Claudicante. A zoppicare sulle arterie espandersi in diastole e tramortire in vene strozzate ché il terrore - il tremore - stringe e fa pugno chiuso e saldo nel fervere ansioso poi aprirsi ed accorgersi d'aver trattenuto mosche pensare fossero falene poi mutarsi in api e subirne il pungiglione infetto e quando ci saranno piume a carezzarlo ritrarsi sarà un attimo con lo scatto dell'anticipo e la fuga del sapere come va a finire ché ciò che ha sofferto conosce solo la sofferenza e l'impotenza s'apprende in perenne sistole tra ventricoli appestati ed atri contaminati _crocevia di valvole secernenti veleno.
Ho luoghi dispersi in me diffusa sfumata dai contorni frastagliati come una costa mi riverso in un mare interiore ch'è tempesta e morte di vascelli che s'imbattono nelle mie acque straripo nel tumulto dell'onda più alta inghiottita tra le mie braccia in_difesa.
Ho albe che sono più buie dei miei tramonti ché i rintocchi che fan spazio alla luce mi tagliano adiacente all'inquietudine perpendicolare alle mie solitudini imposte lasciandomi espressioni disabitate di fragile donna curva di spalle e colpita tra gli anelli delle vertebre che a stento mi sorreggono scheletrica mi faccio carne e polpa tra le tue mani ché sei l'unica notte che m'avvolge da dietro senza percosse strenua carezza pronta a lambirmi d'assoluto.
Se mi scoppiasse nel petto il senso dell'immenso angelicato e di scheggia di luce squamassi la mia pelle a generare corazza di nuova purezza e rifarmi vita attraverso un parto sacro di madonna prescelta - ed io nuova Maddalena - disperderei i profumi spurgati di giglio all'altezza dei polsi impregnerei di gelsomino i seni e calle ad ornarmi i polpastrelli per evaporare d'ogni essenza ed il mio passo con la robusta caviglia calcherei sul bianco della terra generato da un cielo che cade a pezzi bianchi ibernando di forza fredda le mie vene e decantando il nuovo sangue come mosto novello in calici di pensiero vivo acini schiacciati d'un passato di morte vendemmia di nuovo nettare dissetare la gola arsa.
Mando via chi odia la mia notte infinita rifuggo io stessa calpesto le orbite di chi mi cerca la luce tagliandomi a metà in cerca di soffi spiragli spifferi ché non s'addomestica la mia natura non si domina la si abbraccia in manto guaina a fasciarmi diventarmi artiglio e smembrarmi separarmi il dolore dal dolore a farne due risiedermi tra le ossa e la carne e tu appollaiato sulle croste.
Mi appartiene il mare e la tempesta che colpisce alle spalle ed una trasfigurazione che muta in essenza spettrale le emozioni mie umane ché d'esser provate m'è privato ed il desiderio mi rimane tramortito muto nel segno del cordoglio di una passione ammazzata.
Mendico l'ultima mia forma l'indomito il coraggio l'anticipo del fiato sulla lunga corsa che lascia l'affanno e la spossatezza lo stremo d'ogni forza e giungo all'orlo sul baratro lo strapiombo in cui mi precipito anelito di sommità.
Ho lo sguardo del tramonto ora il capo chino verso un sole morente un commiato d'anima irrorata di rosso nell'insenatura - tra i seni - e l'ombra che vi s'apre in mezzo tra il cardio ed i polmoni che si nutre di gocce intrappolate in aria d'una pioggia di pianto improvviso e s'attacca e penetra e produce l'odore di pelle bagnata nel crepuscolare sentire
Ho da donarti costellazioni profili di luna terreni d'astri una supernova e la scia degli ultimi bagliori di ciò che si pensi stia cadendo invece risorge luminescente squarciando il buio spaccando il cuore roteando in magnificenza
Notti e giorni fondersi in tempo unico fremito d'un respiro battito mancato.
Ho da donarti costellazioni profili di luna terreni d'astri una supernova e la scia degli ultimi bagliori di ciò che si pensi stia cadendo invece risorge luminescente squarciando il buio spaccando il cuore roteando in magnificenza Notti e giorni fondersi in tempo unico fremito d'un respiro battito mancato.