Mauro Lanari

C'è un mondo distopico in cui i ragazzi sono vittime. Anzi no: anch'alcuni ragazzi sono carnefici e forse non tutti gl'adulti sono malefici. Morale: bisogna fidarsi solo di sé stessi e indirizzarsi verso la luce (=?). Forma d'utopia indistinguibile dal presunt'opposto e incalcolabile variazione s'un tema che non ha mai avuto nulla da dire se non lanciare nuov'idoli fra le giovani generazioni. Inoltre: non era un trend mòrto?

Secondo l'edizione Mondadori, andrebber'inseriti anch'un paio di corsivi.

Lucas avrebbe fatto infinitamente meglio se si fosse fermato ad "American Graffiti" (1973).

"Una commedia che per un'ora e mezza travolge lo spettatore con una valanga di risate demenziali, surreali, taglienti, dissacranti, irriverenti, politicamente scorrette"? Patetico. "Matano è com'il comico che interpreta all'inizio del film: non fa ridere." Un autobiopic, insomma.

Ammesso  e non concesso ch'una strada giusta esista. Sottigliezza.

Privo delle raffinatezze ch'esondano nella trilogia di Sibilia, Silvestrini è più semplice e proprio per questo più efficace sia nel coinvolgimento emotivo che nella profondità del messaggio. Meno stile e più contenuto: non è trendy, insomma, ed è il suo maggior merito.

Gli dovrebbero insegnare a non confonder'il dramma col melodramma ("Melodrammore", Maurizio Costanzo, 1978).

Uno "shark movie" balneare stritolato fra i tanti blockbuster di questo sottogenere e le parodie dell'Asylum.

Parte con l'impeto d'un Ferreri acido e irriverente, poi strada facendo Aronadìo si perde quas'impaurito da se stesso e dalla sua ambizione, proprio com'il protagonista.