Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Un vento zingaro

Il momento del parlare
mi tolse fiato,
e nella stanza della sera giovane
fu un sussulto di coraggio.
Nell'istante scrutai i tuoi occhi,
le tue mani non ritratte: la mia intenzione ristette,
poi si ruppe senza fragore.
I sussurri si amalgamarono
sui libri, sui muri, contro le finestre,
all'ora che chiama l'uomo
all'uscire.
E uscimmo nel lieve spirare
di un vento zingaro.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La promessa

    Tacciono le tue parole, lontane,
    e volano senza toccarti
    i miei pensieri a briglia sciolta.
    Di lungi tuona felice
    il temporale di luglio,
    e copre la tua voce assente,
    baluginante nel ricordo,
    con lampi incerti di noia.
    Non saprai quel sentire per te che segreto
    è al nostro cuore; è un pensiero,
    un regalo che lumeggia invano
    alle tue palpebre chiare.
    È la promessa che solleva foglie d’emozione,
    e si lascia l’estate alle spalle.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Gli amici sorridono in questa casa sorda,
      intrecciamo le nostre malinconie, le nostre paure,
      le nostre speranze giganti a due accordi di chitarra,
      a un bicchiere di vino che brilla nel buio
      straniero di questo giorno senza coraggio che è nato.

      Sono per ora lontani gli affanni, i sospiri sognati,
      gli occhi che non abbiamo il coraggio di guardare,
      gli occhi che non vogliamo dimenticare,
      i silenzi carichi di angosce forse già vissute,
      oppure di gioie da cogliere nel soffio dello scirocco.

      Questa terra non è nostra, ci culla e ci respinge,
      torniamo alla pianura senza orizzonte dell'inverno,
      alla neve che buca la nebbia dei nostri minuti strani,
      alle usate preoccupazioni dell'oggi senza tempo
      lontani da quel vento di scirocco che ci seduce e ci abbandona.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Scirocco

        Mi sveglio con le nubi negli occhi,
        lo specchio è uno schermo spento,
        il vetro rigato d'acqua non da luce,
        una lieve oscurità si diffonde attorno,
        il giorno avanza timido e faticoso.

        Il mare dall'alto sembra un vetro sfregiato,
        le onde macchiano le rive stanche,
        e il vento solleva nugoli di speranze,
        le trasporta leggere sui tetti bagnati,
        verso finestre di uomini annegati in un confuso silenzio.

        Una vecchia donna guarda la piazza deserta,
        chiusa tra la roccia e le case vuote.
        Un gatto noioso chiama la sua fame,
        gli alberi si stirano appena svegli
        e i monti attorno forse sorridono.

        È un giorno senza nome, senza numero,
        caduto furtivo sulle nostre teste, ma non voluto,
        eppure lentamente va vissuto e consumato,
        come un regalo non desiderato, come la pioggia
        che asciuga l'acqua solo con altra acqua.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Teatri

          Quando, con infantile e spietata ironia,
          mi svelano innanzi i protagonisti monchi del mio passato
          come spade, come lance
          essi penetrano nel mio cuore
          come se io fossi l’unica colpevole disposta e destinata a pagare.
          La vergogna e l’inferiorità insensate crescono
          mio malgrado, ma col mio permesso,
          ed io stessa in un istante spaventoso
          percepisco ciò che fino a quel momento
          mi curavo di ignorare
          sistematicamente.
          La mia mente è squassata da ciò che altri dipingono e costruiscono
          su di me senza curarsi o domandarmi nulla.
          La loro ingenua e sagace crudeltà,
          più o meno consapevole,
          più o meno giustificata o colpevole,
          gioca a ridurmi in silenzio:
          un goffo pagliaccio, una marionetta senza nerbo né arbitrio
          che s’agita ed arrossisce
          tentando di non attirare attenzione
          sola sul palcoscenico.
          Le risate e la pietà del pubblico
          di cui fino a quel momento non ero cosciente
          risuonano invadenti nella mia testa,
          violentandola e lasciandola stordita da un imbarazzante inettitudine
          per cui, malgrado tanti sforzi,
          non trovo colpevoli.
          E mentre cala il sipario
          sulla mia commedia inconsapevole
          resto seduta, immobile nel buio aspettando il Secondo Atto
          e riflettendo amaramente
          sul fascino dell’ignoranza e sulla sua forza,
          sulla cattiveria dei punti di vista e del relativismo esistenziale
          che contemporaneamente mi costringe ad odiare comprendere e invidiare
          gli atteggiamenti pseudospensierati
          del mio pubblico
          umanamente pettegolo
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