Ogni mattina allo spuntare del giorno, all'apparire dell'attesa aurora sorgesse il sole o spirasse bora * o ch'estate fosse o piovoso inverno
senz'alcun'indugio al campicello sperando mettere qualcosa nel paniere t'incamminavi per la ricerca giornaliera, con chissà qual'altri pensieri nel cervello:
Quante volte, però' fu la ricerca vana, quante volte il ritorno fu triste e deluso che vuota fu la cerca quotidiana e altro giorno in fame s'è concluso.
Nel desolato teterrimo abituro, sfumata la speranza del mattino tutt'intorno t'appariva ancor più scuro ma la speranza non avea confino.
In quegl'anni di epidemica carestia puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa. Povera in tutto, o nonna, io nol capia perciò lo cuore me lo stringe morsa.
Grande, se solo poco avessi riflettuto t'avrei qualche sospiro, forse, lenito. nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto! Il rimorso mi rode all'infinito.
Se maggiore serenità avessi avuto tant'altre idee avrei su carta impresso. Ma lo star quieto, disteso e spensierato non son cose che l'io detiene in dote: sono gli altri, se sensibili e veraci, rendere l'uomo in posizion di quiete. Ma se caparbi, capricciosi e infidi la mente di color che stanno a tiro triste la fanno e di pensiero priva.
Sol d'amarezza abbonda l'esistenza giacché ogni dì travalica in sconvenienza, il tuo distacco, la tua alterigia dogliosa rendemi l'alma e molto bigia. Io ti perdono per le offese avute E tante, tante n, ho dimenticate Ma l'alma in duolo tutta, tutta brucia E pace non si dà per la persa fiducia. Soltanto il tempo ch'è maestro in tutto Cancellare può del male il nato frutto All'anima donando la perduta pace E facendo sì che finalmente tace. La mente si domanda e non risponde, si sforza, si contorce e non comprende qual è il motivo di tale noncuranza allo troncare della gran buon'usanza. Il filo che ci unisce resta sottile Forte, però, dello stesso ovile Ove restammo cellule viventi, embrioni e, indi, feti palpitanti. Mai zuffa fu, mai paroloni furo, affetti ci avvolgeva vero e puro quando raccolti accanto al focolare le fiabe si restava ad ascoltare. Di botto, al male forte t'aggrappasti E dal bene con furia ti scostasti Donando all'infestante erba ristoro Preferendola al sempre verde alloro.
L'esempio di Giuda a fondo seguitasti Svendendomi come fece egli di Cristo. Fu vile egli per pochi sporchi denari Tu, corrosa dal verme degl'avari. Se alcuno ti domanda di tale scenario Rispondi che regista sei di tal calvario E ribadisci essere causa prima e degl'intrighi e della persa stima. Se, poi, tincalza per la stolidezza Rispondi: Causa ricamo è su una pezza.
Solo mi sento e desolato pure dacché a mancare mi vennero le cure di quanti nutro affetto e amore puro e dall'or lo tempo m'è amaro e duro.
I vecchi affetti tutti in cor li tengo, spiritualmente tutti a me li stringo che se puranco, son fuggiti via parte son sempre della carne mia
Di mamma l'immago tengo avanti che mi consola per i tanti assenti; papà mi dice col sorriso mesto sii negl'affetti ognora vigile e lesto.
Ma anche stamane mi fui ancor deluso notando al fratel mio lo cuore chiuso giacché incontrato accennai un sorriso ma lui restassi fermo e tetro in viso.
Allor bruciommi il petto tutto quanto e mesto restommi e deluso alquanto poiché l'alma si ravvivò al tormento ed ogni speme persi in quel momento.
La voce mi venne dell'amata Mamma che muta sussurrommi flemma, flemma: non dare peso a quanto capitato, sia il fratello ch'ai da sempre amato.
Fulgido fiore al pari di violetta Candida più del candor di giglio, profumatissima qual fiore di tiglio; e tant'altre qualità hai pargoletta.
Quanto profumo e qual da giovinetta Custodirai nel tuo diletto petto? Quanti steli piegheranno al tuo cospetto Se già cotanta ricchezza hai piccoletta!?
Se in terra ubertosa è allignato Querciolo che sviluppa dritto e robusto Qual in altro terreno può dirsi arbusto Meglio o al par di quello là maturato?
In fronte a esso ognun s'affloscia E reggere non può al suo cospetto Chè se un arbusto già splendido nasce Già tutte qualità racchiude in petto.
Scarso è lo mio dir per te, o bella Ilenia, perché dire di splendida Stella Non può chiunque a tavolo s'accosta Ma chi ha cervello assai e niente crosta.
Di Preziosissime pietre adorni, due gioielli di platino con arte di divin mano forgiati, che mai ad umano concesso fu far sì belli ad altro, di men preziosità, furo affiancati. Alfin che in scrigno, come in corpo anima, li custodisse al par di reliquie di beati essi, cui alto valore dato non è far stima, ad orafo in cura furono affidati.
Fu l'orafo, ahimè, turbato dal Maligno che con fare suasivo quanto loquace dire a distruggere i preziosi del pregiato scrigno lo spinge e la ricchezza nel fango fa finire. Come voce umana sotto palazzi sgretolati miste a pianto e suppliche infinite due voci s'alzano a lamenti tormentati, per l'azione ricevuta, inorridite.
Sono le voci di due rondinini ch'assistono dolenti al frantumarsi del lor caldo nido di Dio, la sua pietà, piangendo implorano: Non trasportarci, no! in altro estraneo lido. All'esile filo della speranza appesi col cuore in gola, con la voce spenta, sconfitti, feriti, stressati, offesi e vilipesi pietà, oh Dio, pietà! Perché ci vuoi trafitti?
In un angolo remoto sono due stanche latte che il satanasso a calci e appulsi precipita in un fosso i cuori infranti, le costole rotte; mortificata ognuna, sì, ma non stizzita a sera lo guardo triste volgono al Ciel beato col pianto in cuore, col perdono in mente pregano alfin che l'orafo nel baratro calato al nido piagnucolante torni, serenamente.