Scritta da: A. Cipriano
in Poesie (Poesie d'Autore)
Accade un giorno
Di vivere
Per sempre.
dal libro "Codate di seta" di Andrea Cipriano
Accade un giorno
Di vivere
Per sempre.
Inutilmente
si cerca l'affanno nei boschi:
pietrame nell'alveo del fiume
s'intenerisce
per l'acqua che fugge il dolore
stupidamente.
Non disprezzare il poco, il meno, il non abbastanza
L'umile, il non visto, il fioco, il silenzioso
Perché quando saranno passati amori e battaglie
Nell'ultimo camminare, nella spoglia stanza
Non resteranno il fuoco e il sublime, il trionfo e la fanfara
Ma braci, un sorso d'acqua, una parola sussurrata, una nota
Il poco, il meno il non abbastanza.
Capovolgi il fusto e quello che succede
è una musica che non avresti sperato mai
d'udire. Lungo il secco stelo di cactus scorrono
acquazzoni, cascate, rovesci, risacche.
Ti lasci attraversare come un condotto
d'acqua, poi lo scuoti di nuovo leggermente
ed ecco un diminuendo che corre per le sue scale
come una grondaia gemente. Di seguito,
uno spruzzo di stille da foglie irrorate,
sottile umidità d'erba e margherite;
poi mille luccichii come soffi di brezza.
Capovolgi ancora il bastone. Quel che succede
non è sminuito dall'essere accaduto una volta,
due, dieci, mille volte prima.
Che importa se tutta la musica che traspare
è un cadere di pietriccio e semi secchi lungo un fusto
di cactus! Sei come l'uomo ricco accolto in paradiso
attraverso il timpano di una goccia di pioggia. E adesso
riascolta.
Sento la tensione
del capestro alla sua nuca,
il vento contro il petto
nudo.
Rende i suoi capezzoli
perle d'ambra,
scuote la fragile struttura
delle sue costole.
Vedo il suo corpo annegato
nella palude,
la pesante pietra,
i rametti e i fuscelli galleggianti,
sotto cui dapprima
era un arboscello scortecciato
estratto dalla melma –
ossa di quercia, cervello a barilotto,
la testa rasata
simile a stoppia di granturco,
gli occhi bendati da un lino lercio,
il cappio un anello
per cingere le memorie
dell'amore.
Piccola adultera,
prima che ti punissero
avevi capelli biondi come l'oro,
eri denutrita e la tua faccia
imbrattata di pece era bellissima.
Mia povera vittima,
quasi ti amo,
ma avrei scagliato, lo so,
la pietra del silenzio.
Io sono l'abile voyeur
delle onde scurite ed esposte
del tuo cervello, del tessuto
ritorto dei tuoi muscoli
e di tutte le tue ossa numerate,
io che ristetti ammutolito
quando le tue sorelle traditrici
imbrattate di pece
piansero presso il cancello,
io che sarei stato complice
dell'oltraggio civilizzato,
capisco tuttavia l'esatta, tribale
ed intima vendetta.
Tra il mio pollice e l'indice
sta la comoda penna, salda come una rivoltella.
Sotto la finestra, un suono chiaro e graffiante
all'affondare della vanga nel terreno ghiaioso:
è mio padre che scava. Guardo dabbasso
finché la sua schiena piegata tra le aiuole
non si china e si rialza come vent'anni fa
ritmicamente tra i solchi di patate
dove andava scavando.
Con lo stivale tozzo accoccolato sulla staffa, il manico
contro l'interno del ginocchio sollevato con fermezza,
sradicava alte cime e affondava la lama splendente
per dissotterrare le patate novelle che noi raccoglievamo
amandone tra le mani la fresca durezza.
Il mio vecchio potrebbe impugnare una vanga presso Dio,
proprio come il suo vecchio.
Mio nonno estraeva più torba in un giorno
di qualsiasi altro uomo su, alla palude Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
turata alla meglio con un pezzo di carta. Si raddrizzò
e lo bevve, poi subito riprese a lavorare
intaccando e dividendo, mentre con piote
sulle spalle andava sempre più a fondo
in cerca di buona torba. Scavando.
L'odore freddo dei solchi di patate, il tonfo
e lo schiaffo dell'umida torba, i tagli netti di una lama
tra le radici vive si destano nella mia memoria.
