Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Isola

Padre, io a te
io inchiodato a te su questo scoglio
divino che conosci la tua alba
e allacci la tua potenza al fulmine
da questo culmine di spasimo
io vinto mando a te
vincitore di padri
la prora disorientata delle mie parole.
Concedi a coloro che erano ciechi
e a dismisura adesso vedono,
rotto il sigillo della fiamma,
l'ustione della carezza, il fragore
del pugno, ora che sanno
il tossico del palmo e delle nocche
ed è notte, profonda notte
a occidente di ogni immaginare
ora che le iridi conoscono
le costellazioni del dolore e del piacere;
concedi loro di sopportare
per ogni ciglio sospeso alle tenebre
al tramonto di ogni palpebra sfinita
la pronuncia dell'alba e del crepuscolo
e il rombo immenso, che sale dall'uomo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Aprile, parco giochi

    D'aprile, da piccolo
    gli alberi mettevano mitrie
    alzavano le teste in lunghe
    lunghe liturgie
    e tempio era il silenzio
    luminoso delle nuvole;
    oggi
    un mezzo aprile di tanti anni fa
    per tutto questo silenzio
    nessuno nasconde la testa nelle mani
    seduto, metto le tempie nella chiarìa
    di un cielo
    che li vorrebbe amati
    amati tutti, ognuno da qualcuno;
    ciascuno invece scuote la sua cenere
    e vedo ombre che passano vivendo
    in festa come fossero vissute
    orfano di tutti i moventi
    la primavera è guardarne il riflesso
    sulla peluria degli avambracci al sole.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Gerico

      È raro sentire cantare in strada
      molto più raro sentire fischiare
      o fischiettare
      se qualcuno lo fa
      l'aria sembra fargli spazio
      ti sembra che un refolo muova
      la flora dei tuoi pensieri
      ti metta dove prima non eri;
      ma come passa chi fischia
      la noia stende le vertebre al sole
      e tu rientri dov'eri
      dietro il douglas dei serramenti
      dentro il livore
      degli appartamenti
      al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
      da quali trombe scosse
      scrollate le mura
      per quali brecce potremo vedere
      – fresca –
      come un sogno appena sbucciato
      la terra che calpesteremo, allegri.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Verrà la morte

        Verrà la morte e mi coglierà di sorpresa.
        Questa morte che mi accompagna
        dalla mattina alla sera.
        Si nasconde tra i miei vestiti, tra i miei
        capelli.
        Spunta come un'improvvisa macchia sulla
        camicia.
        S'incolla come una mollica sul palato.
        O come un lieve brivido si sposta sulla
        pelle.

        Tu dormirai senza sospetto. Ma i tuoi seni
        staranno spaventati nel buio.
        Si sentiranno i passi sui gradini.
        Il cigolío della porta. Guarderanno
        le ombre sulle finestre per tutta la notte.

        Non avrò finito neppure questi versi.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Ode barbara XIII

          Miei vecchi amori. Ore visibili
          di un secolo che non vuole spirare.
          Lune intorno a me si spezzano
          di continuo.
          La luce che mi illumina sarà certo
          di stelle spente.

          Per tutta la notte sradico sentimenti
          dal mio petto che rimane sempre verde.
          Erba secca con radici di eternità.
          Mi confonde il rumore del tempo.
          Scendo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            A cosa serve indugiare, rimanere
            dietro la tendina che si annerisce,
            guardare il miraggio in faccia,
            quando la malforme primavera fa scorrere
            la sua sciabica nell'isolato dei single:
            un balenio di nafta nel cervello,
            il ventilatore sfiletta il fumo,
            e nel nido di un palchetto sul retro
            gracchia una vecchia comédienne.

            Già il tuo profumo mi ferì.
            Quando ti scottasti le dita,
            sentii un bruciore in mano.
            Ma il periodo di grazia è passato,
            è tempo, finalmente, che finisca
            ciò che un tempo era eterno:
            l'accendino fiammeggia, tira via
            il miraggio dal volto,
            batto il pugno sul gioco, distruggo
            un'altra nave aliena.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Come quel coltello del suo desiderio di
              fanciullo,
              dalle lame spiegate e dal bel manico rosso,
              con il nome inciso. Ha trascorso anni
              a inseguirlo tra i sogni: sottili frecce di
              faggio
              o intagli di animali in legno di noce,
              il nodo antico di un cedro, il sangue di
              un primo corpo.
              Da grande, ne affila il taglio, conquistato
              nella memoria
              in cui abbatte le angosce che celano
              i ricordi.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Radici

                Sono nato ai bordi di uno stagno tra
                i canneti,
                ho ancora addosso il sapore del germoglio
                e il freddo del vento che soffia tra
                le foglie;
                sono nato sotto la ragnatela e il nido
                del passero
                e ho visto luccicare il luccio quando
                veniva il temporale,
                e certi barconi avvicinarsi alla mia casa
                di canne
                come per prendermi con la loro civiltà
                e le loro regole,
                mi nascondevo tra i rami più folti, ero
                come una lucertola
                o un topo di campagna, ho sempre avuto
                un rifugio
                dove nascondermi agli uomini,
                sono invecchiato
                e conosco molto bene lo stagno, le canne,
                l'umido
                ma non so quasi niente di loro, miei simili.
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