Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il tram giallo

Mi piace il tram giallo
d'inverno,
il tram numero diciannove
che porta a Roserio.
Non ho mai saputo
dove fosse Roserio,
mi appoggiavo ai vetri appannati,
disegnavo scacchiere sulla città
stringevo i libri in braccio.
"Hai già il titolo della tesi? "
La geometria delle linee ferrate
conduce verso l'infinito.
"Cosa farai dopo? "
"Vorrei essere pagata per studiare. "
Non ci sono riuscita
continuo a pagare per studiare.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Servi dello Stato

    Servi dello Stato colati a fondo,
    uno ad uno nella nebbia dimenticati nel nulla,
    lungo corsie di sangue a sirene spiegate,
    occhi di lince e fiuto di volpe,
    ma la morte è regina di notte,
    profuma di spine,
    si diletta trasformista come primattore da palco,
    si acquatta silenziosa, si muove sinuosa,
    come un serpente assume i colori del suolo,
    a redini sciolte cavalca con furia gli strali assassini,
    guida le mani nel bagno di sangue
    e si accende gli occhi nel porre fine alla vita.
    Colati a fondo ma vivi,
    solo nel ricordo di pochi,
    sacrificio inutile di anonimi eroi
    tenuti a morire pur di salvare una vita,
    importante più della loro e di amici e parenti,
    soli nella marcia per difenderne il nome,
    la memoria e il ricordo,
    verso lo Stato che ha comprato il suo perdono
    per l'inerzia e la complicità negli anni di piombo.

    (Nel ventesimo anniversario del rapimento dell'onorevole Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse)
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Tien-an-men

      E la piazza accoglieva, nella sua rettangolarità,
      migliaia di persone manifestanti.
      E io ero lì tra quella gente.
      Ci distingueva il colore della pelle,
      gli occhi a mandorla ma il mio cuore era con loro.
      Quelli cantavano e io con loro,
      quelli parlavano e io con loro,
      quelli dormivano e io con loro...
      ma l'urlo di morte scosse la piazza
      e del sit-in si fece strage.
      Corpi stramazzanti a terra, sibili e boati nella notte...
      Le pallottole d'acciaio infuocate
      falciavano le gambe di quelli che fuggivano...
      e quelli morivano, e io con loro...
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Vulcanismo

        Non c'è bocca che parli,
        non c'è emozione alcuna che trapeli,
        traspaia da volti ormai freddi,
        non c'è vita negli occhi
        né altro che scomponga lo stato immoto.
        Cupola di ghiaccio avvolge le mura
        lasciandole morire crepa su crepa.
        Cupa implosione di eventi ormai logori,
        di rancori saturi e speranze ultime
        lancia scintille su corpi vaganti,
        trascinantisi come zombie al di là della morte,
        con fatica, con le spalle alla vita.
        Tutto è rinuncia sotto il peso del mondo,
        tutto è rancore sotto il peso degli anni.
        Curare non si può le grandi ferite
        traboccanti di sangue e polveri infette,
        mutare non si può ciò che si fa duro nel tempo
        e che trova quiete nel gratuito silenzio,
        trova la morte in spropositate reazioni
        che alimentano nell'ombra
        il vomitare di un vulcano mai spento.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Olocausto

          Come si muore,
          quale preghiera rimane, quale forza nel cuore,
          quali ancora parole se non lamenti.
          Insieme e in fondo soli,
          come si muore,
          senza più ricordi, senza pelle e più ossa,
          ombra della propria ombra di notte e col sole.
          Calda la paura rende di fuoco l'aria
          e di sangue le lacrime, di ghiaccio il sudore.
          Come si muore a pochi passi dalla morte,
          come si muore in piedi e ginocchia a terra,
          con occhi randagi a cercare la fuga
          non dalle anguste mura
          ma dai cento altri sguardi,
          sbarrati nell'orrore dell'addio alla vita
          e spaccati dall'odio dell'odio
          come un sasso nel cuore.
          Mano nella mano col silenzio nelle parole
          e il lamento nel cuore,
          dal profondo si leva l'urlo
          sotto le docce infami e assassine
          che bagnano di morte le schiene e i nudi capi chini.
          Come si muore insieme, spalla a spalla,
          corpo contro corpo vomitante sudore,
          nudi nel freddo e vuoti, ormai vuoti,
          già morti nella vita, già nella vita oltre la morte.
          Tutto rimane,
          le braccia marchiate, le vite segnate,
          le lacrime a spasso coi ricordi,
          a torturare l'anima di chi ce l'ha fatta,
          il ricordo di chi non è tornato e mai più tornerà.
          Come la neve,
          polveri bruciate e ceneri come la neve,
          sputate fuori dalla fiamma carnefice,
          che gli occhi segnò di giorno e di notte,
          che mai tremò nel dare la morte,
          legando il dolore e le fiamme, la vita alla morte.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Silenzio della lontananza

