy, in Frasi per ogni occasione e in Proverbi.

Scritta da: Silvana Stremiz

Dove la luce

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.
Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.
L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz

    La notte

    Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo
    e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi
    stanno i nostri libri.
    Sono un prigioniero, madre mia,
    che ritorna al paese
    da una fortezza nemica.
    È l'una di notte
    la lampada è ancora accesa.
    Al mio fianco è coricata mia moglie
    mia moglie
    incinta di cinque mesi.
    Quando la mia carne tocca la sua
    quando le poso la mano sul ventre
    il bimbo si muove un poco.
    Sul ramo la foglia
    nell'acqua il pesce
    nella matrice il piccolo dell'uomo. Mio piccolo.
    La camiciola di lana rosa
    per il mio bambino
    l'ha sferruzata sua madre
    è grande come la mia mano
    con le maniche appena così.
    Mio piccolo.
    Se sarà femmina
    voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi,
    s'è maschio, che sia della mia statura.
    S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato
    s'è maschio, azzurri.
    Mio piccolo.
    Non voglio che a vent'anni t'ammazzino
    se sei maschio, al fronte
    se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.
    Mio piccolo.
    Femmina o maschio
    a qualsiasi età
    non voglio che tu conosca il carcere
    per essere stato dalla parte del giusto
    del bello, della pace.
    Ma so bene
    figlia mia
    o figlio mio
    che se il sole tarderà molto a sorgere
    dalle acque
    dovrai combattere e anche...
    Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere
    essere padre.

    È l'una di notte.
    La lampada non l'abbiamo ancora spenta.
    Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino
    la mia casa conoscerà
    ancora un'altra irruzione della polizia
    e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro.
    I questurini della politica
    mi prenderanno in mezzo
    e io mi volterò indietro a guardare:
    mia moglie sarà sulla soglia
    davanti alla porta
    il vento del mattino
    gonfierà la sua gonna
    e nel suo ventre pesante
    il bambino si muoverà un poco.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz

      Mio - per diritto della bianca elezione!

      Mio - per diritto della bianca elezione!
      Mio - per sigillo regale!
      Mio - per segno della bianca prigione
      che sbarre non possono celare!
      Mio - qui - nella visione e nel divieto!
      Mio - per l'abrograzione della tomba
      Sottoscritta-confermata -
      delirante contratto!
      Mio - mantre gli anni fuggono!
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz

        Miei occhi e il cuore son venuti a patti (Sonetto 47)

        I miei occhi e il cuore son venuti a patti
        ed or ciascuno all'altro il suo ben riversa:
        se i miei occhi son desiosi di uno sguardo,
        o il cuore innamorato si distrugge di sospiri,
        gli occhi allor festeggian l'effigie del mio amore
        e al fantastico banchetto invitano il mio cuore;
        un'altra volta gli occhi son ospiti del cuore
        che a lor partecipa il suo pensier d'amore.
        Così, per la tua immagine o per il mio amore,
        anche se lontano sei sempre in me presente;
        perché non puoi andare oltre i miei pensieri
        e sempre io son con loro ed essi son con te;
        o se essi dormono, in me la tua visione
        desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il mio sogno familiare

          Spesso mi viene in sogno bizzarra e penetrante
          Una donna mai vista, che amo e che mi ama,
          Che con lo stesso nome si chiama e non si chiama
          Diversa e uguale m'ama e sempre è confortante

          È per me confortante, e il mio cuore parlante
          Per lei soltanto, ahimé! Non è più cosa grama
          Per lei soltanto, in fronte del sudore la trama
          Lei soltanto rinfresca, con le lacrime piante.
          È' bruna, bionda o rossa? Non mi è dato sapere.
          Il suo nome? Ricordo che è dolce e dà piacere.
          Come nomi diletti che la vita ha esiliato.

