Poesie inserite da Silvana Stremiz

Questo utente ha inserito contributi anche in Frasi & Aforismi, in Indovinelli, in Frasi di Film, in Umorismo, in Racconti, in Leggi di Murphy, in Frasi per ogni occasione e in Proverbi.

Scritta da: Silvana Stremiz

Varna 1952

Impossibile dormire la notte qui a Varna
impossibile dormire
per via di queste stelle che son troppe
troppo lucide troppo vicine
per via del mormorio sul greto dell'ode morte
il loro sussurro
le loro perle
i loro ciottoli
le alghe salate
per via del rumore di un motore sul mare come un cuore che batte
per via dei fantasmi
venuti da Istanbul
sorti dal Bosforo
che invadono la stanza
gli occhi verdi dell'uno
le manette ai polsi dell'altro
un fazzoletto
nelle mani del terzo
un fazzoletto che sa di lavanda.

Impossibile dormire la notte qui a Varna, mio amore,
qui a Varna, all'albergo Bor.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz

    Berlino

    Tra 4 giorni sarò a Mosca.
    Questa separazione non è che una strada sotto la pioggia.
    Arriveranno notizie,
    mi tufferò, correndo,
    verso nuove scelte.
    Tra 4 giorni sarò a Mosca.
    A Mosca è primavera,
    me l'hai detto al telefono.
    Anche questa separazione finisce,
    grazie al cielo.
    Ritorno.
    In me non c'è che la notte di questa separazione.
    In me la tua solitudine.
    Solitudine:
    pane di ricordi che non sazia.
    A Berlino, nella mia stanza d'albergo, brilla il sole.
    A Berlino c'è il bisbiglio inzuppato degli uccelli
    - stamattina è piovuto -
    e poi i tram,
    e il tempo.
    Non si decide a muoversi il tempo.
    È rigido, gelato.
    Si potrebbe appenderlo a un chiodo, il tempo.
    E tagliarlo col coltello.
    Sono in una prigione,
    col più spietato degli aguzzini :
    il tempo.
    A Berlino nella mia stanza è pieno di sole.
    E tra 4 giorni sarò all'aeroporto.
    Nell'azzurro.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz

      Notturno in tram a Berlino

      La vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia tutti
      e quattro camminiamo fianco a fianco senza parlarci

      ciascuno cammina solo ma siamo l'uno a fianco dell'altro

      che cosa non avremmo dato gli uni e gli altri per non sentire
      il rumore dei passi gli uni degli altri

      dentro di noi abbiamo pietà imprechiamo gli uni contro
      gli altri ma ci amiamo perché non crediamo gli uni negli altri

      che cosa non avremmo dato per arrivare a un incrocio e infilare presto
      quattro strade diverse ma non so se uno di noi morisse se quelli che restano sarebbero contenti

      la vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia tutti e
      quattro camminiamo fianco a fianco

      la notte prendiamo il tram i tram che non sappiamo dove vadano

      la notte i tram puliti larghi a tre vagoni ci portano in
      qualche luogo con stridori sferragliamenti

      a un tratto si levano davanti a noi dei muri bruciati e sotto
      il riverbero dei lampioni marciano diritti e testardi verso di noi

      delle finestre appaiono davanti a noi e vengono in folla verso
      di noi schiaciandosi l'una con l'altra

      finestre che non hanno nè vetri nè infissi che non sono finestre
      delle stanze degli uomini ma finestre del vuoto

      passiamo davanti alle porte senza battenti le porte che aprono su nulla

      sui marciapiedi degli uomini con tre punti sopra il bracciale aspettano il tram

      sono appoggiati sui loro bastoni dalle punte di gomma

      non so se tutti i muti sono anche dei sordi ma certo la maggior parte dei ciechi sono dei ciechi con gli occhi aperti e le luci dei tram cadono nei loro occhi aperti ma loro non si rendono conto che la luce cade nei loro occhi

      vecchie bigliettaie stanche fanno salire i ciechi sui tram

      donne che mi avete guidato teneramente tenendomi per mano

      a quasi tutte voi non ho dato che qualche poesia e forse un po' di tristezza

      sono grato a voi tutte

      traversiamo le tenebre degli spiazzi vuoti dove crescono i ciuffi d'erbacce

      i tram traversano le piazze i cui palazzi barocchi sono distrutti

      e le pietre bruciate spezzate si somigliano talmente che la testa
      ci gira e giriamo in tondo

      questa città è tutta bucata perché ha mandato i suoi soldati a distruggere altre città

      ho visto città rase al suolo avevano mandato i loro soldati a distruggere altre città e i soldati delle altre città le avevano rase al suolo

      ho visto città che preparavano i loro soldati per mandarli
      a distruggere altre città ed essere distrutte esse stesse

      dei violinisti salgono in tram con le scatole dei violini sotto
      il braccio e i loro lunghi capelli tristi non riescono a
      nascondere la loro calvizie

