Mi piace il tram giallo d'inverno, il tram numero diciannove che porta a Roserio. Non ho mai saputo dove fosse Roserio, mi appoggiavo ai vetri appannati, disegnavo scacchiere sulla città stringevo i libri in braccio. "Hai già il titolo della tesi? " La geometria delle linee ferrate conduce verso l'infinito. "Cosa farai dopo? " "Vorrei essere pagata per studiare. " Non ci sono riuscita continuo a pagare per studiare.
Servi dello Stato colati a fondo, uno ad uno nella nebbia dimenticati nel nulla, lungo corsie di sangue a sirene spiegate, occhi di lince e fiuto di volpe, ma la morte è regina di notte, profuma di spine, si diletta trasformista come primattore da palco, si acquatta silenziosa, si muove sinuosa, come un serpente assume i colori del suolo, a redini sciolte cavalca con furia gli strali assassini, guida le mani nel bagno di sangue e si accende gli occhi nel porre fine alla vita. Colati a fondo ma vivi, solo nel ricordo di pochi, sacrificio inutile di anonimi eroi tenuti a morire pur di salvare una vita, importante più della loro e di amici e parenti, soli nella marcia per difenderne il nome, la memoria e il ricordo, verso lo Stato che ha comprato il suo perdono per l'inerzia e la complicità negli anni di piombo.
(Nel ventesimo anniversario del rapimento dell'onorevole Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse)
E la piazza accoglieva, nella sua rettangolarità, migliaia di persone manifestanti. E io ero lì tra quella gente. Ci distingueva il colore della pelle, gli occhi a mandorla ma il mio cuore era con loro. Quelli cantavano e io con loro, quelli parlavano e io con loro, quelli dormivano e io con loro... ma l'urlo di morte scosse la piazza e del sit-in si fece strage. Corpi stramazzanti a terra, sibili e boati nella notte... Le pallottole d'acciaio infuocate falciavano le gambe di quelli che fuggivano... e quelli morivano, e io con loro...
Non c'è bocca che parli, non c'è emozione alcuna che trapeli, traspaia da volti ormai freddi, non c'è vita negli occhi né altro che scomponga lo stato immoto. Cupola di ghiaccio avvolge le mura lasciandole morire crepa su crepa. Cupa implosione di eventi ormai logori, di rancori saturi e speranze ultime lancia scintille su corpi vaganti, trascinantisi come zombie al di là della morte, con fatica, con le spalle alla vita. Tutto è rinuncia sotto il peso del mondo, tutto è rancore sotto il peso degli anni. Curare non si può le grandi ferite traboccanti di sangue e polveri infette, mutare non si può ciò che si fa duro nel tempo e che trova quiete nel gratuito silenzio, trova la morte in spropositate reazioni che alimentano nell'ombra il vomitare di un vulcano mai spento.
Come si muore, quale preghiera rimane, quale forza nel cuore, quali ancora parole se non lamenti. Insieme e in fondo soli, come si muore, senza più ricordi, senza pelle e più ossa, ombra della propria ombra di notte e col sole. Calda la paura rende di fuoco l'aria e di sangue le lacrime, di ghiaccio il sudore. Come si muore a pochi passi dalla morte, come si muore in piedi e ginocchia a terra, con occhi randagi a cercare la fuga non dalle anguste mura ma dai cento altri sguardi, sbarrati nell'orrore dell'addio alla vita e spaccati dall'odio dell'odio come un sasso nel cuore. Mano nella mano col silenzio nelle parole e il lamento nel cuore, dal profondo si leva l'urlo sotto le docce infami e assassine che bagnano di morte le schiene e i nudi capi chini. Come si muore insieme, spalla a spalla, corpo contro corpo vomitante sudore, nudi nel freddo e vuoti, ormai vuoti, già morti nella vita, già nella vita oltre la morte. Tutto rimane, le braccia marchiate, le vite segnate, le lacrime a spasso coi ricordi, a torturare l'anima di chi ce l'ha fatta, il ricordo di chi non è tornato e mai più tornerà. Come la neve, polveri bruciate e ceneri come la neve, sputate fuori dalla fiamma carnefice, che gli occhi segnò di giorno e di notte, che mai tremò nel dare la morte, legando il dolore e le fiamme, la vita alla morte.
