Quasi fuori dal cielo ormeggia tra due montagne la metà della luna. Roteante, vagabonda notte, quella che scava gli occhi. Chissà quante stelle triturate nella pozzanghera! Fa una croce a lutto tra le mie ciglia, fugge. Fucina di metalli azzurri, notti di lotte silenziose, il mio cuore gira come un volano impazzito. Bimba venuta da lontano, da tanto lontano qui condotta, folgora a volte il suo sguardo sotto il cielo. Piagnisteo, tempesta, mulinello di furia, incrocia sul mio cuore senza fermarti. Vento dei sepolcri, travolge, distruggi disperdi la tua radice sonnolenta. Sradica i grandi alberi sulla sua opposta riva. Eppure tu, bimba chiara, domanda di fumo, spiga. Era colei che formava il vento con foglie brillanti. Oltre le montagne notturne, giglio bianco d'incendio, oh nulla posso dire! Era fatta di tutte le cose. Angoscia che mi hai aperto il petto a coltellate, è ora di seguire un'altra strada, dove lei non sorrida.
Temporale che ha sepolto le campane, torbido fermento di burrasche perché toccarla ora, perché intristirla?
Ah seguire il cammino che si allontana da tutto, dove non stia già aspettando l'angoscia, la morte, l'inverno con i suoi occhi tra la rugiada.
Se il mondo va alla malora non è solo colpa degli uomini. Così diceva una svampita pipando una granita col chalumeau al Cafè de Paris. Non so chi fosse. A volte il Genio è quasi una cosa da nulla, un colpo di tosse.
"Addormentarsi adesso svegliarsi tra cento anni, amor mio..."
"No, non sono un disertore. Del resto, il mio secolo non mi fa paura il mio secolo pieno di miserie e di scandali il mio secolo coraggioso grande ed eroico. Non ho mai rimpianto d'esser venuto al mondo troppo presto sono del ventesimo secolo e ne son fiero. Mi basta esser là dove sono, tra i nostri, e battermi per un mondo nuovo..." "Tra cento anni, amor mio..." "No, prima e malgrado tutto. Il mio secolo che muore e rinasce il mio secolo i cui ultimi giorni saranno belli la mia terribile notte lacerata dai gridi dell'alba il mio secolo splenderà di sole, amor mio come i tuoi occhi..."
Un'orchestra sinfonica. Scoppia un temporale, stanno suonando un'ouverture di Wagner la gente lascia i posti sotto gli alberi e si precipita nel padiglione le donne ridendo, gli uomini ostentatamente calmi, sigarette bagnate che si buttano via, Wagner continua a suonare, e poi sono tutti al coperto. Vengono persino gli uccelli dagli alberi ed entrano nel padiglione e poi c'è la Rapsodia Ungherese n. 2 di Lizst, e piove ancora, ma guarda, un uomo seduto sotto la pioggia in ascolto. Il pubblico lo nota. Si voltano a guardare. L'orchestra bada agli affari suoi. L'uomo siede nella notte nella pioggia, in ascolto. Deve avere qualcosa che non va, no? È venuto a sentire la musica.
Che puro gioco di lampi sottili consuma ogni diamante d'impalpabile schiuma, e quanta pace che sia nata sembra; quando sopra l'abisso un sole posa, opere schiette d'una causa eterna, scintilla il tempo e il sogno è conoscenza.
Giochi ogni giorno con la luce dell'universo. Sottile visitstrice, giungi nel fiore e nell'acqua. Sei più di questa bianca testina che stringo come un grapolo tra le mie mani ogni giorno.
A nessuno rassomigli da che ti amo. Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle. Chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud? Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.
Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa. Il cielo è una rete colma di pesci cupi. Qui vengono a finire i venti, tutti. La pioggia si denuda.
Passano fuggendo gli uccelli. Il vento. Il vento. Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini. Il temporale solleva in turbine foglie oscure e scioglie tutte le barche che iersera s'ancorarono al cielo.
Tu sei qui. Ah tu non fuggi. Tu mi risponderai fino all'ulitmo grido. Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura. Tuttavia qualche volta corse un'ombra strana nei tuoi occhi.
Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli, ed hai persino i seni profumati. Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Quanto ti sarà costato abituarti a me, alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano. Abbiamo visto ardere tante volte l'astro baciandoci gli occhi e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.
Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti. Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata. Ti credo persino padrona dell'universo. Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues, nocciole oscure, e ceste silvestri di baci. Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi.
Laggiù, nella notte, tra scosse d'un lento sonaglio, uno scalpito è fermo. Non anco son rosse le cime dell'Alpi. Nel cielo d'un languido azzurro, le stelle si sbiancano appena: si sente un confuso sussurro nell'aria serena. Chi passa per tacite strade? Chi parla da tacite soglie? Nessuno. È la guazza che cade sopr'aride foglie. Si parte, ch'è ora, né giorno, sbarrando le vane pupille; si parte tra un murmure intorno di piccole stille. In mezzo alle tenebre sole, qualcuna riluce un minuto; riflette il tuo Sole, o mio Sole; poi cade: ha veduto.
Una volta mi dissero che l'amore dei gabbiani, come quello degli alcioni, dura a lungo, spesso per tutta una vita. Infatti i pescatori a volte trovano sulla sabbia i loro corpi senza vita, a due alla volta mai soli. Volano per l'ultima volta sulla riva solitaria per morire insieme.
Già mi parla l'autunno. Al davanzale buio, tacendo, ascolto i miei pensieri piegarsi sotto il vento occidentale che scroscia sulle foglie dei miei neri alberi solo vivi nella notte. Poi mi chiudo nel letto. E mi saluta il canto di un ragazzo che la notte, immite, alleva: la vita non muta.