L'acqua frusciava, l'acqua cresceva, un pescatore stava sulla riva, tranquillo, intento solo alla sua lenza, ed era tutto freddo, anche nel cuore. E mentre siede e ascolta, si apre la corrente: dall'acqua smossa affiora una donna grondante. A lui essa cantava, a lui parlava: "Perché tu attiri con astuzia umana, con umana malizia, la mia specie su alla luce che la ucciderà? Ah, se sapessi come son felici i miei piccoli pesci là sul fondo, anche tu scenderesti, come sei, e solo là ti sentiresti sano. Non si ristora forse il dolce sole nel mare, e così anche la luna? Il loro volto, respirando l'onda, non risale più bello? Non ti alletta il cielo profondo, l'azzurro che nell'acqua trascolora? E il tuo volto stesso non ti chiama quaggiù, nell'immutabile rugiada? ". L'acqua frusciava l'acqua cresceva, e a lui lambiva il piede. Il cuore si gonfiò di nostalgia, come al saluto della sua amata. A lui essa cantava, a lui parlava, e per lui fu finita: un po' lei lo attirava, un po' lui scese, e non fu più veduto.
Non vidi mai differenza tra il giocare a carte per denaro e il vendere beni immobili o occuparsi di legge, di banca, di qualunque altra cosa. Perché tutto quanto è caso. Nondimeno c'è un uomo in gamba negli affari? Quello "vede", davanti ai Re!
Bimba bruna e agile, il sole che fa la frutta, quello che rassoda il grano, quello che piega le alghe, ha fatto il tuo corpo allegro, i tuoi occhi luminosi e la tua bocca che ha il sorriso dell'acqua.
Un sole nero e ansioso ti si arrotola nei fili della nera capigliatura, quando stendi le braccia. Tu giochi col sole come un ruscello e lui ti lascia negli occhi due pozze oscure.
Bimba bruna e agile, nulla mi avvicina a te. Tutto da te mi allontana, come dal mezzogiorno. Sei la delirante gioventù dell'ape, l'ebbrezza dell'onda, la forza della spiga.
Il mio cuore cupo ti cerca, tuttavia, e amo il tuo corpo allegro, la tua voce sciolta e sottile. Farfalla bruna dolce e definitiva come il campo dì frumento e il sole, il papavero e l'acqua.
Il vento cala e se ne va lo stesso vento non agita due volte lo stesso ramo di ciliegio gli uccelli cantano nell'albero ali che voglion volare la porta è chiusa bisogna forzarla bisogna vederti, amor mio, sia bella come te, la vita sia amica e amata come te
so che ancora non è finito il banchetto della miseria ma finirà...
Lo so: non era nella valle fonda suon che s'udìa di palafreni andanti: era l'acqua che giù dalle stillanti tegole a furia percotea la gronda. Pur via e via per l'infinita sponda passar vedevo i cavalieri erranti; scorgevo le corazze luccicanti, scorgevo l'ombra galoppar sull'onda. Cessato il vento poi, non di galoppi il suono udivo, nè vedea tremando fughe remote al dubitoso lume; ma poi solo vedevo, amici pioppi! Brusivano soave tentennando lungo la sponda del mio dolce fiume.
Lacrime dalle palpebre, dolori dei dolenti, dolori che non contano e lacrime incolori. Non chiede nulla, lui, non è insensibile, triste nella prigione e triste quand'è libero.
È un tempo tetro, è una notte nera da non mandare in giro neanche un cieco. I forti siedono, il potere è in pugno ai deboli, e in piedi è il re, vicino alla regina assisa.
Sorrisi e sospiri, insulti imputridiscono nella bocca dei muti e negli occhi dei vili. Non toccare nulla! Qui brucia, là arde; codeste mani son per le tasche e le fronti.
Un'ombra... Tutta la sciagura del mondo e il mio amore addosso come una bestia nuda.
Ha messo la sua testa il domatore nella gola del leone io ho infilato due dita solamente nel gargarozzo dell'Alta Società Ed essa non ha avuto il tempo di mordermi Anzi semplicemente urlando ha vomitato un po' della dorata bile a cui è tanto affezionata Per riuscire in questo giuoco utile e divertente Lavarsi le dita accuratamente in una pinta di buon sangue a ognuno la sua platea.
Tu così avventuroso nel mio mito, così povero sei fra le tue sponde. Non hai, ch'io veda, margine fiorito. Dove ristagni scopri cose immonde.
Pur, se ti guardo, il cor d'ansia mi stringi, o torrentello. Tutto il tuo corso è quello del mio pensiero, che tu risospingi alle origini, a tutto il fronte e il bello che in te ammiravo; e se ripenso i grossi fiumi, l'incontro con l'avverso mare, quest'acqua onde tu appena i piedi arrossi nudi a una lavandaia, la più pericolosa e la più gaia, con isole e cascate, ancor m'appare; e il poggio da cui scendi è una montagna.
Sulla tua sponda lastricata l'erba cresceva, e cresce nel ricordo sempre; sempre è d'intorno a te sabato sera; sempre ad un bimbo la sua madre austera rammenta che quest'acqua è fuggitiva, che non ritrova più la sua sorgente, né la sua riva; sempre l'ancor bella donna si attrista, e cerca la sua mano il fanciulletto, che ascoltò uno strano confronto tra la vita nostra e quella della corrente.
Ora che non mi dici niente, ora che non mi fai godere né soffrire, tu sei la consueta dei miei giorni. Assomigli ad un lago tutto uguale sotto un cielo di latta tutto uguale. Assonnato mi muovo sulla riva. Non voglio non desider, neppure penso. Mi tocco per sentir se sono. È l'essere e il non esser, come l'acqua e il cielo di quel lago si confondono. Diventa il mio dolore quel d'un altro e la vita non è né lieta né triste. T'odio, compagna assidua dei miei giorni, che alla vita non mi sottrai, facendomi come il sonno una cosa inanimata, ma me la lasci solo rasentare. Poiché son rassegnato a viver, voglio che ad ogni ora del dì mi pesi sopra, mi tocchi nella mia carne vitale. Voglio il Dolore che m'abbranchi forte e collochi nel centro della Vita. Ora che non mi dici niente, ora che non mi fai godere né soffrire, io rassegnato aspetto che tu passi.