Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Odi che il bronzo rimbombando langue,
E l'ultimo momento
Morte si strappa, e sul tuo volto esangue
Stende le man:... sei spento.

Urlan le furie accapigliate, e intorno
Stanti con folta notte,
Chè alfine di putredine il soggiorno
Con gli abissi t'inghiotte.

O tu, folle! sperasti altro compenso
Dall'empietà che teco
Negra impresa di sangue, e volo immenso
Tentò eretta del cieco

Ardir su l'ali? accumulare i scempi
Dè tiranni piú rei,
Non re, sapesti; ma percoton gli empi
Non chimerici Dei.

Invan gloria sognasti, il grido invano
Tu dè secoli udisti,
Ch'or plausi turpi d'uno stuolo insano
A esecrazion van misti.

Vincesti? e invan; regnasti? e invan, superbo,
Chè con destra di possa
Dè giusti il Dio del tuo comando acerbo
La catena ha già scossa.

Veggio l'empio seder amplo in suo orgoglio
Qual di monte ombra in campo;
Sublime al par di cedro erge suo soglio;
Ma squarcia l'aer un lampo;

Tosto il veggio tremar, piombar, sotterra
Cacciarsi al divin foco;
Invan lo sguardo mio cercandol erra,
Nemmen conosco il loco.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La verità

    Sino al trono di Dio
    anciò mio cor gli accenti,
    Che in murmure tremendo
    Rispondono i torrenti,
    E dalla ferrea calma
    Delle notti profonde
    Palma battendo a palma
    Ogni morto risponde.

    D'entusïasmo ho l'anima
    Albergo; e sol d'un Nume
    Io son cantor: degli angeli
    L'impenetrabil lume
    Circonda il mio pensiero,
    Ch'erto su lucid'ali,
    Sprezza l'invito altero
    Dè superbi mortali.

    E coronar di laudi
    Dovrò chi turpe e folle
    Splendido sol per l'auro
    Sa l'orgoglio s'estolle?
    Che dir deggio di lui?
    Pria di giustizia il brando
    Sù forti bracci sui
    Vada folgoreggiando;

    E canterò. Nettarea
    Da me non cerchi ei lode,
    Se a lutulenta in braccio
    Sorte tripudia e gode,
    E tra un'immensa schiera
    D'insania al carro avvinto
    scioglie con sua man nera
    A iniquitate il cinto.

    E tu chi sei che il titolo
    Santo d'amico usurpi?
    E vile d'amicizia
    L'aspetto almo deturpi?
    Chi sei tu che m'inviti
    Di gloria a spander raggio
    E a sciòrre inni graditi
    A chi in virtù è selvaggio?

    Non sai che santuario
    Al ver nell'alma alzai
    E che io del vero antistite
    Sempre d'esser giurai?
    Non sai che mercar fama
    Da tal canto non curo,
    E più dolce m'è brama
    Sul ver posarmi oscuro?

    Vero suonò di Davide
    Il pastoral concento,
    E a Dio piacque il veridico
    Suono, e tra cento e cento
    L'unse à popoli ebrei
    Rege di pace, e adorni
    D'illustri eventi e bèi
    Fè dell'uom giusto i giorni.

    E immagine d'obbrobrio
    Vuoi tu farmi, o profano?
    Oh! quell'immonda faccia
    Copriti con la mano
    Lungi da me: chi fia
    Cui faccian forza i detti
    Ch'io l'alta cetra mia
    Di ricca peste infetti!

    Garrir fole non odemi
    L'atrio di adulazione,
    E in questa solitudine
    Dall'aurata prigione
    Fuggo; esecrando il folle
    Che blandisce con mèle
    Il grande; e in sen gli bolle
    Rancor, invidia, e fiele.

    Dunque chi vuol, d'encomio
    Canti impudente intuoni
    Per lo tuo eroe; ch'io cantici
    Fra gli angelici suoni
    Ergo al Solopossente,
    Che dall'empirea sede
    Gl'inni in letizia sente
    Di verità e di fede.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      A Dante

      Alto rombano i secoli
      Su rapidissim'ali,
      E dall'aere giù vibrano
      Dritti infiammati strali
      Che additano agl'ingegni
      D'eterna gloria i segni:

      Ma qual nebbia! Qual livido
      Umor spargon dai vanni
      Che in fetida caligine
      Attomban nomi ed anni,
      E rodono quel serto
      Che ombreggia un tenue merto!

      O mio Poeta, o altissimo
      Signor del sommo canto,
      Che con sublime cetera
      Per la casa del pianto
      Girasti, e fra la gente,
      Che o gioisce, o si pente,

      Tu vivi eterno. - Gloria
      Di suo fulgor ti cinse,
      Tuonò sua voce; un fulmine
      Fu per chi ti dipinse
      Testor stentato, oscuro
      Di carmi e stile impuro.

      Pèra! La lingua sucida
      Costui nutra nel sangue,
      E per delfici lauri
      Gli accerchi invece un angue,
      Sanie stillante infesta,
      L'abbominevol testa.

      Dicesti: ed ecco stridono
      In suon ringhiante e forte
      Gli aspri tartarei cardini:
      Della cappa di morte
      Infino à più vestute
      Ecco l'Ombre perdute.