      questo agosto è forse l'ultimo agosto del mondo ha chiesto uno dei violinisti alla bigliettaia in una lingua che non conosco
      sulle piattaforme dei tram ci sono dei giovani in collera

      credo ch'essi stessi non sappiano perché e contro chi sono in collera

      che ora sarà adesso all'Avana amore mio sarà notte o giorno

      le ragazze scendono dai tram

      le loro gambe sono abbastanza ben fatte

      senza fare un gesto seduto dove sono le seguo e sotto il ponte
      di pietra sento vicinissimo al mio viso il calore delle loro bocche e volto la testa a una giovane donna che mi tocca la spalla senza ch'io sappia dov'è

      i suoi capelli son paglia d'oro le sue ciglia azzurre

      il suo collo bianco è lungo e rotondo

      alle fermate vecchie donne terribili con cappelli di
      paglia nera traversano le rotaie tenendosi per mano

      l'uomo seduto alla mia destra s'è inabissato dentro se stesso
      s'è perduto dentro se stesso

      è così lo so è così che la vecchiaia comincia

      tuttavia non è in mio potere non cadere nelle onde tristi

      così comincia la vecchiaia

      l'uomo seduto alla mia destra è caduto ancora nelle onde tristi

      alla porta del deposito siamo scesi dall'ultimo tram

      rientriamo a piedi

      tutti e quattro

      la vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia

      quando arriviamo all'albergo il sole comincia a spuntare

      nella nostra stanza apriamo la radio

      parla dei vascelli cosmici.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz

        Autobiografia (1962)

        Sono nato nel 1902
        non sono più tornato
        nella città natale
        non amo i ritorni indietro
        quando avevo tre anni
        abitavo Alep
        con mio nonno pascià
        a 19 anni studiavo a Mosca
        all'università comunista
        a 49 ero a Mosca di nuovo
        ospite del comitato centrale
        del partito comunista
        e dall'età di 14 anni
        faccio il poeta
        alcuni conoscon bene le varie specie
        delle piante altri quelle dei pesci
        io conosco le separazioni
        alcuni enumerano a memoria i nomi
        delle stelle io delle nostalgie
        ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso
        ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame
        e non c'è quasi pietanza
        che non abbia assaggiata
        quando avevo trent'anni hanno chiesto
        la mia impiccagione
        a 48 mi hanno proposto
        per la medaglia della Pace
        e me l'hanno data
        a 36 ho traversato in sei mesi
        i quattro metri quadrati
        di cemento
        della segregazione cellulare
        a 59 sono volato
        da Praga all'Avana
        in diciotto ore
        ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel '24
        e il mausoleo che visito sono i suoi libri
        han provato a strapparmi dal mio Partito
        e non ci son riusciti
        e non sono rimasto schiacciato
        sotto gl'idoli crollati
        nel 51 con un giovane compagno
        ho camminato verso la morte
        nel 52 col cuore spaccato ho atteso la morte
        per quattro mesi sdraiato sul dorso
        sono stato pazzamente geloso delle donne ch'ho amato
        non ho invidiato nemmeno Charlot
        ho ingannato le mie donne
        non ho sparlato degli amici
        dietro le loro spalle
        ho bevuto ma non sono stato un bevitore
        ho sempre guadagnato il mio pane
        col sudore della mia fronte
        che felicità
        mi sono vergognato per gli altri e ho mentito
        ho mentito per non far pena agli altri
        ma ho anche mentito
        senza nessun motivo
        ho viaggiato in treno in areoplano in macchina
        i più non possono farlo
        sono stato all'Opera
        i più non ci vanno non sanno
        nemmeno che cosa sia
        e dal '21 non sono entrato
        in certi luoghi frequentati dai più
        la moschea la sinagoga la chiesa
        il tempio i maghi le fattucchiere
        ma mi è capitato
        di far leggere la mia sorte
        nei fondi di caffè
        le mie poesie sono pubblicate
        in trenta o quaranta lingue
        ma nella mia Turchia
        nella mia lingua turca
        sono proibite
        il cancro non l'ho ancora avuto
        non è necessario che l'abbia
        non sarò primo ministro
        d'altronde non ne ho voglia
        anche non ho fatto la guerra
        non sono sceso nei ricoveri
        nel mezzo della notte
        non ho camminato per le vie
        sotto gli aerei in picchiata
        ma verso i sessant'anni mi sono innamorato
        in una parola compagni
        anche se oggi a Berlino sono sul punto
        di crepar di tristezza
        posso dire di aver vissuto
        da uomo
        e quanto vivrò ancora
        e quanto vedrò ancora
        chi sa.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz

