Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Nella nebbia

Immerso nella nebbia apro le braccia
e procedo a tentoni, brancolando.
Dove sei, amore? Io non trovo
la strada che conduce alla tua casa
e non odo la tua voce che mi chiama.
Perché non hai appeso una lanterna alla tua porta?

Vago da solo in questa notte fredda, incespicando
nei binari del tram, e mi accompagna
il latrato di un cane.
Ormai è tardi ed io non so sperare
che tu mi stia aspettando ancora,
come facevi una volta.

Disorientato vado percorrendo
strade dissestate che non conosco,
per venire da te; ma forse giro
sempre attorno allo stesso isolato di case.
Non so se mi avvicino o mi allontano.

E soltanto questo freddo pungente,
che penetra nelle ossa e mi raggela
le mani e i piedi, mi ricorda
che sono vivo.

Forse sarà così la morte
che ha da venire,
come un mantello di nebbia che ci avvolge;
e spariranno i contorni delle cose
e non udremo più le voci amate.

Ma non avrò l'angoscia di cercarti.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Io non soffocherò il mio amore

    Io non soffocherò il mio amore.
    Non ti chiederò nulla
    e accetterò soltanto quello che puoi darmi.
    Come un lupo assetato
    berrò l'acqua raccolta nei tuoi palmi
    e se vuote saranno le tue mani
    non devi fartene una colpa,
    avrò almeno la felicità di amarti.

    Gli ingranaggi ruotano impazziti
    con fragore assordante
    a la lancetta dell'orologio gira
    a scandire il tempo breve che mi resta.

    Ma questa volta io saprò distruggere
    la macchina che stritola i miei sogni.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Poeti di paese

      La gente non sapeva che il maestro
      Bottarelli, che tutte le mattine
      puntuale prendeva la corriera,
      timido e solo, con le lenti spesse
      e la sua cartella piena di libri,
      fosse un delicatissimo poeta.

      Dal suo cuore
      celato in un misero corpo
      sgorgavano versi limpidi e solari
      traboccanti di ricordi fanciulleschi
      e di serene visioni
      di fiori di siepe e di muraglia.

      E nessuno poteva immaginare
      che un geometra folle e taciturno
      giunto alla soglia della sua vecchiezza,
      incipiendo la demenza senile,
      traumatizzato da un logico abbandono
      esprimesse con versi angosciosi
      la sua solitudine
      e l'amore per una donna.

      Il poeta è una rana
      che ha voce di usignolo.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Un po' di pietà

        Erano ragazzi normali e intelligenti,
        mi direte, e quando
        uccisero la madre di lei si dimostrarono
        lucidi e spietati...
        Ora applaudite la condanna
        unendovi al coro degli ipocriti:
        volete esorcizzare il vostro male!
        Erano ragazzi normali e potevano
        essere figli vostri...
        e ciò v'inorridisce.
        Ma forse noi dovremmo avere
        un po' di pietà per loro.

        Ora che cosa potrei dire a Erika
        se fossi suo padre:
        Oddio, dov'ero Erika,
        come potevo non accorgermi
        che in cuore ti ribolliva quell'assurda
        e orrenda gelosia;
        perché soltanto di gelosia si tratta,
        ne sono certo.
        È colpa mia, non tua,
        se non me ne sono accorto.
        Come potevi credere
        che il mio amore fosse poco e divisibile?
        Il mio amore, tu non lo sapevi,
        era più grande e illimitato
        e comprendeva te, la mamma e il fratellino.
        È colpa mia, non tua,
        se tu non lo hai capito.

        O voi tutti che giudicate, siete buoni!
        Voi avete sempre amato vostra madre, ricordate.
        Quando era vecchia l'avete messa in un ospizio,
        quel più comodo,
        sulla strada percorsa nei weekend.
        Così potevate fermarvi un momentino,
        senza perder tempo:
        -Cara mamma, ti ho portato un regalino,
        una scatola di biscotti, quelli molli,
        che puoi mangiare anche tu, senza dentiera.
        Sei contenta? - E andate via.

