Le braccia sono troppo brevi quando tento di chiuderti nel petto, ma gli odori sono intensi quando la stretta si fa salda e guizzi dai miei resti di vita che domini come fossi tu l'unica essenza a generarla
Perle di sudore grumi di lividi mi lasci impronta del tuo costato lungo le mie vertebre.
Ci sono strisce di dolore unirsi e fili legarsi in nodo strozzato ché a mangiare pane e lacrime resta il morso sospeso in gola a strangolarti come se il tormento divenisse cappio e la resa il suo suicidio.
Quando a toccarmi è l'ineffabile fragranza che si sminuzza in polvere davanti alle ciglia che il controluce accentua imprigionata nel fascio d'un raggio penetrante oltre il vetro oltre il vero ché forse nulla è reale neanche gli occhi che vedono né i pori che sudano né il tremore del nervo attaccato ai capelli |che lesta una forbice appare mannaia| dovrei allora credere che la tua voce non sia la tua voce e che la mia paura non sia la mia paura.
S'attendo il dolore della tua mano come artiglio sventrarmi di passione e darmi ulcera tra la gola ed il sesso che m'attraversi verticale tranciandomi il soffio e se mi durasse la sopportazione martirizzerei il mio nome nella data del tuo possesso celebrandomi nella reliquia del tuo seme che mi benedice.
Sii lama in aria a carpire il volo d'ali di stoffa piume trasmutarsi da bianco in rosso tinteggiare il sacro abbraccio colarlo denso gocciolante tra i seni e vibrare di paura tra le cosce Poverissimo diniego tremante tregua folle resa.
Con te comincio dallo straripante senso dell'eterno d'un sentire moltitudine e l'eco grandiosa che in urlo formidabile partorisce i suoni delle nostre voci ed il fracasso di quando pelle e pelle s'uniscono in schianto e fragore e spilli di cielo scendono fittamente e trapuntano parti di noi - crune attraversate da arterie farsi filo - e da che dirci divisi, adesso, farci interi e mai più scissi ché l'unico strappo è la stretta meno ferma.
Quando mi piovi addosso e non mi riparo e mi stacco più pelle per lasciar spazio alla tua e non mi bagni ma sei arsura ma non mi crei crepa ma mi inumidisci si squarcia anche l'aria e riusciamo a percuotere il vento per riempirci di tutte le atmosfere e divenire smisurati.
Seminami i tuoni rauca voce bruciami con la folgore e che il mio ventre ti sia cielo in questa nera notte più dei miei capelli che raccogli in una bracciata annodandoti le dita Fammi salva l'anima non con la parola ma con la mano ferma Mi dico in te compiuta nel sentire devastante dilatate pupille anche sulla pelle.
Rintanata in ogni tuo pezzo, chimerica difronte alle tue visioni, angoli di notte sciacquarsi in aurora nella forza delle tue mani. E ti sono l'unica terra che guardi con la testa alzata, ché il cielo assume la mia forma ed a calpestare astri ti sembra d'esserti nell'abbraccio.