          Mehmet

          Da una parte gli aguzzini ci separano come un muro.
          Dall'altra questo cuore sciagurato mi ha fatto un brutto scherzo,
          mio piccolo,
          mio Mehmet,
          forse il destino m'impedirà di rivederti.
          Sarai un ragazzo, lo so,
          simile alla spiga di grano:
          biondo, snello, alto di statura.
          Ero così quand'ero giovane.
          I tuoi occhi saranno vasti come quelli di tua madre,
          con dentro talvolta uno strascico amaro di tristezza.
          Avrai una bella voce,
          la mia era atroce.
          La tua fronte sarà chiara.
          Le canzoni che canterai spezzeranno i cuori.
          Sarai un conversatore brillante.
          In questo ero maestro anch'io,
          quando la gente non m'irritava i nervi.
          Dalle tue labbra colerà il miele.
          Ah Mehmet,
          quanti cuori spezzerai!
          Non dare pena a tua madre.
          Tua madre, forte e dolce come la seta,
          sarà bella anche all'età delle nonne,
          come il primo giorno che la vidi.
          Aveva 17 anni,
          sulle rive del Bosforo.
          Era il chiaro di luna,
          era il chiaro del giorno,
          era simile a una susina dorata.
          Tua madre un giorno, come al solito, ci siamo lasciati:
          a stasera!
          Era per non rivederci mai più.
          Tua madre nella sua bontà
          la più saggia delle madri.
          Non ho paura di morire, figlio mio.
          Eppure malgrado tutto
          a volte trasalisco di colpo.
          Contare i giorni difficile.
          Non ci si può saziare della vita, Mehmet,
          non ci si può saziare.
          Non vivere a questo mondo come un inquilino.
          Vivi su questa terra come se fosse la casa di tuo padre.
          La nostra terra, la Turchia,
          un bel paese tra gli altri paesi,
          e i suoi uomini,
          quelli di buona lega,
          sono lavoratori pensosi e coraggiosi
          e atrocemente miserabili.
          Tu, il futuro,
          lo vedrai coi tuoi occhi,
          lo toccherai con le tue mani.
          Io forse morirò lontano dalla mia lingua,
          dalle mie canzoni,
          dal mio sale, dal mio pane,
          sentendo la nostalgia di tua madre e di te.
          Mehmet, piccolo mio,
          me ne vado. Sono calmo.
          La vita che si disperde in me si ritroverà in te,
          per lungo tempo.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz

            Lettere dal carcere a Munevver

            Che sta facendo adesso
            adesso, in questo momento?
            È a casa? Per la strada?
            Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
            Forse sta alzando il braccio?
            Amor mio
            come appare in quel movimento
            il polso bianco e rotondo!
            Che sta facendo adesso
            adesso, in questo momento?
            Un gattino sulle ginocchia
            Lei lo accarezza.
            O forse sta camminando
            ecco il piede che avanza.
            Oh i tuoi piedi che mi son cari
            che mi camminano sull'anima
            che illuminano i miei giorni bui!
            A che pensa?
            A me? O forse... chi sa
            ai fagioli che non si cuociono.
            O forse si domanda
            perché tanti sono infelici
            sulla terra.
            Che sta facendo adesso
            adesso, in questo momento?
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz

              Anche questa mattina mi sono svegliato

              Anche questa mattina mi sono svegliato
              e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
              si sono buttati addosso a me alla rinfusa
              e la luce d'argento annerito della lampada

              mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
              e il giallo della parete e tre righe di scritto
              e la camera d'albergo e questo paese nemico
              e la metà del sogno caduta da questo lato s'è spenta

              mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
              e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
              e la nostra separazione e quello che siamo

              mi sono svegliato anche questa mattina
              e ti amo.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Silvana Stremiz

                Guardo in ginocchio la terra

                Guardo in ginocchio la terra
                guardo l'erba
                guardo l'insetto
                guardo l'istante fiorito e azzurro
                sei come la terra di primavera, amore,
                io ti guardo.

                Sdraiato sul dorso vedo il cielo
                vedo i rami degli alberi
                vedo le cicogne che volano
                sei come il cielo di primavera, amore,
                io ti vedo.

                Ho acceso un fuoco di notte in campagna
                tocco il fuoco
                tocco l'acqua
                tocco la stoffa e l'argento
                sei come un fuoco di bivacco all'addiaccio
                io ti tocco.

                Sono tra gli uomini amo gli uomini
                Amo l'azione
                Amo il pensiero
                Amo la mia lotta
                Sei un essere umano nella mia lotta
                Ti amo.
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Le sei del mattino

                  Le sei del mattino.
                  Ho aperto la porta del giorno ci sono entrato
                  ho assaporato
                  l'azzurro nuovo nelle finestre
                  le rughe della mia fronte di ieri
                  sono rimaste sullo specchio

                  sulla mia nuca una voce di donna
                  tenera peluria di pesca
                  e le notizie del mio paese alla radio

                  vorrei correre d'albero in albero
                  nel frutteto delle ore

                  verrà il tramonto, mia rosa
                  e al di là della notte
                  mi aspetterà
                  spero
                  il sapore di un nuovo azzurro.
                  Vota la poesia: Commenta