Scritta da: Christabella del Mar
in Poesie (Poesie d'Autore)
Anche se una montagna ci separa,
condividiamo le stesse nuvole e la pioggia.
Una luna che brilla non appartiene
a un solo villaggio.
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Anche se una montagna ci separa,
condividiamo le stesse nuvole e la pioggia.
Una luna che brilla non appartiene
a un solo villaggio.
Sbocciano fiori di pietra alle mie dita
mentre con lo sguardo bevo il cielo che mi nutre
con voli di tulipani
e distese di grano
che allargano i miei polmoni in campi di carne.
Busso alle porte del tuo segreto
con rintocchi di campana
e grida di cornacchia
e scheggio le mie unghie sulla corteccia.
Ho piedi marini e braccia come sentieri
mentre i miei capelli stormiscono alle cime degli alberi
ed il mio viso si scioglie
nella corrente dei fiumi.
La luce del sole nutre la mia pelle
dove riposa ancora latte di stelle
ed il sospiro della notte
che tutto trova e tutto perde.
Busso alle porte del tuo segreto
con rintocchi di campana
e grida di cornacchia
e scheggio le mie unghie sulla corteccia.
Esploro il tuo viso nel riflesso delle foglie
ed ascolto la tua voce nella caduta del sasso sul fondale;
così catturo un volo di polline
per fartene collane e bracciali
ed incendio cataste di fiori per vestirti di fumo.
Nella radice dell'occhio vive la tua presenza
e nel cavo delle mani mi riscalda la tua assenza:
mi siedo sulla terra e bevo il tuo segreto
fatto di pietre e grano.
Il cielo è nero fumo che voltola, sfiocca, imperversa
come a un fiato d'incendio. Corron ruote di cenere
per l'infinito campo: borghi d'ocra e fuliggine
si riproducono e ripercotono.
Tutto fugge come a un fosco mare.
Le case impallidiscono di spasimi sulle montagne,
mostrano i mille occhi alle palpebre chiuse,
i lampi sono rosei
come i filari efimeri delle gambe alle ballerine
in passo finale.
Le folgori sono come bisce verdi e violette
spesso han vene di sangue a capo, a coda. Sparve
la scena dè monti lontani.
S'opaca la distanza.
Eccoli dispariti.
Una dolomia, sola, il chiaro picco mantiene, alto,
in un canto de la nerezza, teso.
Piovon tutte le acque,
a gocce, a schegge, a frecce, a micce ebbre di fuoco.
Gli uccelli fuggono gli occhi accesi dei gatti saliti sulle piante:
i gatti fuggono le spire di bragia
delle folgori:
le foglie degli alberi tremano per l'universo.
Io m'abbandono
a tutti i fiumi oscuri di me stesso che straripano.
Lontano dagli uccelli, dagli greggi, dalle contadine,
io bevo, accoccolato in qualche brughiera
circondata da teneri boschetti di noccioli,
in una tiepida e verde foschia pomeridiana.
Che mai potevo bere in quella giovane oise,
olmi senza voce, erba senza fiori, cielo coperto.
Che cosa succhiavo alla zucca di colocasia?
Forse un liquore d'oro, insipido, che fa sudare.
Sarei stato, così a, una brutta insegna di locanda
poi il temporale mutò il cielo, fino sera.
Furono paesi neri, laghi, pali,
colonnati sotto la notte blu, stazioni.
L'acqua dei boschi si perdeva su sabbie vergini,
il vento dal cielo, gettava ghiaccioli sugli stagni...
e dire che, come un pescatore d'oro o di conchiglie,
non mi sono nemmeno preoccupato di bere.
Ho visto una piuma
aleggiare per l'aria
poggiarsi sul cuore.
Ho provato calore
e ho pensato fosse
un grande amore.
Ho guardato il cielo
chiedendo di chi era
l'abbraccio quella sera.
Una nuvola di passaggio
fermò la sua danza
e all'orecchio mi sussurrò
si trattava della speranza.
Uomo ridotto a panico
inginocchiato inerme
sfoglia la tua statura
vittima nelle mani
dell'aria e del respiro
vulnerabile implora
un qualche raggio.