      Io già le ascolto: echeggiano
      Per l'aer senza stelle
      Batter di man, bestemmie,
      Orribili favelle,
      Voci alte e fioche, accenti
      D'ire in dolor furenti.

      O Padre! O Vate! Un giovane
      Cui l'estro ai cieli innalza,
      Che pel genio che l'agita
      Fervidamente sbalza
      A inerudita cetra
      Canti spargendo all'etra,

      A te si prostra: un'anima
      Che in sè ognor si ravvolge,
      Che in ermi boschi tacita
      Fugge dall'atre bolge
      Di cittadino tetto,
      Gl'irraggia l'intelletto.

      Di sapienza nettare
      Fra mie voglie delibo,
      E, meditante, ai spiriti
      Porgo l'augusto cibo
      Che questa etade impura,
      Famelica, non cura.

      Muta di luce eterea
      Alle peccata in grembo
      Fra cupo orror s'avvoltola
      L'Umanità: il suo lembo
      Spruzzi di sangue stilla,
      Ed ella va in favilla.

      Ma ira di giustizia
      Lui che può ciò che vuole
      Ruggisce in cielo, e scaglia
      Di spavento parole;
      Vennero i giorni alfine
      Di piaghe e di ruine.

      Vennero si; ma sorgere,
      Giganteggiando, i nostri
      Carmi vedransi, e liberi
      Calpestare què mostri
      Che tumidi d'orgoglio
      Siedono ingiusti in soglio.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La campagna

        O tu cantor di morbidi
        Pratei, di dolci rivi,
        Che i verdi poggi, e gli alberi
        Soavemente avvivi
        Con gli armonici versi
        Da fresche tinte aspersi,

        Odi un poeta giovane,
        Che il genio che l'ispira
        Devoto siegue, e libero
        Percote ardita lira,
        E cò suoi canti vola
        Al suo gentil Bertòla.

        Fra campestri delizie
        Tranquillo e lieto io vivo.
        E col pensier fantastico
        Tra me canto e descrivo
        Sì vaghi paeselli,
        Che ognor sembran novelli.

        Pingo; ma resto attonito
        Allor che su i tuoi fogli
        Veggo fiorire, e sorgere
        Pianto e marini scogli,
        Che sembrano invitarmi
        A sacrar loro i carmi.

        Da me s'invola subito
        Il mio picciol soggiorno,
        E sol veggo Posilipo
        E il mar che vanta intorno
        Di Mergellina il lido
        Ameno più che Gnido.

        Estatici contemplano
        Tuoi campi i cupid'occhi:
        O come allor nell'anima
        Sento beati tocchi,
        Che mi dicono ognora:
        Sì dolce vate onora.

        Salve, dunque, del tenero
        Gesnèr felice alunno!
        Il lor poeta adorino
        D'aprile e dell'autunno
        Le Grazie e i lindi Amori
        Coronati di fiori.

        Il lor poeta adorino
        Le serpeggianti linfe,
        E dai monti scherzevoli
        Scendan le gaje Ninfe,
        E alternin baci in fronte
        Al tòsco Anacreonte.

        Ed io tesso tra cantici
        Ghirlandetta odorosa
        Non d'orgogliosi lauri,
        Ma sol d'umida rosa,
        E il capo ombreggio al molle
        Abitator del colle.

        E in cor brillante io dico:
        Questa dona Natura
        Al suo più ingenuo amico,
        Ch'ella d'altro non cura:
        Da lui schietto-dipinta
        Di fior va anch'ella cinta.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Volta il cavallo, e ne la selva folta
          lo caccia per un aspro e stretto calle:
          e spesso il viso smorto a dietro volta;
          che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
          Fuggendo non avea fatto via molta,
          che scontrò un eremita in una valle,
          ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
          devoto e venerabile d'aspetto.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Forse era ver, ma non però credibile
            a chi del senso suo fosse signore;
            ma parve facilmente a lui possibile,
            ch'era perduto in via più grave errore.
            Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
            e l'invisibil fa vedere Amore.
            Questo creduto fu; che 'l miser suole
            dar facile credenza a quel che vuole.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Pieno di dolce e d'amoroso affetto,
              alla sua donna, alla sua diva corse,
              che con le braccia al collo il tenne stretto,
              quel ch'al Catai non avria fatto forse.
              Al patrio regno, al suo natio ricetto,
              seco avendo costui, l'animo torse:
              subito in lei s'avviva la speranza
              di tosto riveder sua ricca stanza.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
                levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
                ch'avea per morto sospirato e pianto,
                poi che senza esso udì tornar le squadre;
                con quanto gaudio il Saracin, con quanto
                stupor l'alta presenza e le leggiadre
                maniere, e il vero angelico sembiante,
                improviso apparir si vide inante.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
                  fa di sé bella ed improvvisa mostra,
                  come di selva o fuor d'ombroso speco
                  Diana in scena o Citerea si mostra;
                  e dice all'apparir: - Pace sia teco;
                  teco difenda Dio la fama nostra,
                  e non comporti, contra ogni ragione,
                  ch'abbi di me sì falsa opinione. -
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    Ma non però disegna de l'affanno
                    che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
                    e ristorar d'ogni passato danno
                    con quel piacer ch'ogni amator più brama:
                    ma alcuna fizione, alcuno inganno
                    di tenerlo in speranza ordisce e trama;
                    tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
                    poi torni all'uso suo dura e proterva.
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