L'Avaro
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Siamo nell'immediato periodo del dopoguerra e cioè a fine del mese di dicembre dell'anno millenovecentocinquanta. È il giorno ventitré ed è l'antivigilia del Santo Natale. Un venticello freddo che trapassa le carni, proveniente, forse, dalla Siberia sibila e sparpaglia i piccoli fiocchi di neve che cadono in abbondanza. È già buio: Sono appena le diciotto ma la fitta nebbia che avvolge tutto e tutti contribuisce, in maniera determinante, a rendere ancora più scura quella cupa serata. Non una lampadina, non un lampione che illuminino le pubbliche vie né c'è possibilità che da qualche casa possa uscire qualche striscia di luce atta a illuminare o almeno a far capire che ci si trova in un paese dove di gente ne è e pure tanta è oscurità totale come la miseria, la fame, la sofferenza che camminano a braccetto. In casa, quei luoghi che definiamo casa unicamente perché costituiti da quattro mura perimetrali, non esiste la luce elettrica e, perciò, l'illuminazione, peraltro, scarsissima è data da qualche vecchio lume col vetro annerito dal fumo e dalla vecchiezza che a volte, nei casi migliori, viene affiancata a una lucerna ad olio o a un mozzicone di candela. Prima ancora dell'avvento della seconda guerra ... [segue »]
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