            Un silenzio evanescente, ma triste,
            inonda col suo tono sconsolato
            l'arsume della nostra lontananza.

            Ma tu, così distante da me,
            e la sera sempre più lontana,
            fra i versi per i quali hai sorriso
            cerca il calore del mio petto
            (in mezzo a quelle macchie nere
            vive il nostro eterno abbraccio)
            perché possa un sorriso
            dileguare la malinconia.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              A un gabbiano sulla scogliera
              Quante spiagge sfiorano assenti
              i tuoi passi più fragili della rena
              nei mattini ancora ebbri di sensazioni
              e delle braci di qualche tardivo falò
              nelle lunghe estati chiassose...

              chi le conta più?

              Giocoso gabbiano colore del sale
              tu rammenti tutte queste feste pazze
              le lunghe danze le onde placide
              che van domando le melodie
              i tuoi occhi a sognare da lontano...

              un giorno speciale.

              Quante volte sei scappato lassù al faro
              che da tanti anni ti dà rifugio
              spalancando lo sguardo a quei racconti
              intrisi d'acque chiare e terre magiche
              che i tuoi amici hanno sorvolato...

              ed intanto sogni.

              Sogni di trovare l'isola meravigliosa
              che ti attende oltre il litorale natio
              la intravedi nello splendore dell'alba
              mentre assapori sulla battigia
              la mistura di scrosci e di silenzi...

              il blu dei mari ascoltati.

              I pensieri sorpassano il tempo
              e tu allora voli verso la scogliera
              lungo quel filo di vaga angoscia
              che già lega giorno e assenza d'ombre
              e là nel grigio il pianto si sperde nel vento...

              le tue lacrime dolci nel mare.

              Ma quando la spaventosa burrasca
              ha sciolto le mura dell'ultimo castello
              aspetta la calma e corri sulla spiaggia
              cerca fra le alghe sparpagliate dalle correnti
              sulla riva il tuo tesoro o nel cielo...

              un raggio verde una stella.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Felicità

                La felicità è il battito d'ali
                del coleottero che non calpesti.
                Il minusculo lembo di pelle
                che si stacca dal dito ferito.
                Una caraffa di bianco frizzante
                bevuta d'un fiato senza respiro.
                Le lacrime sincere d'una ragazza pallida
                il mattino alle cinque
                alla stazione dei treni.
                Quel momento unico
                d'estasi onirica
                quando tutto si blocca
                e intravvedi uno strappo nel tempo
                che ti regala un secondo di vita.
                La felicità è quello che non hai,
                sono i rimpianti
                e i ricordi a cui ti leghi
                nella sera o di notte.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Il sogno che mi resta

                  Oh, i miei sogni!
                  Erano come fiori finti che nascondevo
                  sotto l'erba del mio giardino
                  già fradicia di pioggia e li dimenticavo.
                  Erano così pochi i fiori veri
                  e non li distinguevo,
                  li confondevo sempre con i sogni.

                  Ora che il tempo avanza inesorabile
                  come la macchina che trebbia il grano
                  e sferraglia senza pietà,
                  no, io non potrò sognare!

                  Raccoglierò i miei sogni
                  come fiori di carta sgualciti e impolverati
                  e li chiuderò nel cassetto più nascosto.
                  Butterò la chiave per non aprirlo.

                  E tu sai che ne terrò soltanto uno,
                  dei miei sogni: questo amore.
                  Io non vorrò sapere, non m'importa
                  di capire se il sogno che mi resta
                  è un fiore o un coriandolo di carta.
                  Sarà soltanto quello che puoi darmi.

                  Io curerò il mio amore
                  come un vaso di viole,
                  lo innaffierò con l'acqua del mio pozzo;
                  solamente il tuo sole lo farà fiorire.
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