Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie anonime)
Preghiera per la pace
Oh grande spirito che regni nel cielo
guidaci nell'accordo di pace e comprensione
permettici di vivere tutti insieme come fratelli e sorelle.
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Oh grande spirito che regni nel cielo
guidaci nell'accordo di pace e comprensione
permettici di vivere tutti insieme come fratelli e sorelle.
Natale di plastica e vento,
Di luci bugiarde.
Natale di fame
Di imbrogli, di sottomissione.
Natale senza veli
(la pace è solo utopia. )
Natale e fa freddo nelle baracche
Piove in casa e l'acqua manca
Il pianto di un bimbo nel buio
Un cane che scende
Sotto una pallida luna.
Il tempo dei poveri non cambia.
Le mie risposte
sono solo dei forse.
Sento ancora l'impulso
di stare abbracciata a lui
che si accoccola su di me.
Avrei voglia di stringerlo.
Salvarlo da ciò che non è riuscito a vedere.
Avrà trovato il coraggio di essere se stesso?
Un'altra domanda a cui rispondo forse,
guardandomi allo specchio.
Nugoli di parole
paion polvere
nella mia anima scomposta...
Una sonata macabra
è questo trillo
che afferra e distrugge
e ferisce,
e di nuovo lacera
quel che resta del sé.
Non esiste alcun sapore, odore o tepore
che possa contrastare
questo cupo canto di te
morte,
compagna dei miei sensi,
vita sfrontata,
puttana!
Chino il capo vinta...
Fredde catene di niente
ci legano,
in un abisso senza fondo
si consuma la mia follia.
Vorrei vorrei essere un gabbiano
per volare lontano
vorrei, vorrei essere una farfalla
per volare sulla tua spalla
vorrei, vorrei essere una stella
per essere la più bella.
Viaggiavo come un relitto nel mare in tempesta.
nessun'isola all'orizzonte
nessuna nave che incrociasse la mia rotta.
La salsedine mi dilaniava la carne
gli occhi ridotti a due fessure e le labbra screpolate
e sanguinanti.
Dio, non immaginavo fosse così difficile morire.
Non potevo sapere che il mio corpo,
con inaudito accanimento, potesse
lottare così strenuamente per vivere.
Ma non sarebbe durata a lungo l'agonia.
Già, in lontananza, mi parve di scorgere dei volti.
O erano semplicemente nubi
venute a ghermirmi.
Fradicio era il cuscino quando
mi svegliai d'improvviso.
Tumultuoso il mio cuore quando
mi girai sul fianco.
E tu eri lì.
Tu, la mia isola deserta
Tu, la mia nave venuta in soccorso
Tu, che mi hai ridato la vita.
Non seppi mai il suo nome
né il tempo le concesse l'attimo
di darmi l'anima e non il corpo
di sciogliere le labbra nelle mie.
Notte di un'estate inquieta
pregna di oblio, desideri e umori
maledetta ed arida quanto basta
per essere preda dei propri amori,
fu l'aria che saliva dalla valle,
respiro denso di resina a fronde
soffio inquieto che girava in tondo
nell'aurea danza della vita,
fu la luce fioca ed il silenzio
il mare calmo a far da sfondo
la sua carne debole... eccitante
lo sguardo sempre più profondo.
Non seppi mai il suo nome,
...e lei neppure chiese il mio
forse fu così che in fondo
non ci fu nemmeno il tempo dell'addio.
Il coriandolo è un coso impertinente
che approfitta di tutte le occasioni,
del risvolto nel fondo dei calzoni,
d'una bocca socchiusa e sorridente.
S'appiccica, s'insinua, s'introduce
anche colà dove non giunge luce
e per provar che manca di rispetto
quando ti svegli te lo ritrovi a letto.
Sono nata al sud
dopo mezzogiorno
quando la luce
è calda,
esagerata,
ed il mare esala
anche dai muri,
dalla strada.
Sono nata il 17 agosto,
anzi, il 18.
Così volle mio padre,
per amore,
mutare il giorno
infausto,
la mia data.
Da allora,
acconto a me,
respira sempre
un'altra.
Ed io,
dall'una passo
all'altra.
E più non so
chi sono io
che passo.
Davanti a te immobile
in attesa di un tuo cenno,
occhi fissi in occhi splendidi
si nutrono della tua bellezza.
Davanti a te immobile
aspetta fremente un uomo,
la ricerca del contatto
per trasmetterti questa sensazione.
Davanti a te sta nascendo
la nuova vita di un uomo,
riparto costruendo da zero
nuovi sentieri che portano a te.
Impotente e rigido ogni muscolo vorrebbe sfiorarti,
i tuoi occhi trasmettono un profondo bisogno d'amore,
davanti a te apprezzando questo sentore,
brucio finché del mio amore vorrai nutrirti.