          All'occhio delle statue è simile il suo sguardo,
          Ed ha la voce calma, lontana, grave, il fiato
          Delle voci più care spente senza riguardo.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz

            Frammento: Anime gemelle

            Sono come uno spirito
            che nell'intimo del suo cuore ha dimorato,
            e le sue sensazioni ha percepito, e i suoi pensieri
            ha avuto, e conosciuto il più profondo impulso
            del suo animo: quel flusso silenzioso che al sangue solo
            è noto, quando tutte le emozioni
            in moltitudine descrivono la quiete di mari estivi.
            Io ho liberato le melodie preziose
            del suo profondo cuore: i battenti
            ho spalancato, e in esse mi sono rimescolato.
            Proprio come un'aquila nella pioggia del tuono,
            quando veste di lampi le ali.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz

              Le ricordanze

              Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
              Tornare ancor per uso a contemplarvi
              Sul paterno giardino scintillanti,
              E ragionar con voi dalle finestre
              Di questo albergo ove abitai fanciullo,
              E delle gioie mie vidi la fine.
              Quante immagini un tempo, e quante fole
              Creommi nel pensier l'aspetto vostro
              E delle luci a voi compagne! Allora
              Che, tacito, seduto in verde zolla,
              Delle sere io solea passar gran parte
              Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
              Della rana rimota alla campagna!
              E la lucciola errava appo le siepi
              E in su l'aiuole, susurrando al vento
              I viali odorati, ed i cipressi
              Là nella selva; e sotto al patrio tetto
              Sonavan voci alterne, e le tranquille
              Opre dè servi. E che pensieri immensi,
              Che dolci sogni mi spirò la vista
              Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
              Che di qua scopro, e che varcare un giorno
              Io mi pensava, arcani mondi, arcana
              Felicità fingendo al viver mio!
              Ignaro del mio fato, e quante volte
              Questa mia vita dolorosa e nuda
              Volentier con la morte avrei cangiato.
              Né mi diceva il cor che l'età verde
              Sarei dannato a consumare in questo
              Natio borgo selvaggio, intra una gente
              Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
              Argomento di riso e di trastullo,
              Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
              Per invidia non già, che non mi tiene
              Maggior di sé, ma perché tale estima
              Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
              A persona giammai non ne fo segno.
              Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
              Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
              Tra lo stuol dè malevoli divengo:
              Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
              E sprezzator degli uomini mi rendo,
              Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
              Il caro tempo giovanil; più caro
              Che la fama e l'allor, più che la pura
              Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
              Senza un diletto, inutilmente, in questo
              Soggiorno disumano, intra gli affanni,
              O dell'arida vita unico fiore.
              Viene il vento recando il suon dell'ora
              Dalla torre del borgo. Era conforto
              Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
              Quando fanciullo, nella buia stanza,
              Per assidui terrori io vigilava,
              Sospirando il mattin. Qui non è cosa
              Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
              Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
              Dolce per sé; ma con dolor sottentra
              Il pensier del presente, un van desio
              Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
              Quella loggia colà, volta agli estremi
              Raggi del dì; queste dipinte mura,
              Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
              Su romita campagna, agli ozi miei
              Porser mille diletti allor che al fianco
              M'era, parlando, il mio possente errore
              Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
              Al chiaror delle nevi, intorno a queste
              Ampie finestre sibilando il vento,
              Rimbombaro i sollazzi e le festose
              Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
              Mistero delle cose a noi si mostra
              Pien di dolcezza; indelibata, intera
              Il garzoncel, come inesperto amante,
              La sua vita ingannevole vagheggia,
              E celeste beltà fingendo ammira.
              O speranze, speranze; ameni inganni
              Della mia prima età! Sempre, parlando,
              Ritorno a voi; che per andar di tempo,
              Per variar d'affetti e di pensieri,
              Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
              Son la gloria e l'onor; diletti e beni
              Mero desio; non ha la vita un frutto,
              Inutile miseria. E sebben vòti
              Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
              Il mio stato mortal, poco mi toglie
              La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
              A voi ripenso, o mie speranze antiche,
              Ed a quel caro immaginar mio primo;
              Indi riguardo il viver mio sì vile
              E sì dolente, e che la morte è quello
              Che di cotanta speme oggi m'avanza;
              Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
              Consolarmi non so del mio destino.
              E quando pur questa invocata morte
              Sarammi allato, e sarà giunto il fine
              Della sventura mia; quando la terra
              Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
              Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
              Risovverrammi; e quell'imago ancora
              Sospirar mi farà, farammi acerbo
              L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
              Del dì fatal tempererà d'affanno.
              E già nel primo giovanil tumulto
              Di contenti, d'angosce e di desio,
              Morte chiamai più volte, e lungamente
              Mi sedetti colà su la fontana
              Pensoso di cessar dentro quell'acque
              La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
              Malor, condotto della vita in forse,
              Piansi la bella giovanezza, e il fiore
              Dè miei poveri dì, che sì per tempo
              Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
              Sul conscio letto, dolorosamente
              Alla fioca lucerna poetando,
              Lamentai cò silenzi e con la notte
              Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
              In sul languir cantai funereo canto.
              Chi rimembrar vi può senza sospiri,
              O primo entrar di giovinezza, o giorni
              Vezzosi, inenarrabili, allor quando
              Al rapito mortal primieramente
              Sorridon le donzelle; a gara intorno
              Ogni cosa sorride; invidia tace,
              Non desta ancora ovver benigna; e quasi
              (Inusitata maraviglia! ) il mondo
              La destra soccorrevole gli porge,
              Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
              Suo venir nella vita, ed inchinando
              Mostra che per signor l'accolga e chiami?
              Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
              Son dileguati. E qual mortale ignaro
              Di sventura esser può, se a lui già scorsa
              Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
              Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
              O Nerina! E di te forse non odo
              Questi luoghi parlar? Caduta forse
              Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
              Che qui sola di te la ricordanza
              Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
              Questa Terra natal: quella finestra,
              Ond'eri usata favellarmi, ed onde
              Mesto riluce delle stelle il raggio,
              È deserta. Ove sei, che più non odo
              La tua voce sonar, siccome un giorno,
              Quando soleva ogni lontano accento
              Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
              Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
              Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
              Il passar per la terra oggi è sortito,
              E l'abitar questi odorati colli.
              Ma rapida passasti; e come un sogno
              Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
              La gioia ti splendea, splendea negli occhi
              Quel confidente immaginar, quel lume
              Di gioventù, quando spegneali il fato,
              E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
              L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
              Se a radunanze io movo, infra me stesso
              Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
              Tu non ti acconci più, tu più non movi.
              Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
              Van gli amanti recando alle fanciulle,
              Dico: Nerina mia, per te non torna
              Primavera giammai, non torna amore.
              Ogni giorno sereno, ogni fiorita
              Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
              Dico: Nerina or più non gode; i campi,
              L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
              Sospiro mio: passasti: e fia compagna
              D'ogni mio vago immaginar, di tutti
              I miei teneri sensi, i tristi e cari
              Moti del cor, la rimembranza acerba.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Silvana Stremiz

