..uno sbaglio di natura il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità....
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..uno sbaglio di natura il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità....
Sogno d'un dì d'estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, róse:
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d'una trebbiatrice,
l'angelus argentino...
dov'ero? Le campane
mi dissero dov'ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Presso il rudere un pezzente
cena tra le due fontane:
pane alterna egli col pane,
volti gli occhi all'occidente.
Fa un incanto nella mente:
carne è fatto, ecco, l'un pane.
Tra il gracchiare delle rane
sciala il mago sapiente.
Sorge e beve alle due fonti:
chiara beve acqua nell'una,
ma nell'altra un dolce vino.
Giace e guarda: sopra i monti
sparge il lume della luna;
getta l'arti al ciel turchino,
baldacchino
di mirabile lavoro,
ch'ei trapunta a stelle d'oro.
Gloria del disteso mezzogiorno
quand'ombra non rendono gli alberi,
e piú e piú si mostrano d'attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.
Il sole, in alto, - e un secco greto.
Il mio giorno non è dunque passato:
l'ora piú bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.
L'arsura, in giro; un martin pescatore
volteggia s'una reliquia di vita.
La buona pioggia è di là dallo squallore,
ma in attendere è gioia piú compita.
Oggi siamo seduti, alla vigilia
Di Natale, noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre fuori, il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo:
perché tu ci sei davvero necessario.
Ed amai nuovamente; e fu di Lina
dal rosso scialle il più della mia vita.
Quella che cresce accanto a noi, bambina
dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.
Trieste è la città, la donna è Lina,
per cui scrissi il mio libro di più ardita
sincerità; né dalla sua fu fin ad oggi mai l'anima partita.
Ogni altro conobbi umano amore;
ma per Lina torrei di nuovo un'altra
vita, di nuovo vorrei cominciare.
Per l'altezze l'amai del suo dolore;
perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,
e tutto seppe, e non se stessa, amare.
Feritevi, ferite,
viperette mordaci,
dolci guerriere ardite
del Diletto e d'Amor, bocche sagaci!
Saettatevi pur, vibrate ardenti
l'armi vostre pungenti!
Ma le morti sien vite,
ma le guerre sien paci,
sian saette le lingue e piaghe i baci.
Una bufera
di notte ha strappato tutte le foglie dell'albero
tranne una fogliolina
lasciata
a dondolarsi in un a solo sul ramo nudo.
Con questo esempio
la Violenza dimostra
che certo -
a volte le piace scherzare un po'.
Se la foglia piange e trema
di fronte alla volontà di Dio
e Dio è combusto nell'universo,
se l'universo non è che una pallida idea
di ciò che ci darà la vita nuova
e la beatitudine,
che dire degli angeli
che si oppongono alla foschia delle genti,
al loro turbinio,
al fumo della guerra
e che dissipano con un'arma celere
i falsi splendori di Satana?
Angeli battaglieri
che entrano nelle foreste delle passioni,
che tolgono le piante impure
e sradicano il male.
Angeli che piangono
quando si rovesciano i troni di Dio,
angeli che divorano le donne
con le loro carezze.
Angeli che portano i loro seni lontano
affinché Dio li rivesta di gramaglie
per tutti i mancati splendori.
Angeli che tremano
davanti alla collera divina
e sono così palpitanti d'amore
che ogni donna vorrebbe somigliare a loro.
Angeli in fuga verso la beatitudine,
angeli che scorrono
come l'acqua al di là dell'universo,
angeli che tornano a baciare
le labbra dimenticate.
A mezzo il giorno
sul Mare etrusco
pallido verdicante
come il dissepolto
bronzo dagli ipogei, grava
la bonaccia. Non bava
di vento intorno
alita. Non trema canna
su la solitaria
spiaggia aspra di rusco,
di ginepri arsi. Non suona
voce, se acolto.
Riga di vele in panna
verso Livorno
biancica. Pel chiaro
silenzio il Capo Corvo
l'isola del Faro
scorgo; e più lontane,
forme d'aria nell'aria,
l'isole del tuo sdegno,
o padre Dante,
la Capraia e la Gorgona.
Marmorea corona
di minaccevoli punte,
le grandi Alpi Apuane
regnano il regno amaro,
dal loro orgoglio assunte.
La foce è come salso
stagno. Del marin colore,
per mezzo alle capanne,
per entro alle reti
che pendono dalla croce
degli staggi, si tace.
Come il bronzo sepolcrale
pallida verdica in pace
quella che sorridea.
Quasi letèa,
obliviosa, eguale,
segno non mostra
di corrente, non ruga
d'aura. La fuga
delle due rive
si chiude come in un cerchio
di canne, che circonscrive
l'oblío silente; e le canne
non han susurri. Più foschi
i boschi di San Rossore
fan di sé cupa chiostra;
ma i più lontani,
verso il Gombo, verso il Serchio,
son quasi azzurri.
Dormono i Monti Pisani
coperti da inerti
cumuli di vapore.
Bonaccia, calura,
per ovunque silenzio.
L'Estate si matura
sul mio capo come un pomo
che promesso mi sia,
che cogliere io debba
con la mia mano,
che suggere io debba
con le mie labbra solo.
Perduta è ogni traccia
dell'uomo. Voce non suona,
se ascolto. Ogni duolo
umano m'abbandona.
Non ho più nome.
E sento che il mio vólto
s'indora dell'oro
meridiano,
e che la mia bionda
barba riluce
come la paglia marina;
sento che il lido rigato
con sì delicato
lavoro dell'onda
e dal vento è come
il mio palato, è come
il cavo della mia mano
ove il tatto s'affina.
E la mia forza supina
si stampa nell'arena,
diffondesi nel mare;
e il fiume è la mia vena,
il monte è la mia fronte,
la selva è la mia pube,
la nube è il mio sudore.
E io sono nel fiore
della stiancia, nella scaglia
della pina, nella bacca,
del ginepro: io son nel fuco,
nella paglia marina,
in ogni cosa esigua,
in ogni cosa immane,
nella sabbia contigua,
nelle vette lontane.
Ardo, riluco.
E non ho più nome.
E l'alpi e l'isole e i golfi
e i capi e i fari e i boschi
e le foci ch'io nomai
non han più l'usato nome
che suona in labbra umane.
Non ho più nome né sorte
tra gli uomini; ma il mio nome
è Meriggio. In tutto io vivo
tacito come la Morte.
E la mia vita è divina.