Dialogo tra me e Sofia
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Era d'inverno e nel meriggio oscuro volli uscire per incontrare la mia amica del cuore. Gentile era e di raffinati modi, concisa nel dire e nell'ascoltare attenta, igiene nella sua mente ce n'era tanta. Il sorriso aveva bello ed invitante, mentre gli occhi sprizzavano amore e tanta intelligenza. Seduta su una dondola vicino al caminetto, mi fece cenno di entrare e di sedermi; poi, sottovoce, come a donna distinta si conviene, rispose immantinente al mio saluto. Mi sedetti. Per un po' silente in tutta la sua bellezza l'ammirai. Ella incontrò il mio sguardo ed io con cordialità le affidai dei miei pensieri il cuore, per ricevere da lei una risposta saggia e meditata. Ella comprese e tosto a parlar mi spinse; intuì che nella mia mente avevo un cruccio, così tra noi ebbe subito inizio una lunga dissertazione.
Sofia, le dissi, come mai l'uomo nasce, cresce e alla fine dei suoi giorni, talvolta o spesso, si sente non realizzato e soffre per non aver portato a termine le attese del suo lavoro, dei suoi desideri, dei suoi affetti e di tutte quelle umane manifestazioni, che hanno riempito le ore della sua vita?
"Pensi, dunque, che alla fine dei suoi giorni talvolta ... [segue »]
Composto mercoledì 6 dicembre 2000
dal libro "Accenti d'amore e di sdegno" di Gino Ragusa Di Romano
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