Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Allegria di naufragi
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.
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E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.
In pena per un cielo infranto
per la pioggia che ci bagnerà
vado pensando alla gioia grande
che se vorremo ci prenderà.
Tra dovere ed inquietudine
esita quasta vita rude.
(È una molto grande pena
confessarlo, ora)
Qui ogni cosa odora d'erba.
Su tutto il cielo, in cielo, il volo delle rondini
ci distrae, ci fa pensare...
Io penso una speranza quieta.
Guido, ì vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio.
Sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come ì credo che saremmo noi.
Ecco il genio umanitario
che del mondo stazionario
unge le carrucole.
Per finir la vecchia lite
tra noi, bestie incivilite
sempre un po' selvatiche,
coll'idea d'essere Orfeo
vuoi mestare in un cibreo
l'universo e reliqua.
Al ronzio di quella lira
ci uniremo, gira gira,
tutti in un gomitolo.
Varietà d'usi e di clima
le son fisime di prima;
è mutata l'aria.
I deserti, i monti, i mari,
son confini da lunari,
sogni di geografi.
Col vapore e coi palloni troveremo gli scorcioni
anco nelle nuvole;
ogni tanto, se ci pare,
scapperemo a desinare
sotto, qui agli antipodi;
e né gemini emisferi
ci uniremo bianchi e neri:
bene! Che bei posteri!
Nascerà di cani e gatti
una razza di mulatti
proprio in corpo e in anima.
La scacchiera d'Arlecchino
sarà il nostro figurino,
simbolo dell'indole.
(Già per questo il Gran Sultano
fé' la giubba al Mussulmano
a coda di rondine!)
Bel gabbione di fratelli!
Di tirarci pè capelli
smetteremo all'ultimo.
Sarà inutile il cannone;
rnorirem d'indigestione,
anzi di nullaggine.
La fiaccona generale
per la storia universale
farà molto comodo.
Io non so se il regno umano
deve aver Papa e Sovrano:
ma se ci hanno a essere,
Il Monarca sarà probo
e discreto: un re del globo
saprà star né limiti.
Ed il capo della fede?
Consoliamoci, si crede
che sarà cattolico.
Finirà, se Dio lo vuole,
questa guerra di parole,
guerra da pettegoli.
Finirà: sarà parlata
una lingua mescolata,
tutta frasi aeree;
e già già da certi tali
nei poemi e nei giornali
si comincia a scriverè.
Il puntiglio discortese
di tener dal suo paese,
sparirà tra gli uomini.
Lo chez-nous'd'un vagabondo
vorrà dire: in questo mondo,
non a casa al diavolo.
Tu, gelosa ipocondria,
che m'inchiodi a casa mia,
escimi dal fegato;
e tu pur chetati, o Musa,
che mi secchi colla scusa
dell'amor di patria.
Son figliuol dell'universo,
e mi sembra tempo perso
scriver per l'Italia.
Cari miei concittadini,
non prendiamo per confini
l'Alpi e la Sicilia.
S'ha da star qui rattrappiti
sul terren che ci ha nutriti?
O che siamo cavoli?
Qua e là nascere adesso,
figuratevi, è lo stesso:
io mi credo Tartaro.
Perché far razza tra noi?
Non è scrupolo da voi:
abbracciamo i barbari!
Un pensier cosmopolita
ci moltiplichi la vita,
e ci slarghi il cranio.
Il cuor nostro accartocciato,
nel sentirsi dilatato,
cesserà di battere.
Così sia: certe battute
fanno male alla salute;
ci è da dare in tisico.
Su venite, io sto per uno;
son di tutti e di nessuno;
non mi vò confondere.
Nella gran cittadinanza,
picchia e mena, ho la speranza
di veder le scimmie
Sì sì, tutto un zibaldone:
alla barba di Platone
ecco la repubblica!
Tra ciò che vedo e dico,
tra ciò che dico e taccio,
tra ciò che taccio e sogno,
tra ciò che sogno e scordo,
la poesia.
Scivola
tra il sì e il no:
dice
ciò che taccio,
tace
ciò che dico,
sogna
ciò che scordo.
Non è un dire:
è un fare.
È un fare
che è un dire.
La poesia
si dice e si ode:
è reale.
E appena dico
è reale,
si dissipa.
È più reale, così?
Come è triste la carne... E ho letto tutti i libri!
Fuggire! Laggiù fuggire! Ho udito il canto degli uccelli ebbri tra l'ignota schiuma e i cieli.
Nulla, neppure gli antichi giardini riflessi negli occhi,
Potrà Trattenere il mio cuore che si immerge nel mare.
O notti! Neppure il deserto chiarore della mia lampada
Sul foglio ancora intatto, difeso dal suo chiarore,
E neppure la giovane donna che nutre il suo bambino.
Partirò! Nave che culli le tue vele
Leva l'ancora verso un'esotica natura!
Una Noia crede ancora, desolata da speranze crudeli, ai fazzoletti agitati nell'ultimo addio.
E forse gli alberi che attirano la tempesta
il vento farà inclinare sui naufragi
Perduti, senz'alberi, lontani da fertili isole...
Ma ascolta, mio cuore mio, il canto dei marinai!
Coi ginocchi piegati
sul primo dei tre gradini dell'Altare,
Dio dell'innocenza
io Ti chiedo al mio amplesso.
Non tarderanno a sorprendermi
braccia d'incensi mistici ondeggianti
al sommo delle mie chiaroveggenze.
Né mancheranno i grappoli nevosi
delle Tue leggiadrissime abbondanze
al mio secco palato.
Ti vedo, Estasi ripida dell'oro,
flusso di gemma alzata all'agonia:
Il Tuo Unico Senso
occhieggia misterioso e ineluttabile
dietro cieca persiana.
E Ti canto in segreto
spiccando gigli e spade dalla gola
ch'esita a rivelarsi
in tutta la sua ampiezza prodigiosa.
Ah, Dio dei miei miracoli segreti:
vengo a nutrire della mia presenza
il seme di Misura
che m'appartiene e indugia nel Tuo palmo.
Quando germoglierà la mia Figura?
Amore e 'l cor gentil sono una cosa,
sì come il saggio in suo dittare pone,
e così esser l'un sanza l'altro osa
com'alma razional sanza ragione.
Falli natura quand'è amorosa,
Amor per sire e 'l cor per sua magione,
dentro la qual dormendo si riposa
talvolta poca e tal lunga stagione.
Bieltate appare in saggia donna pui,
che piace a li occhi sì, che dentro al core
nasce un disio de la cosa piacente;
e tanto dura talora in costui,
che fa svegliar lo spirito d'Amore.
E simil face in donna omo valente.
Ogni parte aspira sempre
a congiungersi con l'intero
per sfuggire all'imperfezione;
L'anima sempre aspira
ad abitare un corpo
perché senza gli organi corporei
non può agire ne sentire.
Essa funziona dentro il corpo
come fa il vento
dentro le canne di un organo,
se una delle canne si guasta
il vento non produce più il giusto suono.
Apro la sigaretta
come fosse una foglia di tabacco
e aspiro avidamente
l'assenza della tua vita.
È così bello sentirti fuori,
desideroso di vedermi
e non mai ascoltato.
Sono crudele, lo so,
ma il gergo dei poeti è questo:
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio.