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in Poesie (Poesie d'Autore)

Brutta serata

L'uomo è la
contro un muro
vicino a un armadio
sul tavolo c'è un portacenere
l'omo è là
e c'è contro di lui la sofferenza
l'angoscia
c'è anche una donna
che è là
gli amici se ne sono andati
altre donne se ne sono andate
un gatto
contraddizioni come zanzare
e fa una strana faccia
l'uomo che guarda la donna che lo guarda
sa certe cose
indovina
e dice
eccoci qua
sto per soffrire terribilmente
non c'è niente da fare
è cotto
sorride
ma ha almeno 250 di febbre
un dolore da bambino
come un maneggio
con gli anelli da infilare a ogni curva
senza riuscirci
un dolore d'uomo
cupo paesaggio
cose già viste
e che ritornano dicendo
non è lo stesso
è molto meglio
orchestra singhiozzi
fantasmi con la faccia di cuore
sorridenti certezze d'infelicità
lamenti
deliziosi sorrisi
bisturi...
dolore d'uomo
irrisoria romanza sanguinante
storie di calendario
velocità degli anni
cognome Dicembre
nome Giovedì
matricola 23
l'anno scorso
quest'anno
l'anno venturo
e l'uomo si dice
quando si ha mal di denti
si va dal dentista
per i piedi c'è il pédicure
contro l'angoscia e la sofferenza
che posso fare
sono ancora una volta
del tutto perduto...
ancora una volta mi porto dietro
qualcuno nella mia caduta
ecco che torna la nebbia l'amore gli uccelli della felicità
che nebbia schifosa
e che schifosi uccelli
grandi volatili sentimentali
uccelli dallo sguardo piangente
andate a picchiare nel muro
battete le ali
picchiate contro i mobili
sudici uccelli di polvere
cantate falsi la canzone stonata
falsi volate
piangete falsi
impagliati
automi
antiquari
colombi da cartolina
uccelli con la faccia da ubriacone
avete nel becco di cartone
la lettera anonima dell'amore
uccelli di tutti i paesi
uccelli di tutti i rami di tutti gli alberi di tutti i paesi
usignoli de Giappone
unitevi
uccelli del paradiso
uccelli mosca
uccelli rapaci
pellicani
pinguini
passerotti
unitevi
pavoni gridate come pavoni
uccelli cantate a squarciagola in tutto il mondo
aquile marine gridate da aquile marine
e tu bozzagro
fai il verso del bozzagro
usignolo
l'uomo ti ha cavato gli occhi
perché tu canti meglio
ma questo ci apre gli occhi
l'uomo è un bel coglione
con la sua bella cartolina in mano
l'uomo che recita il suo monologo da piccione
amore sempre
lo stesso amore
l'uomo che vuole vedere vecchio l'amore
uccelli migratori
fermate i vostri viaggi
uccelli blu
cucù
gridate cucù
gridate a squarciagola
unitevi
il mondo deve sapere
che l'amore non deve più
l'amore possedere
fermate i simulacri
uccelli notturni
uccelli diurni
un uccello non appartiene a un altro uccello
la donna non appartiene all'uomo
né l'uomo alla donna
cucù gridate a squarciagola e dite
mescolate le uova
cambiate nido
fuori la testa dalla sabbia struzzi
dite quel che avete da dire
l'uomo
gli uomini non hanno l'aria
di voler smettere di soffrire
e io sono uno di loro
gli uomini non hanno l'aria
di voler smettere di far soffrire
ma che cos'ha dunque nel corpo
tutta questa gente...

Nel fondo
tutto ciò che racconto
uccelli che non mi sentite
è per passare il tempo
per nascondermi un po'
e l'uomo continua vicino al suo armadio
silenzioso
lancia ridicoli appelli
grida aiuto senza parlare
ha pensato uccello
s'aggrappa agli uccelli
se avesse pensato sedia supplicherebbe i mobili
tocca gli oggetti
li accarezza
la scatola dei fiammiferi
il portacenere
perde la bussola
perde la testa
la sofferenza è pronta
sta per annegarlo...
si è fatta molto bella
per venire a cercarlo
ha la faccia della giovinezza
e piccolissimi piedi
e anche lei soffre
si lamenta...
ed è un lamento vero
ma è stato imparato
e c'è qualcosa che zoppica in quel lamento
l'uomo si aggrappa ai mobili
la sofferenza si attacca a lui e ride
immediatamente subito
l'uomo per farla tacere
cerca di farla soffrire...
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Alba festiva

    Che hanno le campane,
    che squillano vicine,
    che ronzano lontane?
    È un inno senza fine,
    or d'oro, ora d'argento,
    nell'ombre mattutine.
    Con un dondolìo lento
    implori, o voce d'oro,
    nel cielo sonnolento.
    Tra il cantico sonoro
    il tuo tintinno squilla,
    voce argentina - Adoro,
    adoro - Dilla, dilla,
    la nota d'oro - L'onda
    pende dal ciel, tranquilla.
    Ma voce più profonda
    sotto l'amor rimbomba,
    par che al desìo risponda:
    la voce della tomba.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Morte di Clorinda

      Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
      che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
      Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
      che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
      e la veste, che d'or vago trapunta
      le mammelle stringea tenera e leve,
      l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
      morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

      Segue egli la vittoria, e la trafitta
      vergine minacciando incalza e preme.
      Ella, mentre cadea, la voce afflitta
      movendo, disse le parole estreme;
      parole ch'a lei novo un spirto ditta,
      spirto di fé, di carità, di speme:
      virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
      in vita fu, la vuole in morte ancella.

      - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
      tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
      a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona
      battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
      In queste voci languide risuona
      un non so che di flebile e soave
      ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
      e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

      Poco quindi lontan nel sen del monte
      scaturia mormorando un picciol rio.
      Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
      e tornò mesto al grande ufficio e pio.
      Tremar sentì la man, mentre la fronte
      non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
      La vide, la conobbe, e restò senza
      e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!

      Non morì già, ché sue virtuti accolse
      tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
      e premendo il suo affanno a dar si volse
      vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
      Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
      colei di gioia trasmutossi, e rise;
      e in atto di morir lieto e vivace,
      dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "

      D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
      come à gigli sarian miste viole,
      e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
      sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
      e la man nuda e fredda alzando verso
      il cavaliero in vece di parole
      gli dà pegno di pace. In questa forma
      passa la bella donna, e par che dorma.
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        Scritta da: Marzia Ornofoli
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Sonetto alla libertà da Eleuteria

        Non che io ami i tuoi figli, i cui occhi vuoti
        Vedono solo l'ansia che li opprime
        e le cui menti nulla sanno, e nulla vogliono sapere...
        Ma il ruggito delle tue democrazie,
        i tuoi regni di terrore, le tue grandi anarchie
        Come il mare rispecchiano le mie passioni più selvagge
        Dando un fratello alla mia rabbia: libertà
        Soloper questo le tue urla sgraziate
        Mi sono gradite; altrimenti tutti i re potrebbero
        Togliere ogni diritto alle nazioni con le fruste
        Insanguinate o cannoni traditori, e io
        Resterei indifferente... Invece,
        Invece questi cristi ce muoiono sulle barricate,
        Dio sa che sono con loro in qualche cosa.
        Composta venerdì 31 luglio 2009
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Vivere

          Voglio dire, dormivo soltanto
          mi svegliai con una mosca sul gomito e
          chiamai la mosca Benny
          poi l'uccisi
          e poi m'alzai per guardare
          nella cassetta della posta
          e c'era una specie di avviso
          del governo
          ma siccome non c'era nessuno tra i cespugli
          con la baionetta
          lo stracciai
          e tornai a letto a guardare il soffitto
          e pensai: questo mi piace proprio,
          voglio starmene qui sdraiato per altri dieci minuti
          e rimasi lì sdraiato per altri dieci minuti
          e pensai:
          è assurdo, ho tante cose da fare
          ma voglio starmene qui sdraiato per un'altra
          mezz'ora
          e mi stirai
          mi stirai
          e guardai il sole tra le foglioline di un albero
          fuori, e mi vennero pensieri meravigliosi,
          non mi vennero pensieri immortali,
          e quello fu il momento migliore
          e cominciò a far caldo
          e buttai via le coperte e dormii -
          ma un sogno maledetto:
          ero ancora sul treno
          per le solite 5 ore di viaggio su e giù fino
          all'ippodromo,
          seduto accanto al finestrino,
          davanti al solito oceano malinconico, con la Cina laggiù che m'insinuava
          bizzarrie nel fondo del cervello,
          e poi qualcuno sedette accanto a me
          e parlò di cavalli
          una naftalina di parole che mi sventrarono
          come la morte, e poi ero là
          di nuovo: i cavalli che correvano come una cosa vista
          su uno schermo e i fantini pallidissimi in viso
          e non contava chi vinse
          alla fine e tutti lo sapevano,
          il viaggio di ritorno fatto in sogno era lo stesso
          della realtà:
          neri pesi di notte tutt'intorno
          alle stesse montagne vergognose
          d'essere là, e ancora il mare, ancora
          il treno come un gallo che passa la cruna
          d'un ago
          e mi toccò d'alzarmi per andare al gabinetto
          e non avevo voglia di andare al gabinetto
          perché qualcuno aveva gettato, qualche minchione aveva gettato della carta
          nel cesso, ingorgandolo di nuovo,
          e quando tornai fuori
          nessuno aveva altro da fare che guardare
          la mia faccia
          e io sono così stanco
          che lo sanno quando mi guardano in faccia
          che li
          odio
          e allora odiano me
          e vorrebbero ammazzarmi
          ma non lo fanno.
          Mi svegliai ma siccome non c'era nessuno
          vicino al letto
          per dirmi che
          sbagliavo
          dormii ancora
          un po'.
          Questa volta quando mi svegliai
          era quasi
          sera. La gente tornava dal lavoro.
          Mi alzai e sedetti su una seggiola a guardarli.
          Non avevano una gran bella cera.
          Anche le ragazzine non erano così attraenti come
          quando erano partite.
          E arrivarono gli uomini: sicari, assassini, ladri, truffatori,
          l'intero campionario, e i loro volti erano più orrendi
          di qualunque mascherone mai ideato.

          Trovai un ragno nell'angolo e l'uccisi
          con la scopa.

          Guardai la gente ancora per un po' e poi mi stancai e smisi
          di guardare e mi feci due uova fritte e sedetti a tavola
          con un pezzo di pane e annaffiai il tutto con un goccio di tè.

          Stavo bene.
          Poi feci un bagno e tornai
          a letto.
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