Un silenzio evanescente, ma triste, inonda col suo tono sconsolato l'arsume della nostra lontananza.
Ma tu, così distante da me, e la sera sempre più lontana, fra i versi per i quali hai sorriso cerca il calore del mio petto (in mezzo a quelle macchie nere vive il nostro eterno abbraccio) perché possa un sorriso dileguare la malinconia.
A un gabbiano sulla scogliera Quante spiagge sfiorano assenti i tuoi passi più fragili della rena nei mattini ancora ebbri di sensazioni e delle braci di qualche tardivo falò nelle lunghe estati chiassose...
chi le conta più?
Giocoso gabbiano colore del sale tu rammenti tutte queste feste pazze le lunghe danze le onde placide che van domando le melodie i tuoi occhi a sognare da lontano...
un giorno speciale.
Quante volte sei scappato lassù al faro che da tanti anni ti dà rifugio spalancando lo sguardo a quei racconti intrisi d'acque chiare e terre magiche che i tuoi amici hanno sorvolato...
ed intanto sogni.
Sogni di trovare l'isola meravigliosa che ti attende oltre il litorale natio la intravedi nello splendore dell'alba mentre assapori sulla battigia la mistura di scrosci e di silenzi...
il blu dei mari ascoltati.
I pensieri sorpassano il tempo e tu allora voli verso la scogliera lungo quel filo di vaga angoscia che già lega giorno e assenza d'ombre e là nel grigio il pianto si sperde nel vento...
le tue lacrime dolci nel mare.
Ma quando la spaventosa burrasca ha sciolto le mura dell'ultimo castello aspetta la calma e corri sulla spiaggia cerca fra le alghe sparpagliate dalle correnti sulla riva il tuo tesoro o nel cielo...
La felicità è il battito d'ali del coleottero che non calpesti. Il minusculo lembo di pelle che si stacca dal dito ferito. Una caraffa di bianco frizzante bevuta d'un fiato senza respiro. Le lacrime sincere d'una ragazza pallida il mattino alle cinque alla stazione dei treni. Quel momento unico d'estasi onirica quando tutto si blocca e intravvedi uno strappo nel tempo che ti regala un secondo di vita. La felicità è quello che non hai, sono i rimpianti e i ricordi a cui ti leghi nella sera o di notte.
Minime storie di vetro sono le vite umane. Infranti occhi che soccombono alla stanchezza degli anni. Brumose incertezze del tempo che passa sintesi estrema del piacere di vivere. Malinconia latente è il mio pensiero indifferente al mondo ma in esso incluso. Frattaglie e sangue sul sentiero innanzi.
Oh, i miei sogni! Erano come fiori finti che nascondevo sotto l'erba del mio giardino già fradicia di pioggia e li dimenticavo. Erano così pochi i fiori veri e non li distinguevo, li confondevo sempre con i sogni.
Ora che il tempo avanza inesorabile come la macchina che trebbia il grano e sferraglia senza pietà, no, io non potrò sognare!
Raccoglierò i miei sogni come fiori di carta sgualciti e impolverati e li chiuderò nel cassetto più nascosto. Butterò la chiave per non aprirlo.
E tu sai che ne terrò soltanto uno, dei miei sogni: questo amore. Io non vorrò sapere, non m'importa di capire se il sogno che mi resta è un fiore o un coriandolo di carta. Sarà soltanto quello che puoi darmi.
Io curerò il mio amore come un vaso di viole, lo innaffierò con l'acqua del mio pozzo; solamente il tuo sole lo farà fiorire.