                Una Valentina

                È scritta questa rima per colei i cui occhi
                lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
                troveranno il suo stesso dolce nome annidato
                sulla pagina, celato ad ogni lettore.
                Osservate i versi attentamente! Vi è in essi
                un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
                che si deve portare sul cuore. Osservate poi
                il metro - le parole - le sillabe!
                Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica!
                E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano
                che senza una spada non potreste disciogliere,
                se solo n'afferraste il soggetto.
                Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
                in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute,
                tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
                da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome.
                Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente,
                come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
                sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
                Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Viviamo in tempi infami

                  Viviamo in tempi infami
                  dove il matrimonio delle anime
                  deve suggellare l'unione dei cuori;
                  in quest'ora di orribili tempeste
                  non è troppo aver coraggio in due
                  per vivere sotto tali vincitori.

                  Di fronte a quanto si osa
                  dovremo innalzarci,
                  sopra ogni cosa, coppia rapita
                  nell'estasi austera del giusto,
                  e proclamare con un gesto augusto
                  il nostro amore fiero, come una sfida.

                  Ma che bisogno c'è di dirtelo.
                  Tu la bontà, tu il sorriso,
                  non sei tu anche il consiglio,
                  il buon consiglio leale e fiero,
                  bambina ridente dal pensiero grave
                  a cui tutto il mio cuore dice: Grazie!
                  Vota la poesia: Commenta