        Anche voi avete ucciso vostra madre
        e dovreste avere almeno
        un po' di pietà per voi.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          L'addio

          un piccolo bacio e un sorriso
          e un lieve cenno con la mano
          oltre la sbarra che già ci separava

          anche tu lo sapevi,
          piccola Ibi,
          che quello era un addio

          dell'altra donna che ho amato
          non ricordo nemmeno
          l'ultimo saluto

          ora gira la mia valigia
          come la mia vita
          trascinata da un nastro inarrestabile
          e sparirà in un buio bagagliaio.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Incubo

            A te mi legava un tenue filo
            mentre t'immergevi negli anfratti
            delle grotte marine popolate
            di strani pesci colorati e di coralli;
            poi mi apparivi sorridente
            fra le onde che ti sommergevano
            e portavi in mano una conchiglia
            contorta che suonava come il mare.

            Oh non andare più, giù nella buia
            spelonca sommersa, figlio mio!
            Tu non lo sai, ma il filo
            esile che guida il tuo ritorno
            è lo stesso che mi lega alla mia vita;
            e basta un nonnulla per spezzarlo.

            Che posso fare io, se questa corda
            che ci unisce è tranciata da una selce?
            Ti sento annaspare e tu ti perdi
            nel buio labirinto; e più non trovi
            l'uscita nascosta che porta in superficie.
            Il respiro ti manca, i tuoi polmoni
            stanno scoppiando e apri la bocca
            ingurgitando acqua salata. Stai morendo.

            Io so che è la tua fine,
            mi tremano le gambe e sento
            che la corda allentata si riavvolge.
            Il sangue mi pulsa nelle tempie,
            non so che cosa fare per salvarti!
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Al mio angelo

              Fingevo di ammalarmi e tu venivi
              dal cielo, angelo mio, per consolarmi;
              mi provavi la febbre e trepidante
              mi rimboccavi bene le coperte
              e mi baciavi, lieve, sulla fronte.

              Di colpo io fingevo di guarire,
              ti prendevo sul letto e ti baciavo
              e poi ti penetravo tutta notte.
              Ma, al primo canto del gallo, tu sparivi.

              Adesso io mi sento proprio male,
              la falce della morte mi accarezza
              e i diavoli stanno attorno al letto
              aspettando la mia anima dannata.

              Ti chiamo disperato e tu non senti.
              Angelo mio, perché tu non mi credi?
              Io non sono capace di mentire,
              sto morendo e il mio cuore già non batte.
              O mio angelo, tu devi venire,
              hai dimenticato qui le tue ciabatte.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Non m'importa

                Che senso ha coprirmi di attenzioni
                proprio ora che mi stai lasciando?
                E perché continui a cucinare
                che non abbiamo neanche voglia di mangiare?

                Da dietro ti guardo di sfuggita
                mentre tu trambusti tra i fornelli,
                vedo il tuo collo bianco e il tuo codino
                e le tue gambe sottili di bambina;
                e il cuore mi si gonfia di tristezza.

                Poi ti giri e nel tuo viso contratto
                leggo una dura ostinazione
                e da un puntino nero della pelle
                che non ti avevo mai notato prima
                sembra sprizzare fuori il tuo rancore.
                Non riesco a capire cosa ho fatto
                per suscitare un odio così forte.

                Tuttavia mi prepari il caffelatte
                col pane raffermo, che a me piace,
                cosa che tu mai facevi prima;
                mi sembra un gesto pietoso come quando
                si offre un lauto pranzo al condannato
                prima di trascinarlo dal suo boia.

                Che me ne importa a me del caffelatte
                se ora tu vuoi andare via?
                Che importa a me di lavorare,
                che m'importa dei soldi e della roba?
                Che m'importa di finire sotto un camion,
                che m'importa di cadere da un ponteggio,
                che m'importa di morire per un cancro
                se ora vuoi andare via?
                Non m'importa, non m'importa,
                non m'importa proprio niente.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Ultima poesia

                  La lebbra ha devastato il tuo bel volto
                  che ora è nascosto da una pezza,
                  ti conosco soltanto dai tuoi occhi
                  miopi che mi guardano con astio.

                  Il tarlo del tempo corrode i miei ricordi
                  e di ciò che mi fu speranza e amore
                  rimane un pugno di cenere amorfa
                  spazzata via dal vento inesorabile.

                  Oh il vento! Porti via anche la polvere
                  del mio corpo corrotto dalla morte,
                  mulinando cancelli ogni mia traccia.
                  Di me più non rimanga nulla.

                  Soltanto quando avrai dimenticato
                  la mia bocca piena di vermi,
                  tu riderai fuggendo il mio ricordo
                  fastidioso come insetto da schiacciare.
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