Il morbo impercettibile
sospeso
invisibile avanza
pare stia seguendo
delle mire,
non si accanisce, sfiora
fiori sbocciati appena,
trascorre imperscrutabile
il cammino,
impietoso si aggira
sulle piaghe
avanzate dolenti
dietro gli anni...
forse un castigo,
monito inteso ad arginare
i fumi
della presunzione
del dileggio
di tuoi figli voraci.
Perdonaci o signore.
Restare a casa è un ordine
che non si discute,
ma da adesso in poi dovremmo essere
un poco più attenti a quelli che muoiono sul lavoro.
lo so che ora il problema è non infettare gli altri,
lo so che non è una banale influenza
quella che ci sta attraversando,
ma se dobbiamo temere la malattia
dobbiamo temerla sempre,
dobbiamo mettere pochi pesticidi nelle terre
e le industrie pochi veleni nel cibo e nell'aria.
e chi non è più amato
non può più uccidere la sua amante,
e si può essere ricchi
solo se non ci sono poveri.
Non voglio affiancarmi agli stupidi
per ogni volta che dici qualcosa
ti rispondo che il problema è un altro,
dobbiamo chiedere che dal prossimo autunno,
ogni governo, di destra o di sinistra,
si ponga il problema che vendere sigarette è vendere tumori
e vendere alcolici è vendere cirrosi.
Ora più che mai è un dovere di tutti stare bene
ma nel futuro deve essere anche un diritto:
se un futuro governo, come quelli passati,
toglierà soldi agli ospedali
per destinarli alle spese militari
sarà un governo di criminali.
Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
più che l'anno della crescita, ci vorrebbe l'anno
dell'attenzione.
Attenzione a che cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari
significa togliere
più che aggiungere, rallentare
più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.
Viaggiate
ché sennò poi
diventate razzisti
e finite per credere
che la vostra pelle è l'unica
ad avere ragione,
che la vostra lingua
è la più romantica
e che siete stati i primi
ad essere i primi.
Viaggiate
ché se non viaggiate poi
non vi si fortificano i pensieri
non vi riempite di idee
vi nascono sogni con le gambe fragili
e poi finite per credere alle televisioni
e a quelli che inventano nemici
che calzano a pennello
con i vostri incubi
per farvi vivere di terrore
senza più saluti
né grazie
né prego
né si figuri
Viaggiate
ché viaggiare insegna
a dare il buongiorno a tutti
a prescindere
da quale sole proveniamo,
viaggiate
ché viaggiare insegna
a dare buonanotte a tutti
a prescindere
dalle tenebre che ci portiamo
dentro.
Viaggiate
ché viaggiare insegna a resistere
a non dipendere
ad accettare gli altri non solo
per quello che sono
ma anche per quello che non
potranno mai essere,
a conoscere di cosa siamo capaci
a sentirsi parte di una famiglia
oltre frontiere, oltre confini,
oltre tradizioni e cultura,
viaggiare insegna a essere oltre.
Viaggiate
ché sennò poi finite a credere
che siete fatti solo per un panorama
e invece dentro voi
esistono paesaggi meravigliosi
ancora da visitare.
Siamo noi, guardaci,
rifugiati nelle case
a guardarci da lontano
salutarci dal video senza carne
né profumo di figlio, o padre, né mano di madre
che stringe carezzando.
Siamo noi, guardaci,
in questa immobile battaglia
senza terra o corpo da combattere
davanti a un nemico fatto d'aria
che si mangia il tuo respiro
troppo piccolo per sparargli
infame divoratore di nonni
mai più tornati dall'ospedale
senza dargli nemmeno un addio.
Siamo noi, guardaci,
medici che fino a ieri
non potevamo sapere, no,
di quanta furia è capace
un virus quando esplode
di quanti se ne porta via
che non bastano a contarli
Queste mani chiuse a preghiera,
ma nessuno è scappato,
nessuno,
chi poteva immaginare
di quanta forza, quale coraggio,
si porta nel petto lei,
l'infermiera che non smette l'accoglienza
che da giorni non si ferma
e lavora pure mentre piange.
Sono io, guardami,
sono italiano, un popolo di terre e colori,
fatto di paesi lanciati nell'azzurro
e d'artisti del sorriso
del buon vino da brindare
d'arte profusa per le strade
di primavera l'aria già impazzita.
Mio stivale, altare
di bellezza e d'amore
tornerai a correre per le strade,
nell'abbraccio d'uno sconosciuto
con la tua voce di canto
mi dirai che tutto è finito.