Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Al costruendo monumento alla Pace

I poveri viaggiano scalzi e non temono le pietre taglienti
macigni pesanti sono i passi sopra la sabbia
e tra i gialli dei soli infuocati muoiono senza lamenti.

Non bastano
i monumenti alti come montagne
di ossa e di carni torturate
che rivendicano
il loro diritto a sentire
il silenzio infinito e solo quello.

Non bastano
i corpi trucidati e spogliati
violentati e mutilati
che i megafoni della storia
in un lamento di paura senza fine
trasportano oltre la periferia del cielo.

Non bastano
Le rose né le rugiade
se gli sciacalli preferiscono sprofondare
le bocche dentro le carni aperte
per non sentire
nemmeno i più sottili lamenti intrappolati

Non bastano
Wounded Knee - Dachau - Hiroshima
Sabra - Shatila - Al-Ameriya - Saraievo
monumenti alla tristezza sacrosanti e unici
costruiti da viscere di vergogna
e da milioni di voci strozzate dai carnefici.

Non bastano
gli scellerati tabernacoli del razzismo
se le cimici invadono il mondo
scandendo i tremori della carne
nelle infinite malinconie di occhi
inzuppati di pianto.

Non bastano
gli stadi enormi della repressione
ridotti a carnai
le città bombardate e quelle bruciate
i forzieri delle banche che ingoiano
le ricchezze rubate all'umanità.

Non bastano
Le insaziabili voracità delle ambizioni
che progettano spudorati monumenti
e vendono miserabili feticci di m-e-r-d-a
sugli altari sacrificali
della dolcezza umana.

Non bastano
gli ocra e i rosa della sera
né i bianchi e gli azzurri del mattino
e nemmeno i blu profondi della notte
a fermare per un attimo
la danza della morte.

Non bastano
che la pace e la vita
siano ancora i sani tormenti dell'eternità
senza bisogno di obelischi
ma fogne giganti come celle
per l'orda impetuosa di furbi.

Non hanno pietà gli uomini con le facce di pietra
cavalcano la morte e dileggiano la vita
strafottenti rivoltano nel brago anche l'amore.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Primavera balcanica

    Non sono stelle filanti
    non sono stelle cadenti
    ma sono bombe che cadono.

    Amico Baldi
    non fiorisce più la bianca betulla a Sarajevo
    tu sei cieco, non puoi vedere le atrocità di questo mondo,
    ma puoi ascoltare, sentire le persecuzioni, il genocidio di popoli.

    Non sono stelle cadenti
    ma bombe che cadono su Belgrado, Pancevo, Pristina, Skopje.
    Non sono stelle filanti ma bombe
    Per distruggere un'altra torre di Babele.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      L'amore

      È l'amore che vive in me
      é l'amore che io provo per te,
      é l'amore che é intorno a noi
      ma il tuo amore non c'é

      È nell'aria che respiri tu
      c'é una parte di te e di me,
      un sentimento di tutti noi
      in questo mondo che amare vuoi.

      E non c'é tutto quello che sogni tu
      e perché questo sempre lo chiedi a me,
      vivi la vita, pensando agli altri e non a te,
      questo é l'amore, l'amore dei tuoi perché.

      Liberi le tue idee, anche i tuoi pensieri,
      se puoi quelli veri per cercare l'amore,
      frughi tra le stelle, rubi la più bella,
      fai una magia, una magia d'amore.

      È l'amore l'amore, é l'amore l'amore
      una magia d'amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Viaggi di ritorno

        Non guardo fuori ma il doppio
        che si specchia nel vetro
        di una finestra la cui lamina
        argentata è di luci accese,
        di notti insonni e di viaggi
        di ritorno intorno a una stanza.

        E sempre cercare le parole
        come per dire tutto e barare
        sulla realtà o siamo fragili,
        ché non c'è balzo di tigre
        né natura angelicata
        quando scalpita in noi
        la nostra storia unica
        ma poi niente di speciale.

        Il poeta ha il mal d'amore
        come chi fuma sa di fumo
        e tu, turgida farfalla offesa,
        ritiri la spiritromba graziosa
        e mai più succhierai il niente
        dei suoi fiori artificiali.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Prendere un treno

          Prendere un treno
          tra chi va e chi ritorna:
          ginocchio contro ginocchio
          in qualche vecchia carrozza,
          aprirsi un po'.

          Guardare di fuori
          i pensieri che hai dentro.
          La massicciata scorre
          come scorre il passato,
          ovattarsi un po'.

          Conforta la memoria
          il tatantatà che culla
          e sostiene il fantasma
          di una cara infantile
          filastrocca.

