Recitami con la lingua le parole liquide di saliva e sapori, il retrogusto di un sussurro, l'intensità dell'acido che diviene dolce ed inondami di pura poesia profana che mi renda legittima protagonista dei tuoi componimenti perché le tue dita rimino al contatto con la mia pelle e che i miei ricci diventino desinenza emotiva, il cuore sdrucciolo ed il desiderio metafora di noi.
In te, potrò dirmi guarita. In me, potrai dirti salvato. Sul filo delle bocche in punta di dita flessi nell'arco d'eterno battezzarci di nuova vita nel nodo dei corpi guarnirci di pelle l'uno, l'altro.
Ho un eccesso d'anima pericoloso che rigurgita da cartilagini e giunture stringe sui gomiti e strozza l'aria per fuoriuscire come in una gravidanza desiderata che mette a frutto il frutto e vede molto e sente intenso ed usa il silenzio per dire troppo e rifiuta per accettare e muore per vivere e striscia per riposare ché non gli è concessa tregua se non il finire.
Baciami le labbra e leggimi l'origine delle poesie versi malinconici sulla saliva bevimi per comprendermi fingere di morire e scoppiarmi e morirmi davvero addormentati e restami in un angolo rotondo risalimi lungo la lana dei capelli copriti il collo delle trecce sfatte teniamoci strette le tracce addosso
Sa d'essenza di fresie la stanza buia e la notte scura dei rossi respiri frangere fioco riverbero esterno come di luna che scruta le seriche pelli sgualcite dalle mani fameliche dal fiato affannato al respirare placato stanco lento costante fino al giorno.
Come un'ustione sulla pelle fresca violata secca a cospargermi sale è una rapina d'essenza la tua mano ché prendermi o lasciarmi ora mi deprederebbero in egual modo da che la perdita è mia e di questa mia vita che ti si concede immolata in sacrificio.
Non portatemi dei fiori ma portatemi dai fiori e raccoglietemi i petali da questa nudità sfrontata
Ho steli brulli e spine acuminate e delle corolle ho un ricordo lucente in mente una rossa vivacità d'altri tempi la superbia frusciante al passo per i campi, tra l'erba che i gladioli sferravano la spada in in difesa ed i tulipani chinavano il capo
Tra le cose invocate strenua voce ed il richiamo eco lontana nel segno del comando in risposta ubbidiente imprimo la mia Maestà nella corona della tua testa ed abdico l'urlo tra la vittoria e la resa.
Scorgimi questa mia friabilità sfasciata al centro della schiena come se le vertebre fossero falde di fiume alzate da soffi scheletrici di vento e spinta di mareggiata convergere d'un tratto nell'orizzonte di carne
Fare del mio dito, il tuo dito le mie sensazioni come fossero le tue indotte provocate masturbate appena sul pensiero di te.
Se m'entrassi dentro agli occhi troveresti il calco del tuo nome inciso sulle cornee a riflettere le iridi che catturano colori e le pupille ladre che tatuano e generano crosta di memoria _t'accosterei al rosso d'un bruciore al vermiglio della ferita che s'apre e mi passeresti per l'insano trasfigurato - dentro e fuori - congestionarmi di peccato.
In punta di voce di una pronuncia timida lingua al palato - ricordo della tua bocca - t'ingoio in un pensiero duro che sconfina i miei argini privati di cui non ti curi penetrandomi in segno di comando i miei rifiuti ciechi