Ma non ho una vanga per succedere a uomini come loro.
Tra il mio pollice e l'indice
sta comoda la penna. Scaverò con quella.
L'amore immenso, ma evanescente
la vita che piano si consuma
la polvere e il vento
I giorni in cui sono polvere
e i giorni in cui sono vento
A spasso fra i sogni
come il re dei mondi
Vagabondo della vita
a mendicare l'amore
Ma oggi sono il vento
che fa danzare la polvere
e sono la polvere che danza
abbracciando il cielo
~ La polvere e il vento.
Ancora mezzanotte.
Ancora sabato sera.
Ancora davanti al pc.
Mi sentivo immortale.
Mi sentivo invincibile.
C'eri tu,
e c'ero io.
Ma soprattutto c'eri tu che volevi me.
E io stupido uomo come tutti gli altri ero
incredulo
che un angelo così bello volesse proprio me.
Perché io?
Perché tanta fortuna?
Perché tanto amore?
Adesso non ci sei più da un bel po'.
Non riesco a capire se non riesco più a
rialzarmi
o se non
voglio.
Che differenza fa?
Le nostre promesse si sono infrante.
I nostri sogni spezzati.
- le persone cambiano - mi hai detto.
- tu non c'entri, non hai colpe -
- solo che non provo più quello che provavo prima -
Non ho mai capito queste tue parole...
Ancora non riesco a crederci.
Forse non eri reale,
si,
è così.
Stavo sognando, stavo facendo un bellissimo sogno.
Il miglior sogno di sempre...
adesso sono di nuovo sveglio.
E solo.
Di nuovo.
Ancora una volta senza nessuno intorno.
- di solitudine si muore - mi dicevano.
Io sono ancora vivo.
Vivo.
Vivo è una parola un po' forte.
Vivere non dev'essere questo ma qualcosa di completamente
differente.
Molto differente.
Sicuramente non questo.
Per ogni "coppia storica" esiste una "personasola".
Siamo 7 miliardi di anime che si ignorano.
Amori mai cominciati.
I nostri sguardi si incrociano all'infinito ma non ci
vediamo.
Mai.
Con le spalle al muro.
Spaventati a morte.
Paura d'essere feriti, di nuovo, ancora e ancora.
Avrei fatto di tutto per te.
Avrei dato tutto per te.
Ma che importanza ha adesso?
Tu sarai andata avanti, fredda e gelida come l'inverno mi avrai
sepolto
sotto cumuli di neve bianchissima.
Avrai sepolto me e tutto quello che c'era tra di
noi.
Come un antico faraone hai chiuso il mio corpo
in profondità
al buio.
Occultamento di cadavere si chiama.
Sono morto ma cammino.
Faccio finta di niente.
La polizia nemmeno sospetta di te.
Innocente creatura...
Il set di coltelli che mi hai lascito in eredità ancora li conservo con
me.
Il sangue rosso col quale prima coloravo il tuo cuoricino adesso
ossida le lame e
cade
scivola
scorre
giù
veloce
s'infiltra
nella terra a cui appartengo
a cui mai e poi mai mi slegherò.
Ti darò un sorriso nuovo, bambino
Che sia ristoratore d’animo
Di una vita che dono non ti fece
Del bene più importante, la salute.
Fu con te amaro l’ingiusto destino
Malato d’invidia per un tramonto
Che non desiderava tu vedessi
Con occhi colmi d’amore leggiadro.
Prendi il sorriso donato, bambino
E nascondilo nel profondo tuo
E conservalo per goderne il fiore.
Ancora tornerò da te, bambino
Per ritrovar sul tuo volto il sorriso
Che amara la vita t’aveva tolto.
Sognava
la libertà,
ma viveva incatenato
dentro sé.
La sua gabbia
non era fatta da sbarre d'acciaio,
ma da stracci
della propria pelle.
Guardava al cielo
come se potesse davvero raggiungerlo,
ma restava
ad affogare
nelle sabbie mobili della vita.
Fuggiva
dal dolore,
ma si ritrovava
in qualcosa che non è amore.
Ascoltava
Gli uccelli tra spogli rami,
ma non imparava
a cantare come loro
la propria primavera.
Restava fermo
come una roccia,
ma non aveva che la forza
d'un fiore calpestato.