Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Patria

Sogno d'un dì d'estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, róse:
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d'una trebbiatrice,
l'angelus argentino...
dov'ero? Le campane
mi dissero dov'ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Il mendico

    Presso il rudere un pezzente
    cena tra le due fontane:
    pane alterna egli col pane,
    volti gli occhi all'occidente.
    Fa un incanto nella mente:
    carne è fatto, ecco, l'un pane.
    Tra il gracchiare delle rane
    sciala il mago sapiente.
    Sorge e beve alle due fonti:
    chiara beve acqua nell'una,
    ma nell'altra un dolce vino.
    Giace e guarda: sopra i monti
    sparge il lume della luna;
    getta l'arti al ciel turchino,
    baldacchino
    di mirabile lavoro,
    ch'ei trapunta a stelle d'oro.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Gloria del disteso mezzogiorno

      Gloria del disteso mezzogiorno
      quand'ombra non rendono gli alberi,
      e piú e piú si mostrano d'attorno
      per troppa luce, le parvenze, falbe.

      Il sole, in alto, - e un secco greto.
      Il mio giorno non è dunque passato:
      l'ora piú bella è di là dal muretto
      che rinchiude in un occaso scialbato.

      L'arsura, in giro; un martin pescatore
      volteggia s'una reliquia di vita.
      La buona pioggia è di là dallo squallore,
      ma in attendere è gioia piú compita.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Antonella Marotta
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Ed amai nuovamente; e fu di Lina
        dal rosso scialle il più della mia vita.
        Quella che cresce accanto a noi, bambina
        dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.

        Trieste è la città, la donna è Lina,
        per cui scrissi il mio libro di più ardita
        sincerità; né dalla sua fu fin ad oggi mai l'anima partita.

        Ogni altro conobbi umano amore;
        ma per Lina torrei di nuovo un'altra
        vita, di nuovo vorrei cominciare.

        Per l'altezze l'amai del suo dolore;
        perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,
        e tutto seppe, e non se stessa, amare.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Se la foglia piange e trema
          di fronte alla volontà di Dio
          e Dio è combusto nell'universo,
          se l'universo non è che una pallida idea
          di ciò che ci darà la vita nuova
          e la beatitudine,
          che dire degli angeli
          che si oppongono alla foschia delle genti,
          al loro turbinio,
          al fumo della guerra
          e che dissipano con un'arma celere
          i falsi splendori di Satana?
          Angeli battaglieri
          che entrano nelle foreste delle passioni,
          che tolgono le piante impure
          e sradicano il male.
          Angeli che piangono
          quando si rovesciano i troni di Dio,
          angeli che divorano le donne
          con le loro carezze.
          Angeli che portano i loro seni lontano
          affinché Dio li rivesta di gramaglie
          per tutti i mancati splendori.
          Angeli che tremano
          davanti alla collera divina
          e sono così palpitanti d'amore
          che ogni donna vorrebbe somigliare a loro.
          Angeli in fuga verso la beatitudine,
          angeli che scorrono
          come l'acqua al di là dell'universo,
          angeli che tornano a baciare
          le labbra dimenticate.
          Composta sabato 2 aprile 2016
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Rosita Matera
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Meriggio

            A mezzo il giorno
            sul Mare etrusco
            pallido verdicante
            come il dissepolto
            bronzo dagli ipogei, grava
            la bonaccia. Non bava
            di vento intorno
            alita. Non trema canna
            su la solitaria
            spiaggia aspra di rusco,
            di ginepri arsi. Non suona
            voce, se acolto.
            Riga di vele in panna
            verso Livorno
            biancica. Pel chiaro
            silenzio il Capo Corvo
            l'isola del Faro
            scorgo; e più lontane,
            forme d'aria nell'aria,
            l'isole del tuo sdegno,
            o padre Dante,
            la Capraia e la Gorgona.
            Marmorea corona
            di minaccevoli punte,
            le grandi Alpi Apuane
            regnano il regno amaro,
            dal loro orgoglio assunte.

            La foce è come salso
            stagno. Del marin colore,
            per mezzo alle capanne,
            per entro alle reti
            che pendono dalla croce
            degli staggi, si tace.
            Come il bronzo sepolcrale
            pallida verdica in pace
            quella che sorridea.
            Quasi letèa,
            obliviosa, eguale,
            segno non mostra
            di corrente, non ruga
            d'aura. La fuga
            delle due rive
            si chiude come in un cerchio
            di canne, che circonscrive
            l'oblío silente; e le canne
            non han susurri. Più foschi
            i boschi di San Rossore
            fan di sé cupa chiostra;
            ma i più lontani,
            verso il Gombo, verso il Serchio,
            son quasi azzurri.
            Dormono i Monti Pisani
            coperti da inerti
            cumuli di vapore.

            Bonaccia, calura,
            per ovunque silenzio.
            L'Estate si matura
            sul mio capo come un pomo
            che promesso mi sia,
            che cogliere io debba
            con la mia mano,
            che suggere io debba
            con le mie labbra solo.
            Perduta è ogni traccia
            dell'uomo. Voce non suona,
            se ascolto. Ogni duolo
            umano m'abbandona.
            Non ho più nome.
            E sento che il mio vólto
            s'indora dell'oro
            meridiano,
            e che la mia bionda
            barba riluce
            come la paglia marina;
            sento che il lido rigato
            con sì delicato
            lavoro dell'onda
            e dal vento è come
            il mio palato, è come
            il cavo della mia mano
            ove il tatto s'affina.

            E la mia forza supina
            si stampa nell'arena,
            diffondesi nel mare;
            e il fiume è la mia vena,
            il monte è la mia fronte,
            la selva è la mia pube,
            la nube è il mio sudore.
            E io sono nel fiore
            della stiancia, nella scaglia
            della pina, nella bacca,
            del ginepro: io son nel fuco,
            nella paglia marina,
            in ogni cosa esigua,
            in ogni cosa immane,
            nella sabbia contigua,
            nelle vette lontane.
            Ardo, riluco.
            E non ho più nome.
            E l'alpi e l'isole e i golfi
            e i capi e i fari e i boschi
            e le foci ch'io nomai
            non han più l'usato nome
            che suona in labbra umane.
            Non ho più nome né sorte
            tra gli uomini; ma il mio nome
            è Meriggio. In tutto io vivo
            tacito come la Morte.

            E la mia vita è divina.
            Vota la poesia: Commenta