          Di stazione in stazione
          sulle guide di acciaio
          abbandonarsi finalmente
          alla certezza di arrivare.
          Dormire un po'.

          Cardiaca contrazione
          e arteriosa pulsazione
          rotolano sul binario
          e da ogni tunnel impavidi
          rinascere.

          Prologo

          La piattola strappata
          Ha lasciato sul corpo
          Un segno indelebile
          La roseola scarlatta

          Ma per sempre non è
          Come il corpo ci muore
          E poi tutto scompare

          Simile è il corpo
          Delle umane vicende
          Su cui lasciamo terreno
          Ai posteri un ricordo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Ritorno a casa

            Ti scrivo sulla Transiberiana con lo stesso paesaggio sotto gli occhi
            che abbiamo visto quando andavamo insieme.
            Colori più autunnali, tuttavia,
            evidenziando
            un'individualità in ogni pianta.
            Equiseti melanconici.
            Alberi di foglie gialle
            o dipinte a rosso antico
            o di foglie già perdute.
            L'erba insiste ancora nel suo verde
            ma sono secchi alcuni fiori
            ed è bruciata, qua e là,
            mentre intatti risultano alberi e cespugli.
            Forse il qua e il là è quello
            dove abbiamo visto salire dalla terra il fumo,
            nell'andata.
            Il fumo
            è svanito,
            a distanza di giorni.

            Pubblicata su Lo strillozzo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Perdere la strada

              Camminare, passeggiare
              sotto le fiaccole della luna,
              una strada brecciata
              girovagante alle colline.
              Alberi, rami protesi,
              plaghe d'ombra, oscure caverne,
              smerlettate, maculate,
              occhieggia la luna
              fra le foglie vibranti nella brezza.
              Baciare le dolci labbra,
              sotto l'ombre maculate,
              dell'innamorata mentre gli occhi
              sfavillano ai raggi lunari.
              Bisbigliare parole d'amore
              nell'incanto della notte:
              mille archetti sonanti
              le note di cristallo di un usignolo.
              Sfiorare il caro volto,
              seguire la curva del bianco collo.
              Sentire la passione ardere
              gli innamorati sospirosi,
              come verdi rami al fuoco,
              e fondere nel crogiolo
              la più preziosa lega: l'Amore.
              Una mano sfiora,
              zeffiro, il volto tuo.
              Un nembo nero mangia la luna,
              un'oscurità abissale assale la terra.
              Sfiorati voglio ma non ti trovo,
              ti cerco ma non ti trovo,
              svanita come la luce lunare.
              Sono rimasto solo nel vento,
              che sibila sinistro nella foresta.
              Una lacrima spaurita
              scende tremula sulla guancia.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                In solitudine cogliere armoniosi accordi.

                Giunchiglie, sulla riva,
                ridono con riso dorato
                Sull'acqua trema lievemente,
                tra ombre del salice,
                biondo riflesso di narcisi.
                I fiori narrano fole nell'ombra.
                Le ninfe spiano dai margini del bosco,
                lanciano sguardi melanconici,
                si ritraggono come pallidi fiori,
                si rifugiano nell'ombra cupa.
                Nella macchia un garrulo cinguettare .
                Impertinente un pettirosso,
                sul sentiero, interroga pipilando.
                Il ruscello gorgheggia
                con impetuosa letizia .
                Tra cielo e terra un sbocciare
                gaio d'anemoni ,
                un fremere di uccelli.
                Il giovane vento, agguantato
                dai rami degli alberi,
                si lamenta della prigionia.
                Le felci giaciono appassite, spezzate,
                scarmigliate dall'inverno.
                Le foglie cadute dalla quercia,
                calpestate emettono un gemito,
                risospinte nell'oblio.
                L'angoscia delle felci prostrate,
                il volo spensierato,
                la trepida gioia delle gemme ,
                il singhiozzo del vento frenato
                percepivo vagando solitario.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Cielo bacia terra

                  Metallica croce
                  mi sovrasta.
                  Vuoto mi circonda
                  e confonde.
                  L'infinito segue
                  un picco dopo l'altro,
                  dal pertugio una valle
                  spinge l'occhio al mare.
                  Sfoca l'immagine
                  cielo e mare, mare e terra,
                  città concrezioni calcaree.
                  L'aquila imperturbabile
                  segue la rotta della brezza.
                  Il sudore ghiaccia
                  al pensiero d'abbandonare
                  l'infinito silente.
                  Meglio lanciare in volo
                  la massa grigia
                  e smolecolare nell'azzurro spazio.
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