Che puro gioco di lampi sottili consuma ogni diamante d'impalpabile schiuma, e quanta pace che sia nata sembra; quando sopra l'abisso un sole posa, opere schiette d'una causa eterna, scintilla il tempo e il sogno è conoscenza.
Morire come le allodole assetate sul miraggio O come la quaglia passato il mare nei primi cespugli perché di volare non ha più voglia Ma non vivere di lamento come un cardellino accecato.
Giochi ogni giorno con la luce dell'universo. Sottile visitstrice, giungi nel fiore e nell'acqua. Sei più di questa bianca testina che stringo come un grapolo tra le mie mani ogni giorno.
A nessuno rassomigli da che ti amo. Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle. Chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud? Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.
Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa. Il cielo è una rete colma di pesci cupi. Qui vengono a finire i venti, tutti. La pioggia si denuda.
Passano fuggendo gli uccelli. Il vento. Il vento. Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini. Il temporale solleva in turbine foglie oscure e scioglie tutte le barche che iersera s'ancorarono al cielo.
Tu sei qui. Ah tu non fuggi. Tu mi risponderai fino all'ulitmo grido. Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura. Tuttavia qualche volta corse un'ombra strana nei tuoi occhi.
Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli, ed hai persino i seni profumati. Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Quanto ti sarà costato abituarti a me, alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano. Abbiamo visto ardere tante volte l'astro baciandoci gli occhi e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.
Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti. Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata. Ti credo persino padrona dell'universo. Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues, nocciole oscure, e ceste silvestri di baci. Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi.
A digiuno sperduta assiderata Tutta sola senza un soldo Ferma in piedi una ragazza Età sedici anni In Piace de la Concorde Il quindici agosto a mezzogiorno.
Laggiù, nella notte, tra scosse d'un lento sonaglio, uno scalpito è fermo. Non anco son rosse le cime dell'Alpi. Nel cielo d'un languido azzurro, le stelle si sbiancano appena: si sente un confuso sussurro nell'aria serena. Chi passa per tacite strade? Chi parla da tacite soglie? Nessuno. È la guazza che cade sopr'aride foglie. Si parte, ch'è ora, né giorno, sbarrando le vane pupille; si parte tra un murmure intorno di piccole stille. In mezzo alle tenebre sole, qualcuna riluce un minuto; riflette il tuo Sole, o mio Sole; poi cade: ha veduto.
Posa il capo assopito, amore mio, umano sul mio braccio senza fede; tempo e febbri avvampino e cancelliano ogni bellezza individuale, via dai bambini pensosi, e poi la tomba attesta che effimero è il bambino: ma finch'è spunti il giorno mi rimanga tra le braccia la viva creatura, mortale sì, colpevole, eppure per me il bello nella sua interezza.
Anima e corpo non hanno confini: agli amanti che giacciono sul suo tollerante declivio incantato in preda al deliquio ricorrente, solenne la visione manda Venere di soprannaturale armonia, di universale amore e speranza; mentre un'astratta intuizione accende, in mezzo ai ghiacciai e fra le rupi, dell'eremita l'estasi carnale.
Passano sicurezze e fedeltà allo scoccare della mezzanotte come le vibrazioni di campana, e forsennati alla moda lanciano il loro pedantesco, uggioso grido: il costo fino all'ultimo centesimo - sta scritto in tutte le temute carte - andrà pagato, ma da questa notte non un solo bisbiglio, nè un pensiero, non un bacio o uno sguardo sia perduto.
Bellezza muore, e mezzanotte, ed estasi: che i venti dell'alba, mentre lievi spirano intorno al tuo capo sognante, mostrino un giorno di accoglienza tale che occhio e cuore pulsino e gioiscano, paghi di un mondo, il nostro, che è mortale; meriggi di arsura ti ritrovino nutrito dei poteri involontari, notti di oltraggio ti lascino andare sorvegliato da ogni umano amore.
Le mie mani aprono la cortina del tuo essere ti vestono con altra nudità scoprono i corpi del tuo corpo le mie mani inventano un altro corpo al tuo corpo.
Già mi parla l'autunno. Al davanzale buio, tacendo, ascolto i miei pensieri piegarsi sotto il vento occidentale che scroscia sulle foglie dei miei neri alberi solo vivi nella notte. Poi mi chiudo nel letto. E mi saluta il canto di un ragazzo che la notte, immite, alleva: la vita non muta.
Ma non perciò nel disdegnoso petto d'Argante vien l'ardire o 'l furor manco, benché suo foco in lui non spiri Aletto, né flagello infernal gli sferzi il fianco. Rota il ferro crudel ove è più stretto e più calcato insieme il popol franco; miete i vili e i potenti, e i più sublimi e i più superbi capi adegua a gli imi.