Mauro Lanari

Camus, Kafka, Beckett, rimandi al cinema d'avanguardia (tipo Manuli) e poi, mentre l'inquadratura s'allarga minuto dopo minuto a simboleggiare l'apertura nei confronti degl'altri e della loro diversità, un pre-finale degno d'un "Don Matteo". La conclusione resta aperta, m'a quel punto è troppo tardi e l'equivocità regna sovrana. Col successivo film ("Io c'è", 2018), Aronadio sfocerà in una commedia che non s'azzard'a pungere.

Caos: la critica della distopia sociale è essa stessa distopica, e ciò che viene spacciato per utopico, da Tommaso Moro e dal 1516 a oggi, è pure peggio.

Una volta preso atto che quest'è la versione hollywoodiana della saga Millennium, è inutile voltarsi indietro: "The past is like a black hole. You get too close it will pull you in and you disappear" (cit.). Meglio giudicar'il film com'un episodio indipendente, più reboot che sequel, il quale dichiara esplicitamente le proprie promesse meno ambiziose e le mantiene: quelle d'uno spy-action thriller nella media.

Avviene molto di rado, m'anche a me può capitare d'essere d'accordo coi recensori professionali, sia con quelli che dal '79 hanno sempre stroncato la musica dei Queen, sia con la stragrande maggioranza dei critici cinematografici che ha giudicato mediocre questo film, un biopic che risulterebbe quasi del tutto falso e inventato. Rimane comunque l'interesse per l'attenzione rivolta all'atto creativo in sé, cioè al mod'in cui l'artista trasforma le proprie personali vicende in opere in cui si posson'identificare addirittura folle oceaniche.

Foss'un trattato di paleontologia sarebbe ridìcolo. Foss'un prequel d'"Hachiko" sarebbe disgustoso. Fosse l'ennesim'applicazione dell'effetto Kulešov (come "L'orso", 1988) sarebbe sfiancante. Invece il rapporto uomo-animale (lupo, cane, cucciolata, etc.) è finalmente alla pari. E questo survival movie dà l'impressione di voler parlare non tanto dell'amicizia quanto della fede/fiducia con un messaggio religiosamente o spiritualmente arcano e ancestrale.

Le solite 4 idee della Disney (qui: "Finding Mommy") in formato Marvel. Mentre ti sforzi di fartelo piacere, t'accorgi che lo stai già dimenticando e confondendo con tutti gl'altri, sempr'uguali eppure ripetuti all'infinito. Mirabolant'esempio di creatività.

Discorsoni sul liber'arbitrio, scene madri a ripetizione, overacting, messinscena teatrale per una storia più melodrammatica che drammatica poiché i personaggi gareggiano nel comportamento più "foolish" seguendo il verso di Yeats.

Un musical di due or'e un quarto basato sul country e sul pop mainstream: sembra la colonna sonora del '37 e fa venire o l'acufene o una sbornia di sonno.

Imprevedibile fin'all'ultimo dei colpi di scena e all'ultimo dei generi cinematografici amalgati, dalla black comedy al thriller e al noir. Molto più delizioso del pesantemente intellettualistico Fincher di "Gone Girl" (2014).

L'importanza dell'argomento trattato (si parte da una citazione di Napoleone) avrebbe meritato un approccio assai migliore d'una rom-com sciocchina, sospesa tra "Indovina chi viene a cena?" (1967) e tropp'esotismo cartolinesco. Con meno pretese, è invece un passabile remake globalista del classico di Stanley Kramer.